Dalle ceste portate sulla schiena alle valigette zeppe di denaro sporco, storia di contrabbandi di ieri e di oggi
Secondo il vocabolario Treccani, il termine ‘spallone’ fa riferimento, nel gergo dei contrabbandieri, a colui che porta a spalla il carico di contrabbando. È, quindi, un termine tipico per definire coloro che esportano denaro e merci di contrabbando oltre la frontiera. In Val Vigezzo, tra Italia e Svizzera, a questa storica figura è stata dedicata anche una statua.
Fino al XIX secolo lo strumento del mestiere era la cosiddetta ‘bricolla’, ossia un cesto di paglia intrecciata, dove venivano riposte le merci da esportare illegalmente, mentre si saliva, solitamente dal Nord Italia, verso le montagne di confine della Svizzera e dell’Austria.
Prima sigarette, ora il contante - Ora le modalità di contrabbando sono cambiate ma, nonostante il passare del tempo, gli spalloni vengono ancora usati in attività illecite quali il trasferimento di denaro da un Paese a un altro. Storicamente la tratta più proficua era quella che dall’Italia portava in Svizzera un gran quantitativo di denaro.
Gli spalloni venivano ingaggiati da professionisti elvetici che li mettevano in contatto con committenti italiani, imprenditori, politici e professionisti, interessati a esportare grosse quantitativi di denaro al fine di evadere il fisco. Di solito, il moderno spallone, attraversava la dogana fingendosi un turista in viaggio di piacere in Svizzera ma, in realtà, viaggiava su macchine dotate di doppifondi dove venivano nascosti i soldi da esportare e, in alcuni casi, anche pietre preziose o lingotti d’oro.
Una volta consegnato il denaro a un istituto bancario compiacente, che provvedeva a depositarlo su conti esteri riferibili al committente italiano, lo spallone riceveva la percentuale pattuita per i propri servigi. Il fenomeno è ancora capillarmente diffuso e i metodi per sfuggire ai controlli doganali si arricchiscono di sempre nuove e ingegnose soluzioni: il denaro viene messo in sacchetti sottovuoto per ridurne l’ingombro, oppure nascosto nelle scarpe, nei calzini e, addirittura, nella biancheria intima oltre che negli schienali, braccioli o casse radio delle automobili.
Dall'Europa verso la Confederazione - Nel 2019, nell’ambito di una vasta operazione internazionale coordinata dall’Europol contro il riciclaggio di denaro, sono state identificate 175 persone che fungevano da spalloni nei cantoni di Vaud, Basilea, Argovia e Zurigo. Di loro, ben 78 persone avevano anche il ruolo di reclutare nuovi contrabbandieri.
La portavoce di Fedpol aveva dichiarato, all’epoca dei fatti, che le modalità di reclutamento avveniva tramite annunci pubblicati sui social network o su piattaforme online. Un giro di affari che non ha mai conosciuto crisi e che neanche la pandemia da Covid-19 ha potuto arrestare.
Nel 2020, infatti, il trasporto di valuta, pur con tutte le restrizioni imposte alla libertà di movimento, ha subito una contrazione minore di quel che era lecito aspettarsi, per poi riprendere vigore nel 2021 con la rinnovata possibilità di compiere viaggi internazionali.
Nel primo semestre di quest’anno, l’attività di controllo dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha permesso d'intercettare 3.971 dichiarazioni valutarie, pari al 48% in più rispetto all’anno precedente, per un controvalore di oltre 523 milioni di euro. Dal 1 gennaio al 30 giugno 2021, sono stati individuati 2.487 soggetti che trasportavano illegalmente valuta per oltre 37 milioni di euro di cui 25,3 milioni di euro in entrata mentre oltre 12 milioni di euro erano in uscita dall’Italia.
L’Agenzia delle Dogane ha avuto modo di scoprire un cambio di rotta rispetto a quanto successo in passato. Se un tempo, ad attrarre tale tipo di contrabbando erano i paradisi fiscali del Vecchio continente, quali Svizzera, Liechtenstein e San Marino, ora i flussi di denaro non dichiarato in uscita dall’Italia hanno, come maggiori destinazioni, l’Egitto, l’Albania, il Marocco e la Tunisia. Le rotte di rientro dei capitali, invece, si confermano essere quelle storiche.
I governi corrono ai ripari - In Svizzera, per esempio, è stata intercettata valuta non dichiarata superiore a 500 mila euro per un valore pari a 4,4 milioni di euro. Sono stati intercettati, invece, quasi 700 mila euro provenienti dalla Germania, 618 mila euro dalla Russia e 607 mila dall’Albania.
A tal proposito, bisogna ricordare che proprio il Parlamento albanese ha approvato, il 30 gennaio dello scorso anno, la legge 4/2020 che regolamenta lo scambio automatico d'informazioni tra gli Stati membri della Convenzione Multilaterale per la mutua assistenza ai fini fiscali. Tale decisione rende sicuramente più forte e operativo il CRS, Common Reporting Standard, uno standard informativo per lo scambio automatico d'informazioni sui conti finanziari a livello globale tra le autorità fiscali.
Tale programma è stato messo a punto nel 2014 dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Ocse, al fine di combattere in maniera sempre più efficace la piaga dell’evasione fiscale. Nello specifico, quindi, l’Autorità di controllo albanese può trasmettere automaticamente i dati relativi al conto corrente, e le attività relative al conto stesso, come i dividendi, interessi e contratti di assicurazione, al Paese di residenza del contribuente che utilizzerà tali informazioni per i controlli fiscali dovuti e il calcolo della dichiarazione dei redditi. Il mutuo scambio d'informazioni, tra Paesi, in effetti, è sicuramente uno dei più validi strumenti di lotta all’evasione fiscale che possa esserci.
Di banche e segreti - Nel 2016, anche la Svizzera ha deciso di aderire all’accordo sulla fiscalità del risparmio stilato con l’Unione Europea, e una serie di altri Paesi, che introduce lo scambio automatico di informazioni in base agli standard internazionali fissati dall’Ocse. Fino ad allora, il Paese elvetico forniva informazioni bancarie solo dietro specifica richiesta di un determinato Paese ma la cooperazione non era garantita e quest’ultimo doveva fornire prove evidenti del fatto che il cliente avesse evaso il fisco.
Dal 2018, invece, le informazioni bancarie sui redditi e gli averi depositati da clienti stranieri presso le banche svizzere sono automaticamente comunicati alle autorità fiscali del Paese di provenienza del cliente dell’istituto bancario. Non può non ammettersi che l’esistenza del ‘segreto bancario’ ha, negli anni, fatto la fortuna di numerose banche svizzere dove venivano convogliati copiosi flussi di denaro provenienti da attività illecite. Il segreto bancario era stato introdotto da una legge del 1934, per preservare gli istituti di credito elvetici dall’ingerenza di alcuni Paesi europei, Germania e Francia in primis. In pratica, come accade per avvocati, medici e sacerdoti, il segreto vincolava chi lavorava o aveva lavorato presso una banca di fornire informazioni relative ai clienti della stessa a terze persone.
Secondo la definizione del Dipartimento Federale delle Finanze Elvetico, il segreto bancario «è la protezione dell’ambito privato dei clienti degli istituti bancari da interventi non giustificati da parte dello Stato». Tutto ciò è durato fino al 2008, quando numerosi Paesi, impoveriti dalla gravissima crisi economica mondiale scoppiata proprio quell’anno, hanno deciso di andare a riprendersi, con ogni mezzo possibile, i soldi che, negli anni, facoltosi connazionali avevano distratto dalle casse dello Stato per farli confluire presso prestigiose banche estere.
La strategia di attacco al forziere svizzero è stata inaugurata dagli Stati Uniti che, infliggendo multe salatissime alle principali banche svizzere, quali UBS e Credit Suisse, le ha portate ad aderire alla strategia del denaro pulito. Con l’accordo sullo scambio automatico di informazioni fiscali, poi, è venuto il resto. Ciò che invece non sembra, non solo cambiare, ma neanche ridursi, è l’operato dei contrabbandieri. Che, come detto, hanno inaugurato nuove rotte verso il nord Africa e l’Albania.
Lo scorso marzo, un egiziano di 32 anni residente nel bresciano è stato fermato all’aeroporto ‘Il Caravaggio’ di Orio al Serio, mentre tentava di esportare valuta per un importo pari a 20'245 euro mentre alcuni tunisini sono stati fermati al porto di Palermo, lo scorso maggio, perché in possesso di denaro e valori di ammontare superiore ai 10 mila euro. Lo spallone non si carica più la merce di contrabbando sulle spalle ma la sua figura, modernizzata nei mezzi di trasporto e nelle modalità di esecuzione, continua a resistere nel tempo.