Oltre 50 uomini sono stati accusati di stupro nei confronti di Gisèle Pélicot, diventata simbolo della lotta contro la violenza sessuale
«Gisèle, le donne ti ringraziano». Così recita uno striscione appeso all'esterno del Tribunale di Avignone, dove si sta tenendo il processo contro Dominique Pélicot, marito di Gisèle e stupratore della stessa, in concorso con altre cinquanta persone. Le donne hanno molti motivi per ringraziare Gisèle Pélicot, che ha rinunciato al suo diritto all'anonimato, mostrando senza filtri o censure, l'orrore che ha subito per quasi un decennio, quando veniva sistematicamente drogata e violentata su iniziativa del marito. Gisèle ha chiesto che durante il processo a porte aperte venissero mostrati i filmati delle violenze in cui lei appare «in uno stato comatoso» con indosso una biancheria intima, che afferma di non aver mai posseduto. «Molte donne non hanno le prove - ha dichiarato la Pélicot - io le ho. Non testimonio per me stessa, ma per tutte le donne drogate e abusate. Spero che il giorno in cui una donna si sveglierà al mattino senza ricordare cosa ha fatto il giorno prima, possa ricordarsi della mia testimonianza». Il bisogno che «la vergogna cambi lato», come dalla stessa affermato, è uno dei motivi per i quali questo processo passerà alla Storia: non sono le donne stuprate a doversi vergognare, a dover pensare di esserselo meritato, ma sono gli uomini violentatori a doverlo fare.
I primi sospetti - La storia di Gisèle Pelicot è ormai nota a livello internazionale, e ha provocato un'ondata di indignazione e volontà di cambiamento sociale e giuridico a favore delle vittime di violenza sessuale. Quando, nel settembre 2020, la signora Pélicot venne informata dalla polizia che suo marito era stato sorpreso a fotografare sotto le gonne di diverse clienti di un supermercato, rimase giustamente sorpresa, ma mai si sarebbe aspettata che l'indagine avviata a carico del coniuge potesse far luce su di una serie così inquietante di orrori. In una cartella denominata "abusi", sono stati trovati centinaia di video nei quali era stata ripresa la donna che, in evidente stato di incoscienza, veniva ripetutamente violentata da oltre ottanta uomini reclutati su internet. «Mi sentivo così fortunata - ha dichiarato la donna - perché Dominique aveva mille attenzioni e mi comprava il mio gelato preferito al gusto di lampone». Proprio quel gelato nel quale, in alternativa ad altri cibi o bevande, veniva disciolta la benzodiazepina con la quale la donna veniva narcotizzata e resa incapace di capire ciò che le stava succedendo.
I mostri - La polizia ha individuato e arrestato cinquantuno persone coinvolte negli episodi di violenza, scoprendo che si trattava dei classici insospettabili: pompieri, operai, braccianti agricoli, giornalisti, militari e insegnanti che, tolte le vesti dei bravi figlioli o dei padri di famiglia, si recavano nella casa degli orrori, come è stata ribattezzata l'abitazione dei Pélicot a Mazan, per partecipare, secondo la loro strumentale versione, a un «gioco erotico» con la donna, nella convinzione «che si stesse divertendo». Nel computer del Pélicot sono state trovate anche molte immagini della figlia e delle sue nuore, fotografate nude a loro insaputa.
Un cambio di mentalità - Il processo ha avuto inizio lo scorso settembre con «la massima copertura mediatica», come richiesto dalla Pélicot. La decisione è stata presa nella speranza che possa verificarsi un radicale cambio di mentalità sul tema dello stupro, anche in coloro che, come capitato sul Telegraph, hanno dedicato molti articoli alla «moglie che si vendica del marito», come se la richiesta di giustizia sia assimilabile al sentimento della vendetta.
Le dichiarazioni in aula - Comparso in aula, lo scorso 17 settembre, per testimoniare nel processo a suo carico, Dominique Pélicot si era definito «uno stupratore», spiegando che «pervertiti non si nasce, ma lo si diventa» alludendo alla sua infanzia problematica, in balia di un padre violento e vittima, egli stesso, di violenza sessuale da parte di un infermiere quando aveva appena nove anni. Il 23 ottobre scorso, invece, è stata Gisèle Pélicot a comparire in aula d'udienza, e la sua testimonianza, così come prevedibile, ha rappresentato un evento cruciale, non solo per l'andamento del processo, ma anche nella mobilitazione di una coscienza civile sempre più sensibile al tema della stupro e della protezione della vittima. Rivolgendosi all'uomo, dalla stessa considerato per cinquant'anni un marito premuroso e un padre affidabile, gli ha più volte chiesto «come hai potuto tradirmi fino a questo punto? Come hai potuto portare tanti uomini sconosciuti nella nostra camera da letto? Sono una donna distrutta e non potrò mai riprendermi da tutto questo». Gisèle, accolta sempre dagli applausi dei suoi sostenitori, pur minata nello spirito, ha sempre mostrato nel corso del processo molta calma e dignità, pur affermando che «la mia vita si è trasformata nel nulla. Non ho capito come sia potuto arrivare fino a questo punto». Parole disperate, come quelle rivolte al Pélicot dai propri figli che hanno chiesto per lui una condanna esemplare. La figlia Caroline, pur non avendo delle prove a supporto, si è detta convinta che il padre abbia abusato sessualmente anche di lei con le stesse modalità applicate a sua madre. «Sei il demonio» gli ha urlato in faccia, mentre i fratelli David e Florian hanno affermato che per loro «il padre è morto», dicendosi spaventati dall'idea del fatto che Pélicot possa aver abusato anche di qualche nipotino.
La difesa di un mostro - Lo scorso 27 novembre, l'avvocato difensore di Dominique Pélicot, Beatrice Zavarro, nella sua arringa conclusiva, ha voluto parlare in termini più umani del proprio cliente, rimarcando che l'uomo «era stato un bravo padre e nonno» e sottolineando il fatto che il compiere atti mostruosi non vuol dire essere un mostro. L'accusa, rivolgendosi alla Corte, ha invece chiesto il massimo della pena, ossia i vent'anni di reclusione previsti per tale reato.
L'impatto del processo - A prescindere dalla sua conclusione, il processo Pélicot non verrà dimenticato, e Gisèle Pélicot, che con il suo atteggiamento ha provocato un'ampia discussione sulla cosiddetta cultura dello stupro, è definitivamente assurta a simbolo della lotta delle donne contro le violenze sessuali e di genere. Come spiegato sul Guardian da Anne-Cécile Mailfert, fondatrice della Fondation des Femmes, la Pélicot è diventata una figura simbolica «perché è irreprensibile». È la negazione, cioè, di tutti quegli stereotipi che accompagnano, purtroppo, le tante storie di violenza sessuale, ossia la giovane ragazza che se l'è andata a cercare. La donna, di contro, «appare esemplare e non può essere rimproverata di nulla. Nel suo caso vediamo solo la violenza degli uomini. E il coraggio che mostra e il coraggio che dona a milioni di altre donne». Il processo Pélicot ha mostrato, in tutta la sua drammatica evidenza, come il tema della violenza sessuale e la normativa giuridica in merito vada rivista, ma ciò non può succedere, secondo la giornalista del Guardian, se «i politici, i media, il sistema legale agiscono da soli ma devono essere tutti allineati, come ora. Sono arrabbiata perché i politici non sono in grado di cogliere questo momento». Attualmente, in Francia, lo stupro viene definito come «un atto di penetrazione sessuale, commesso su una persona, con violenza, coercizione, minaccia o sorpresa» è chiaro quindi che serva un enorme sforzo politico e normativo per poter fornire una protezione quanto più ampia e inclusiva alle vittime di tale tipo di reato. Secondo Anne Bouillon, un'avvocatessa specializzata in diritti delle donne e violenza domestica «abbiamo bisogno di mezzi considerevoli e dedicati se vogliamo alleviare le sofferenze delle vittime, ma se finiamo per fare solo alcune riforme che non costano molto, i risultati saranno estremamente deludenti».
Il movimento #metoo - La vicenda ha inoltre dato nuovo vigore al Movimento #metoo francese, da sempre critico con la posizione oltranzista che ha dilagato negli Stati Uniti. Come detto su Vox da Laura Frader, professoressa emerita di Storia alla Northeastern University, «una nuova generazione di giovani donne e femministe francesi, oltre a molti uomini a loro solidali, sono disposte ad affrontare i problemi legati alle aggressioni e molestie sessuali a testa alta. Il caso Pelicot contribuirà di sicuro a rafforzare questa tendenza». È quanto mai necessario, quindi, che quanto sofferto da Gisèle Pelicot possa dar luogo a quelle riforme politiche e giuridiche a lungo richieste, in Francia e altrove. Perché la vergogna, come detto, cambi lato, e non sia più esclusivo appannaggio delle vittime.