Tutto quello che c’è da sapere su uno spionaggio internazionale che vede coinvolta una società di Zugo
Aveva sede in Svizzera, fino a poco tempo fa, una società capace di leggere i messaggi in codice di oltre 120 Paesi. Messaggi cifrati dei servizi segreti riguardanti crisi internazionali, attentati terroristici, guerre. Messaggi che venivano decodificati e letti con estrema facilità proprio da chi vendeva ai servizi segreti di mezzo mondo, le apparecchiature per la crittografia, ossia comunicazioni indecifrabili senza la conoscenza di un dato codice.
Quanto detto non è l’inizio di una storia di fantapolitica, ma ciò che è emerso da una inchiesta giornalistica condotta dal quotidiano statunitense Washington Post, condotta con la televisione pubblica tedesca Zdf e quella svizzero-tedesca Srf, e pubblicata la scorsa settimana: per oltre cinquant’anni una delle più importanti società produttrici di dispositivi per la crittografia, la svizzera Crypto Ag di Zugo, è stata controllata dalla Cia e dalla Bnd, i servizi segreti della Germania Ovest, che avevano così libero accesso ai messaggi, non più segreti, dei propri acquirenti. E per acquirenti si intendono potenze nascenti come l’India ed il Pakistan o strategici quali l’Egitto o il Sud America, solo per citarne alcuni.
La verità in 100 pagine - L’inchiesta si basa su alcuni documenti ufficiali di cui il Washington Post e la Zdf sono entrati in possesso e la cui autenticità non è stata smentita né dalla Cia né dalla Bnd: si tratta di un documento di un centinaio di pagine redatto nel 2004 da un ufficio interno della Cia il cui compito era quello di svolgere delle ricerche storiche sull’attività della agenzia, e da un documento analogo, datato 2008, dell’intelligence tedesca Bnd. Secondo quanto emerso dal documento denominato ‘Minerva’, i dispositivi prodotti dalla Crypto Ag e modificati ad arte dalla Cia, vennero venduti a centinaia di Paesi, dall’Iran all’America Latina, arrivando fino allo Stato del Vaticano. I macchinari per le comunicazioni crittografiche sarebbero quindi ‘truccati’ dai servizi segreti americani che, in questo modo, era in grado di violare i codici segreti scelti dai Paesi acquirenti e di decrittografare i loro messaggi. Il fatto che la Crypto Ag avesse sede in Svizzera, e per la precisione a Steinhausen, Zugo, in un Paese neutrale e non allineato ai blocchi della Guerra Fredda, rappresentava, per gli acquirenti, una sorta di garanzia di comprovata sicurezza.
“E’ il colpo di stato dell’intelligence del secolo- si legge nel rapporto della Cia citato dal Washington Post- i governi stranieri stavano pagando un mucchio di soldi agli Stati Uniti e alla Germania occidentale per far leggere le loro comunicazioni più segrete”.
La Crypto Ag venne fondata, negli anni ’20 del Novecento, da Boris Hagelin, un imprenditore ed inventore russo, che aveva trovato rifugio in Svezia al tempo della rivoluzione bolscevica. Nella sua nuova patria, Hagelin acquistò una società che produceva macchinari per la crittografia trasferendone la produzione negli Stati Uniti dove lui stesso andò a vivere.
Un apparecchio per catturare messaggi - Qui iniziò la produzione di un apparecchio chiamato M-209 che venne ampiamente usato dall’esercito statunitense durante la Seconda guerra mondiale. Durante la Guerra, Hagelin tornò in Svezia e creò un apparecchio che garantiva la creazione di messaggi ancora più difficilmente decifrabili. Gli Stati Uniti erano interessati a che tali apparecchiature venissero vendute ai solo Paesi alleati ed è per tale motivo che, nel 1951, Hagelin strinse un accordo verbale con la Cia secondo il quale la Crypto Ag avrebbe spostato la propria sede a Zugo impegnandosi a vendere i suoi macchinari migliori solo ai Paesi espressamente approvati dagli Stati Uniti. Questo accordo verbale venne rinnovato nel 1960 fino a che, alla fine degli anni ’60, venne inventato un macchinario elettronico l’H-460, completamente progettato dalla Nsa, l’Agenzia di sicurezza nazionale statunitense. Nei documenti storici citati dal Washington Post a questo proposito si legge: “S’immagini l’idea del governo americano che convince un’azienda straniera a costruire macchinari a proprio favore. Stiamo parlando di un nuovo mondo”. Dei macchinari progettati dalla Nsa vennero prodotti due modelli: uno funzionante destinato ai Paesi alleati degli Stati Uniti e uno modificato per il resto del mondo. Nel 1970 la Cia e la Bnd, che qualche anno prima aveva iniziato ad investire anch’essa nella società svizzera, raggiunsero un accordo secondo il quale si impegnarono a pagare 5,75 milioni di dollari ciascuna per rilevare la Crypto Ag.
Nome in codice Minerva - A tale scopo venne coinvolto uno studio legale con sede in Liechtenstein per fare in modo che risultassero segreti i nomi degli acquirenti. A seguito della acquisizione della società elvetica, la Cia e la Bnd nominarono nuovi dirigenti, i quali utilizzarono il nome in codice ‘Minerva’ per riferirsi alla Crypto Ag, mentre l’intera operazione venne prima chiamata ‘Thesaurus’ e poi ‘Rubicon’. Nella realizzazione delle apparecchiature di crittografia vennero, nel tempo, coinvolte anche aziende esterne quali la Siemens per la Germania e la Motorola per gli Stati Uniti che, coinvolte nell’inchiesta del Washington Post, si sono rifiutate di rilasciare alcuna dichiarazione. Ogni anno le due agenzie di sicurezza si spartivano i soldi ricavati dalla vendita delle apparecchiature e, secondo quanto emerso dai documenti della Cia, i tedeschi sembra fossero più interessati ai soldi che alle operazioni di intelligence.
Il controllo diretto della Crypto Ag da parte della Cia e della Bnd ha permesso che tutte le comunicazione segrete dei suoi clienti fossero conosciute dall’agenzia di spionaggio americana e dai servizi segreti tedeschi. Risulta, ad esempio, che, nel 1978, la Nsa monitorasse in segreto le comunicazione del presidente egiziano Anwar Sadat durante l’incontro, a Camp David dei leader di Egitto, Israele e Stati Uniti. Lo stesso dicasi nel novembre del 1979 quando furono presi in ostaggio 52 membri dell’ambasciata statunitense a Teheran oppure nel 1982 quando, durante la Guerra delle Isole Falkland, gli Stati Uniti poterono, servendosi delle apparecchiature della Crypto Ag, inviare al Regno Unito dei messaggi dei servizi segreti argentini debitamente decodificati.
La gaffe di Ronald Reagan - Storica poi è la gaffe di Ronald Reagan nel 1986 che rischiò seriamente di compromettere in maniera irreparabile una delicata operazione di spionaggio portato avanti dalla Cia. Reagan aveva dato ordine di bombardare Tripoli quale rappresaglia per l’attentato terroristico alla discoteca ‘La Belle’ di Berlino dove avevano perso la vita, tra gli altri, anche due soldati americani. In tale occasione il presidente americano citò un messaggio inviato dall’ambasciata libica a Berlino Est nel quale si confermava che l’attentato era avvenuto con successo, facendo dubitare alla Libia della sicurezza dei propri sistemi crittografici.
I milioni della Crypto - Negli anni ’70 le vendite della Crypto Ag subirono una forte impennata, passando da un fatturato di 15 milioni di franchi svizzeri ad uno di 51 milioni di franchi. Negli anni ’80 i macchinari della società elvetica permettevano di decodificare il 40% di tutti i messaggi diplomatici e le comunicazioni segrete intercettate dalla Cia. Tra le grandi potenze coinvolte nel giro di affari della Crypto Ag rimasero però escluse la Russia e la Cina le quali, per diffidenza, preferirono sempre affidarsi a dei propri dispositivi.
Un arresto e un riscatto - Nel 1992 la rete di intelligence creata dalla Cia e dalla Bnd dovette affrontare la sua più grave crisi a seguito dell’arresto, in Iran, di Hans Buehler, uno dei più validi venditori della Crypto Ag: l’accusa mossa nei suoi confronti fu proprio quella di vendere apparecchiature truccate. Buehler venne poi rilasciato grazie al pagamento di un riscatto di 1 milione di dollari da parte della Crypto Ag ma forniti, in realtà, dalla Bnd.
Trema il trono della Crypto - Alla fine degli anni ’80, a seguito della riunificazione della Germania e la fine della Guerra Fredda, la Bnd decise di ritirarsi dal progetto di spionaggio condotto tramite la Crypto Ag ed il 9 settembre del 1993 vendette le sue partecipazioni alla Cia per la cifra di 17 milioni di dollari. Divenuta l’unica azionista della società, quest’ultima continuò ancora per qualche anno la propria attività ma con crescente difficoltà, vista anche l’evoluzione della tecnologia sempre più legata ai software e meno alle apparecchiature di crittografia.
Nel 2017 la sede dell’azienda a Zugo venne ceduta ad una società immobiliare e nel 2018 la Crypto Ag venne venduta e divisa tra la CyOne Security - che vende sistemi di sicurezza al solo governo svizzero - e la Crypto International che si occupa del mercato internazionale. Con riguardo allo scandalo che le ha travolte a seguito dell’inchiesta del Washington Post, entrambe le società hanno negato qualsiasi coinvolgimento con gli Stati Uniti e la Germania. La Crypto International ha inoltre esplicitamente dichiarato di essere all’oscuro dell’attività portata avanti dalla Crypto Ag con i servizi segreti statunitensi e tedeschi.
Non è la prima volta che il mondo giornalistico si interessa dell’azienda produttrice di sistemi di sicurezza elvetica e, nel tempo, si sono susseguite diverse inchieste sul suo coinvolgimento in attività di spionaggio. Già nel 1995 Scott Shane, all’epoca giornalista del Baltimore Sun, trovò delle prove di contatti avvenuti, negli anni ’70, tra la Crypto e l’Agenzia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. La società svizzera si affrettò a smentire e l’inchiesta non ebbe un seguito.
L’inchiesta italiana - Nel 1999 in Italia, il giornalista Luca Mainoldi, firma della rivista di geopolitica Limes, scrisse in un suo articolo che “La Crypto Ag è sospettata da anni di avere uno stretto rapporto di collaborazione con la Nsa”. Citando un articolo del Covert Action Quarterly, pubblicato nel 1997, Mainoldi scrisse che “La Crypto Ag sarebbe gestita dalla Cia e dalla Bnd, con il coinvolgimento della Siemens e della Motorola che forniscono sistemi crittografici ai governi tedesco e americano”. La verità era quindi sotto gli occhi di tutti ma, all’epoca, non si ebbe la voglia o il coraggio di approfondire la vicenda.
Si fa avanti la BBC - Nel 2015 la Bbc condusse una inchiesta che rivelò la collaborazione tra la Crypto Ag e la Nsa, la quale si rifiutò di rilasciare alcuna dichiarazione in merito. Il corposo lavoro giornalistico condotto dalla Bbc si basava sul contenuto di oltre 52 mila pagine di documenti declassificati dalla stessa Agenzia per la sicurezza, comprovanti l’accordo intercorso tra Hagelin e la Cia e le operazioni per decrittografare i messaggi in codice a danno dei propri acquirenti. Insomma, tale argomento, seppur scottante, non è per niente nuovo agli addetti ai lavori anche se, fino ad ora, è stato incapace di suscitare una qualche reazione di rilievo a livello internazionale.Questo fino al 2018 quando, come detto, il giornalista tedesco Peter Muller, che lavora alla Zdf, venne in possesso delle 200 pagine di file relative al caso Crypto, messe prontamente a disposizione del Washington Post e della Srf. In molti hanno voluto vedere un accanimento del Washington Post, dal 2013 di proprietà di Jeff Bezos, fondatore e Ceo del colosso Amazon, nei confronti dell’operato di Donald Trump, essendo noto che tra i due non corra buon sangue visti i ripetuti attacchi pubblici e privati portati avanti negli anni. Rimane il fatto che, quanto scritto dal Washington Post, ha portato alla ribalta una questione di politica fino ad ora scarsamente approfondita, forse per le difficili implicazioni che comporta e che rischiano di minare delicati equilibri internazionali.
Tra i Paesi coinvolti dallo scandalo vi è sicuramente la Svizzera proprio in forza del fatto che la Crypto Ag aveva sede a Zugo. La domanda che tutti si pongono, da che è stata pubblicata l’inchiesta, e se il governo elvetico fosse a conoscenza o meno dell’operato dell’azienda e, in caso di risposta affermativa, perché abbia permesso tali attività. I quotidiani 24heures e la Tribune de Genève hanno lanciato dei commenti lapidari “Quel che si sospettava all’inizio degli anni ’90 era dunque vero. La Svizzera, neutrale e non allineata, ospitava una quasi-agenzia di servizi segreti alleati. E’ molto probabile che la Crypto Ag stesse perseguendo due tipi di attività, alcune irreprensibili e altre ultra segrete sulle quali la Svizzera ha chiuso un occhio in nome della neutralità sotto la dipendenza della Nato”. Secondo la televisione svizzera-tedesca Srf i principali funzionari sapevano ma non hanno fatto nulla mentre il Tages-Anzeiger e il Bund sostengono che “Vuoi si sia trattato di incompetenza, o perché si volevano coprire gli agenti segreti stranieri e si voleva trarre profitto dalle loro scoperte, ora è comunque necessario fare piena luce. E’ l’unico modo per uscire da questo pasticcio”.
Un danno per l’immagine - Sul tema della lesa immagine della neutralità svizzera si oppone però l’ambasciatore svizzero in Iran Tim Guldimann secondo il quale “Quanto successo non avrebbe niente a che vedere con la neutralità”. L'ambasciatore tiene infatti a precisare che, in termini legali, la neutralità non permette alla Svizzera di fornire armi agli stati in guerra mentre la Crypto Ag non vendeva attrezzature militari ma unicamente macchine crittografiche.
Una commissione parlamentare d’inchiesta - Comunque venga posta la questione, anche se in termini tecnici l’immagine di una Svizzera neutrale può essere preservata, nel sentire comune è necessario avviare una commissione d’inchiesta parlamentare per fare luce sul coinvolgimento di funzionari del governo svizzero nella vicenda. Il 14 febbraio scorso il portavoce del Consiglio federale Andrè Simonazzi ha precisato che il governo ha fatto una breve panoramica della situazione, ricordando che il Dipartimento della difesa (Ddps) aveva informato il Consiglio federale in merito alla vicenda Crypto Ag il 5 novembre 2019. Inoltre, fin dal 19 agosto dello scorso anno, il Servizio delle attività informative della Confederazione (Sic) avevano riferito a Viola Amherd, ministra della Difesa, delle informazioni che circolavano sull’attività condotta dalla Crypto Ag. Tali notizie avevano spinto il Dipartimento dell’economia, a metà dicembre scorso, a sospendere l’autorizzazione generale d’esportazione all’impresa.
Nonostante i chiarimenti dati e le rassicurazioni della presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga secondo la quale “ Le speculazioni al momento non hanno senso”, sono in tanti a volere l’istituzione di una commissione d’inchiesta, La stessa Sommaruga ha dichiarato in merito che spetta alle Camere decidere di istituirla e che “Il governo sosterrà come sempre in casi analoghi”. Il Partito Svizzero del Lavoro (Pop/Psdl) ha dichiarato tramite il suo presidente Gavriel Pinson che “Un’inchiesta completa su questo scandalo è un esigenza per noi. E dobbiamo evitare che tutta la questione non finisca sottaciuta o nascosta sotto il tappeto”.
Chi sa, parli - Il 12 febbraio la Procura federale ha fatto sapere che, per il momento non si occupa del caso Crypto, mentre la Delegazione delle Commissioni della gestione del Parlamento vuole avviare una indagine sul caso dell’azienda elvetica e del suo coinvolgimento nelle attività di spionaggio della Cia e del Bnd. Per ora la Delegazione non ha precisato chi intende ascoltare in merito anche se si presume il coinvolgimento di ex consiglieri federali in carica all’epoca dei fatti. Nel dossier della Cia vengono infatti citati i nomi dell’ex consigliere nazionale Georg Stucky, che dal 1992 al 2016, ha fatto parte del consiglio di amministrazione di Crypto e di Kaspar Villiger, ex membro del governo dal 1989 al 2003 ed ex presidente del consiglio di amministrazione di Ubs, che si è limitato a dichiarare che “Le annotazioni della Cia non sono corrette”. Secondo quanto ha rivelato la stampa d'oltre Gottardo anche l'ex ministro della giustizia Arnold Koller era ben informato su quanto accadeva alla Crypto negli anni 90. La "NZZ am Sonntag", basandosi su lettere del 1994, afferma che l'allora ministro dell'economia Jean-Pascal Delamuraz e quello degli esteri, il ticinese Flavio Cotti, fossero informati della situazione. Le missive sarebbero state scritte da un uomo d'affari che lavorava per la distribuzione della società in Iran, arrestato nel 1992. A questa lista già piuttosto corposa si aggiunge anche il nome dell'ex consigliere agli Stati Rolf Schweiger, anche lui membro del Cda fra il 2014 e il 2018.
Verità o speculazioni? - Per il vicecancelliere della Confederazione, André Simonazzi, si tratta solo di speculazioni inopportune. «Al momento attuale non si può sapere in seno al Consiglio federale chi fosse a conoscenza delle attività di spionaggio della Crypto». Insomma dovrà lavorare molto l'ex giudice federale Niklaus Oberholzer, che conduce l'inchiesta sul caso e dovrà ricostruire con cura tutti i fatti. Intervistato da "Le Matin Dimanche" e "SonntagsZeitung", ha parlato di "una delle missioni più appassionanti". Il suo rapporto sarà presentato entro fine giugno.
Sono tante le domande che ancora non hanno ottenuto una risposta nel tentativo, forse, di insabbiare, ancora una volta, una scomoda inchiesta giornalistica.