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Quelle bambine iraniane avvelenate sui banchi di scuola

Sotto la lente le centinaia di casi di intossicazioni tra le studentesse del Paese. Intossicate dall'integralismo religioso
Sotto la lente le centinaia di casi di intossicazioni tra le studentesse del Paese. Intossicate dall'integralismo religioso

Ci sono notizie che si stenta a comprendere. E non perché siano male esposte, ma per la loro intrinseca insensatezza. Nel leggere che centinaia di bambine sono state avvelenate, in Iran, nel tentativo di chiudere le scuole femminili in cui studiano, prima ancora dell'indignazione o della rabbia, nasce un senso di incomprensione, come se non si fosse ben capito quanto si è letto.

Pensare che si possa arrivare ad avvelenare delle persone per la propria voglia di studiare sembra fuori di ogni logica, se poi si pensa che sono bambine. Eppure, dopo un primo momento di sbandamento, ci si rende conto che è tutto vero: un orrore che si aggiunge agli orrori che quotidianamente la cronaca ci racconta.

KeystoneNational student day 2022

Avvelenamento intenzionale - È accaduto a Qom, città centro degli studi religiosi sciiti, situata a circa 150 chilometri a sud di Teheran, dove i media locali hanno diffuso la notizia che, come detto, centinaia di bambine di circa 10 anni, hanno riportato delle sindromi da avvelenamento respiratorio.

L'agenzia Irma ha anche riferito che il 14 febbraio scorso i genitori delle studentesse si sono riuniti davanti al palazzo del governatore della città per chiedere spiegazioni, per poi sentirsi dire, dopo molte titubanze, dal Vice ministro della Salute, Youness Panahi, che «l'avvelenamento è stato intenzionale». Un avvelenamento che è risultato esser il prodotto di «composti chimici disponibili per uso non militare, e non è né contagioso né trasmissibile».

Il portavoce del governo Ali Bahadori Jahromi ha dichiarato che è emerso «che alcuni individui volevano che tutte le scuole, soprattutto quelle femminili, fossero chiuse». Il procuratore generale ha annunciato di aver avviato una indagine su questi fatti, sostenendo che si possa trattare di «atti criminali e premeditati».

KeystoneUna donna protesta in India per i casi di avvelenamento

Profumo di mandarini - I primi casi di avvelenamento risalgono al novembre dell'anno scorso, ma la notizia ha assunto rilevanza a livello internazionale lo scorso 27 febbraio, quando si è appreso che le vittime di avvelenamento erano diverse centinaia, sia a Qom che in altre città iraniane, come Ardebil, Boroujerd, Sari, oltre alla capitale Teheran.

Risale invece al 28 febbraio la notizia che diverse decine di studentesse della scuola superiore Khayyam di Pardis, città situata nella provincia di Teheran, sono state ricoverate in ospedale dopo aver manifestato problemi respiratori, nausea e vertigini. Nessuna di queste ragazze è in pericolo di vita, ma molte di loro hanno denunciato il fatto di essere state poco bene per diverse settimane.

Tante studentesse hanno riferito di aver sentito all'interno delle aule, prima di sentirsi male, un profumo particolare, come di mandarini, che ha eliminato subito l'ipotesi dell'intossicazione da monossido di carbonio.

ReutersFoto Archivio - Mahsa Amini

Chi sono i mandanti? - Mentre sono in corso le indagini governative, sono in tanti ad avere idee contrastanti su chi possano essere i mandanti di tali azioni criminali. Per Mohammed Taghi Fazel-Meibosi, docente presso il seminario di Qom, si tratta del gruppo religioso Hazarehgera, che ha sedi nella stessa Qom e a Isfahan, e che propugna il divieto per le ragazze di ricevere una formazione scolastica.

Può non essere un caso che i primi avvelenamento si siano registrati proprio a Qom, la città sacra iraniana, al centro della rivoluzione islamica del 1979 e che conta un nutrito gruppo di fedeli conservatori ostili ai diritti civili e politici delle donne.

Per la nota attivista iraniana Masih Alinejad, invece, così come per molti altri esponenti dell'opinione pubblica iraniana e non, i casi di avvelenamento andrebbero riferiti alla feroce repressione operata dal regime di Teheran a seguito delle proteste di piazza seguite alla morte della giovane Masha Amini.

«L'avvelenamento delle studentesse - ha scritto su Twitter la Alinejad - è la vendetta del regime terrorista della Repubblica islamica contro le coraggiose donne che hanno sfidato l'obbligo dell'hijab e scosso il muro di Berlino di Khamenei».

ReutersFoto archivio - Proteste per Mahsa Amini

Uno strumento del governo? - Il veleno, quindi, sarebbe l'ennesimo crudele strumento con cui il regime di Teheran sta cercando di piegare la coraggiosa resistenza di tante giovani iraniane che lottano per il riconoscimento dei propri diritti civili. In effetti, si resta quanto mai basiti davanti alle dichiarazioni dei rappresentanti del governo che, pur riconoscendo l'intenzionalità di tali azioni criminose, ne hanno quanto meno permesso la loro perpetrazione per mesi a danno di bambine innocenti.

Non è la prima volta, poi, che in Iran si ricorra ad avvelenamenti intenzionali per mettere a tacere i dissidenti del regime. Risale proprio allo scorso ottobre la morte di Negin Abdolmaleki, una ventunenne uccisa in carcere da una sostanza velenosa. La studentessa universitaria era stata arrestata nell'ambito delle manifestazioni di protesta contro il regime ed è morta in carcere dopo aver bevuto dell'alcol avvelenato.

Come in Afghanistan - In attesa di conoscere, se mai ciò accadrà, i nomi dei mandanti e degli esecutori di tali crimini, non resta che chiedersi se anche in Iran si assisterà alla deriva talebana che impera nel vicino Afghanistan.

Risale allo scorso 5 gennaio, la notizia che il ministro dell'Istruzione superiore Neda Mohammad Nadeem, abbia stabilito il divieto di istruzione universitaria per le ragazze afghane le quali, erano già state private del diritto di frequentare le scuole superiori dal settembre 2021.

Nonostante la ferma condanna del portavoce del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Stephane Dujarric, il quale ha detto che questa «è stata un'altra promessa non mantenuta dai talebani», nulla è cambiato.

Come denunciato da Olivier Franchi, direttore regionale ad interim per l'Asia di Save The Children, nell'aprile dello scorso anno molte ragazze si sono presentate a lezione per poi sentirsi dire di tornare a casa. «Molte di loro hanno raccontato ai nostri operatori di essere depresse e di soffrire profondamente il fatto che sia stato negato loro il diritto fondamentale all'istruzione».

ReutersFoto archivio - 2004

850mila bambine senza istruzione - I dati diffusi dall'organizzazione non governativa sono veramente allarmanti: si stima che la maggior parte delle ragazze delle scuole secondarie, circa 850'000 su 1,1 milioni, non frequenti le lezioni. Alle bambine afghane è permesso studiare dai 7 ai 12 anni, fino alla sesta classe, ma non hanno la possibilità di proseguire oltre gli studi né di ottenere un diploma.

Considerando lo stato di estrema miseria in cui versa il Paese, impedire alle bambine di andare a scuola significa privarle di un pasto sicuro al giorno e della possibilità di intrattenere un minimo di relazioni sociali, in un contesto in cui è loro proibito uscire di casa non accompagnate da un uomo.

Le ragazze private del diritto allo studio, sono vittime di emarginazione sociale e facili preda di abusi, anche in contesti familiari, dato che sono sempre più numerosi i matrimoni combinati dalle famiglie in cambio di qualche soldo. La condanna femminile all'analfabetismo si somma a quella di una vita di sottomissione costante, alla famiglia prima e al marito poi.

ReutersFoto archivio - 2019

Diritti "garantiti" - In Iran, almeno formalmente, il diritto allo studio è invece garantito anche alle ragazze, ma non bisogna credere che ciò comporti una parità sociale tra donne e uomini. Questi rimangono comunque detentori di una posizione privilegiata che dal seno familiare si riflette nella società civile. Deve essere infatti un uomo ad autorizzare una donna a studiare e lavorare, e a vigilare perché questo avvenga c'è la polizia morale che abbiamo avuto tristemente modo di conoscere in questi mesi.

Il lasciapassare maschile, poi, non garantisce assolutamente la piena libertà alle donne che, per rimanere sul tema della scuola e dell'istruzione, hanno il divieto di iscriversi a numerosi corsi di laurea, tra i quali letteratura inglese, fisica, ingegneria elettronica, industriale ed economia e commercio, solo per fare qualche esempio.

Le donne non sono sole - Le proteste di questi mesi hanno però evidenziato, dopo molto tempo di apparente stallo, quasi uno scollamento tra la società civile e il regime di Teheran. Le donne non sono state lasciate sole a protestare ma tanti uomini, in particolar modo i più giovani, si sono uniti a loro per chiedere una riforma in chiave moderna della società iraniana.

Di questo è convinta anche Marjane Satrapi, autrice del famosissimo libro "Persepolis" e che di recente dichiarato che «in Iran c'è una società ultramoderna, calata nel ventunesimo secolo, e un governo indegno del Paese con una mentalità medioevale. La società si è evoluta e scende in strada, il muro di paura è caduto e non si torna più indietro».


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