Processo in Appello, ma la richiesta di pena non cambia: carcere a vita per assassinio
L’accusa lo ribadisce: la 41enne russa è la mente del delitto di Monte Carasso.
BELLINZONA - «Se fossimo in Russia, troveremmo un sicario». È su questo SMS dell’imputata 41enne accusata di assassinio per il delitto di Monte Carasso del 2016 che stamani era stato sospeso il processo in Appello. Ed è da qui che nel primo pomeriggio è ricominciata la requisitoria della procuratrice pubblica Chiara Borelli: «Il marito della donna è sempre stato costante su un punto: l’idea di uccidere la ex moglie era dell’imputata».
Per l’accusa - come già sostenuto nel processo di primo grado andato in scena nell’aprile 2019 - la 41enne russa va quindi considerata la mente del delitto consumatosi il 19 luglio 2016 in un’abitazione di Monte Carasso. E alla Corte, presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will, Borelli ha chiesto anche stavolta la condanna al carcere a vita per assassinio.
Le bugie dettate dalla paura - La procuratrice ammette che durante la fase d’inchiesta su determinate questioni il marito ha fornito delle versioni «traballanti». E che nell’ambito dell’intera vicenda non sono mancate le bugie. Bugie che, secondo l’accusa, vanno però inserite e comprese nel contesto in cui sono state pronunciate: «Erano dettate dalla volontà di far rimanere la donna in Svizzera, senza di lei non avrebbe potuto vivere».
Nella sua requisitoria, Borelli ricorda inoltre il profilo del marito rilevato dalla perita giudiziaria: si parla di una personalità dipendente, che autorizza o incoraggia gli altri a prendere la maggior parte delle decisioni importanti e assumerne la responsabilità.
La donna avrebbe quindi spinto l’uomo a uccidere la ex moglie. Sarebbe stato quello il suo piano per uscire dalle difficoltà finanziarie. Non la ricerca di un lavoro, perché - lo ribadisce la procuratrice - lei non aveva intenzione di trovare un impiego. E l’idea di togliere la vita alla vittima, la sera prima del delitto «non era più soltanto un’idea».
Uccisa per fare la “bella vita” - Tutti gli elementi mostrano che è stata lei a voler sopprimere «quella cagna» (così l’imputata aveva definito, in un messaggio, la ex moglie del marito): dalla versione fornita dall’uomo ai messaggi tra di loro, dai ricatti su un suo rientro in Russia alla consapevolezza che lui non l’avrebbe mai abbandonata. «E lei voleva sopprimerla per una passeggiata in montagna o una crociera».
L’imputata in aula - Per quanto riguarda il comportamento processuale dell’imputata in Appello, l’accusa osserva che la 41enne ha tentato di aggiungere particolari o giustificazioni. E nel momento in cui non trovava «un salvagente» in una dichiarazione o un SMS, ha cominciato ad accusare altre persone: «Per esempio affermando che l’interprete l’ha spinta a confessare».
Il risarcimento - L’avvocato Deborah Gobbi - rappresentante legale degli accusatori privati - chiede la conferma della sentenza di primo grado anche per la pretesa di risarcimento per torto morale di complessivi 95’000 franchi a favore dei figli e del padre della vittima. «Certo, l’imputata ha lasciato il lavoro sporco al marito. Ma sapeva che quel 19 luglio del 2016 lui non sarebbe mai rientrato a casa senza aver eliminato la ex moglie» afferma, ribadendo che la 41enne russa «ha raccontato soltanto menzogne». Questo a differenza del marito ticinese che «timidamente è riuscito a liberarsi del macigno che portava dentro di sé».
L’intervento difensivo dell’avvocato Yasar Ravi è previsto per domani, a partire dalle 9.30.