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TargetCome gestire progetti digitali complessi? La parola agli esperti

12.07.21 - 11:03
Fare il Project Manager è un’avventura sfidante e articolata: ce la raccontano Emanuele De Pasquale e Marziale Brusini
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Come gestire progetti digitali complessi? La parola agli esperti

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Fare il Project Manager è un’avventura sfidante e articolata: ce la raccontano Emanuele De Pasquale e Marziale Brusini

In ambito marketing e non, la figura del Project Manager è un elemento chiave per garantire la buona riuscita di qualunque lavoro. Occupandosi di coordinare il team e facendo da tramite tra clienti, aziende e fornitori, deve trattarsi di un* professionista molto versatile, la cui attività richiede competenze che spaziano dal tecnico-specifico alle soft skills.

Che cosa succede, però, quando il progetto da gestire è digitale e complesso, coinvolge molti interlocutori, magari addirittura su scala internazionale? A quel punto, al lavoro di coordinamento del Project Manager si aggiunge un altro obiettivo: assistere ogni attore/attrice coinvolt* nel semplificare le incombenze e nell’organizzarne lo svolgimento al meglio, per continuare a garantire produttività anche laddove ci sia tanto a cui pensare.

Ce ne hanno parlato più nel dettaglio Emanuele De Pasquale, consulente ed esperto di management e trasformazione digitale, e Marziale Brusini, già CEO ed esperto di sviluppo del business.

 

Quando hai scelto di occuparti di progetti complessi e perché?

Emanuele De Pasquale:

Mi sono sempre piaciute le sfide: sin da bambino, il pomeriggio i compagni di scuola venivano a casa mia per fare i progetti più complessi o di gruppo.

Da lì poi, essendo una persona molto curiosa e con voglia di imparare, mi sono appassionato di tecnologie software e di come il digitale possa migliorare e semplificare la nostra vita quotidiana.

Sul lavoro, nelle varie aziende di consulenza manageriale e di digital transformation presso le quali ho lavorato, sono stato messo sempre a bordo di progetti complessi e di respiro internazionale, con un grado di complessità elevato, anche per l’impatto che questi avrebbero avuto per i committenti, perché avrebbero cambiato il loro modo di lavorare, rendendo le loro aziende più innovative.

 

Marziale Brusini:

Nel 1998, ho ultimato gli studi di Ingegneria Informatica e ho avuto l’opportunità di lavorare per un’azienda locale (20 collaboratori) che gestiva progetti complessi in ambito tecnologico in tutta Europa e con partner strategici negli Stati Uniti. Come giovane e inesperto professionista ho avuto la possibilità di viaggiare molto e commettere una miriade di errori che mi hanno insegnato velocemente l’arte del Project Management da strada. Ricordo ancora il periodo a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio come una fase molto divertente ed interessante dal profilo professionale: uno dei temi più ricorrenti era ancora il “Millennium Bug”.

Occuparmi di progetti complessi, dalla progettazione di piattaforme Hardware e Software, alla gestione di team eterogenei, a livello internazionale, è stata una necessità lavorativa sin dall’inizio della mia carriera. La passione per la tecnologia e l’innovazione mi ha portato a seguire questo stupendo percorso professionale ed è stata una scelta vincente anche per il mio futuro. Grazie a questa scelta professionale ho potuto viaggiare, oltre che negli USA, in Germania, Francia, Belgio, Italia e nelle più belle città svizzere ed acquisire esperienza e competenze nuove.

 

Qual è il primo passo che fai quando inizi a occuparti di un progetto?

Emanuele De Pasquale:

Capisco chi sono le persone con cui ho a che fare: in base agli attori del progetto, devi capire come entrare in relazione con loro. I progetti non falliscono quasi mai per problemi tecnologici ma di comunicazione e assenza di senso del cambiamento. Anche, perché no, per la paura delle persone di essere sostituite dalle tecnologie.

Dopodiché, cerco di stabilire gli obiettivi del progetto, e insieme ai committenti provo a capire in maniera semplice come portare innovazione, migliorando soprattutto la loro esperienza quotidiana, il “business as usual” su cui lavoreranno tutti i giorni.

Marziale Brusini:

Gestire progetti complessi richiede grandi capacità di leadership, comunicazione, coordinamento e negoziazione. Quando si parla di progetti complessi è importante fare una distinzione tra il significato di “gestione progetto” e “sviluppo del progetto”. Le due attività sono correlate e complementari, ma il “Project Management” deve focalizzarsi sulle attività di coordinamento e comunicazione, per assicurare che il lavoro sia svolto in modo efficiente. Le fasi di sviluppo del progetto, invece, si focalizzano su quali siano le attività da svolgere e su come gestirle in modo adeguato.

All’inizio di un progetto, è fondamentale coinvolgere tutti i professionisti (interni o esterni all’azienda) e definire degli obiettivi comuni in modo inequivocabile. Ciò è fondamentale e non sempre viene fatto con la giusta dovizia. Questa attività di solito viene accompagnata dalla preparazione di un documento di progetto denominato “Project Proposal”.

Le abilità necessarie per portare a termine con successo la fase iniziale di un progetto sono variegate e comprendono:

    • Definire lo scopo del progetto, gli obiettivi e il metodo con cui gli stessi saranno raggiunti
    • Scegliere accuratamente i membri del team e definire gli sponsor del progetto
    • Negoziare tempistiche e budget
    • Ridurre i rischi e aumentare le probabilità di successo
    • Definire una strategia di comunicazione con tutti i membri del progetto

L’esperienza mi ha insegnato che la comunicazione è fondamentale per portare a termine con successo un progetto. Di fatto, sono le persone e non gli strumenti o le applicazioni che possono garantire la riuscita di un progetto complesso. È lapalissiano che le metodologie di Project Management debbano essere comprese ed utilizzate cum grano salis da tutti i membri del progetto.

 

Qual è l'aspetto più appassionante di questo lavoro, e quale quello più difficile?

Emanuele De Pasquale:

L'aspetto più appassionante è l'adrenalina, e ogni giorno essere di fronte a problemi che, grazie all’esperienza, impari a indirizzare e risolvere. Gli aspetti più difficili, invece, sono la resistenza delle persone e le politiche aziendali, derivanti a volte dalla paura, dalla scarsa conoscenza e dal timore di rischiare.

 

Marziale Brusini:

Ciò che contraddistingue gli esseri umani è l’abilità di sapere collaborare anche con degli estranei. La nostra è l’unica specie disposta a collaborare con persone che non fanno parte del nostro “Clan” o della nostra cerchia di fiducia. Riusciamo a creare dei legami di fiducia anche con persone che non abbiamo mai visto in volto. In passato, quando non vi era ancora la possibilità di utilizzare i social e gli strumenti di Smart Working a cui tutti oggi siamo abituati, capitava spesso di collaborare con persone che si conoscevano solo attraverso delle conversazioni telefoniche.

I progetti complessi ci permettono di lavorare con persone che hanno culture, competenze, valori, abilità e doti che si discostano anche molto dalle nostre. Occuparsi di progetti complessi significa lavorare costantemente out of comfort zone, dover improvvisare, negoziare, adattare il piano di lavoro, lavorare con tecnologie innovative e di fatto conoscere ed accettare nuovi approcci alla professione.

L’aspetto più difficile, soprattutto nel settore della trasformazione digitale, è quello di restare al passo con i tempi. La formazione continua dovrebbe essere un “must”. La verità è che oggi un professionista lavora tante ore e a volte sacrifica anche il tempo libero (famiglia, sport, divertimenti, viaggi). Quindi, se da una parte il lavoro ci regala grandi soddisfazioni e ci permette parzialmente di godere di una formazione continua settoriale, purtroppo non sempre ci agevola nello sviluppare una visione olistica del nostro pensiero di Project Manager.

Oltre a quanto sopra, lavorare con le persone non è sempre facile ed il carico emotivo deve essere bilanciato sempre al meglio. Un Project Manager quasi mai ha il controllo diretto delle risorse di progetto. Il continuo dover influenzare e negoziare per portare avanti una o più attività in parallelo a volte può risultare frustrante. In queste situazioni, più che i metodi e gli strumenti standard di gestione di progetto, l’intelligenza emotiva è un fattore determinante. È comunque importante sottolineare che, per gestire delle situazioni complesse, la pratica comune di “Project Management” ci mette a disposizione diversi strumenti e metodi:

    • Responsibility Matrix
    • Stakeholder Analysis
    • Communication Plan
    • Task Assignment
    • Issue Log
    • Statement of Work
    • Control Checklist

 

Quali sono le competenze indispensabili per gestire progetti di questo tipo?

Emanuele De Pasquale:

Tecniche di sicuro, ma non bastano. Nel tempo, ho imparato che anche le soft skills sono fondamentali: competenze quali comunicazione, chiarezza, relazione, negoziazione, assertività, rispetto delle persone, diplomazia, calma.

 

Marziale Brusini:

Citando Ralph Waldo Emerson:

“I metodi possono essere un milione e più, ma i principi sono pochi. L’uomo che afferra i principi può scegliere con successo i suoi metodi. L’uomo che prova i metodi, ignorando i principi, avrà sicuramente dei problemi.”

L’apertura mentale è fondamentale in qualsiasi attività: la metodica, le capacità analitiche, la volontà di tenersi sempre aggiornati, la gestione delle stress e un’ottima flessibilità fanno parte del bagaglio professionale di un/a Project Manager, così come di quello di un/a Leader.

Il paradigma della gestione di Progetto è cambiato negli ultimi anni. In passato si suddivideva la complessità del progetto in strutture più semplici (Work Breakdown Structures) e si gestiva la pianificazione con il diagramma di Gantt. Oggi si parla di metodi “Agili”, che spostano il focus sul feedback costante del cliente e la gestione del team di sviluppo. Nel settore si conoscono oggi almeno quattro metodi che hanno una grande popolarità tra gli addetti al settore: Scrum, eXtreme Programming (XP), Lean e Kanban.

Il percorso dal diagramma di Gantt ai metodi Agili può essere spiegato attraverso un cenno storico con lo sviluppo delle differenti teorie di Management e grazie all’avvento dell’informatica e della trasformazione digitale.

Nel 1960, Douglas McGregor del MIT ribattezzò l'approccio scientifico di Frederick Taylor (il padre delle pratiche scientifiche al management) la Teoria X. Mentre la filosofia comportamentale di Elton Mayo venne definita Teoria Y. Questi due paradigmi, diametralmente opposti, hanno fatto scorrere fiumi d’inchiostro per la stesura di libri che affrontano i temi della gestione operativa delle aziende e dei progetti.

Gli estimatori della Teoria X, come Taylor, hanno una visione più pessimistica del comportamento umano. Credono che le persone siano intrinsecamente pigre e debbano essere spinte a produrre per mezzo di ricompense e punizioni. Taylor credeva che i lavoratori manchino di creatività e ambizione e abbiano poco da offrire al management, oltre al loro tempo lavorativo.

La Teoria Y di Elton Mayo, invece, asserisce che i lavoratori possiedano una motivazione endogena che viene stimolata nel momento in cui l’ambiente di lavoro sia favorevole. I lavoratori sono creativi e dovrebbero essere consultati e coinvolti durante il processo operativo per migliorare la produttività dell’azienda. Questo permette loro di assumersi maggiori responsabilità sul lavoro.

Negli anni '80, la Teoria Y fece un passo avanti. William Ouchi ribattezzò le pratiche di management utilizzate dalle aziende giapponesi come Teoria Z. A metà del 1980, alcuni esperti pensavano che la Teoria Z fosse l'arma segreta del vantaggio competitivo giapponese. Utilizzando queste logiche di gestione, i giapponesi riuniscono dirigenti e lavoratori in gruppi di lavoro coesi. Ognuno fa parte del processo decisionale consensuale. La logica vuole che, quando i lavoratori si sentono partner dell'azienda, diventino più produttivi e si impegnino maggiormente nel loro lavoro.

Poi è arrivato Eric Ries con il libro “Lean Startup”, e i metodi “Agili” hanno iniziato, per necessità oggettive legate al ciclo di vita del software e la possibilità dei clienti di garantire un feedback immediato, a cambiare la morfologia dei metodi di “Project management”.

La precisione, la conoscenza della materia e la metodica sono le fondamenta su cui costruire la nostra maestria. Detto questo, le competenze indispensabili per gestire progetti complessi sono fortemente legate all’utilizzo di soft skills quali le abilità di comunicare, aiutare ed influenzare i membri di progetto. Banalmente, un Project Manager navigato dovrebbe essere in grado di aiutare i componenti del team che hanno delle lacune e fare da ponte tra le varie personalità e competenze che si trovano all’interno del dominio del team di lavoro. Di metodi ne esistono un’infinità, i principi sono sempre pochi.

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Supportare le aziende e le persone nel raggiungere i propri obiettivi accomuna molte figure professionali, specialmente in ambito marketing. Un’agenzia di esperti del settore si occupa proprio di questo, e vede al suo interno, oltre che specialisti con svariate competenze tecniche, anche dei Project Manager impegnati a mediare tra il team e le esigenze dei clienti.

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Articolo a cura di Linkfloyd Sagl, agenzia di marketing e comunicazione in Ticino.


Questo articolo è stato realizzato da Linkfloyd Sagl, non fa parte del contenuto redazionale.
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