Il 27 ottobre è la Giornata Mondiale dell'Ergoterapia: Stefania Moioli, Co-responsabile del corso di laurea della Supsi, ce ne parla
Poche persone la conoscono, eppure assolve a funzioni molto importanti per la vita delle persone e risolve parecchi problemi. Stiamo parlando dell'Ergoterapia, un metodo curativo che ripristina - attraverso la riemersione delle abilità dell'individuo - un deficit intervenuto nella sua capacità di svolgere una qualche attività quotidiana: può trattarsi di un paziente affetto da demenza come di un piccolo scolaro che ha difficoltà nell'apprendimento della scrittura.
Pionieri dell’Ergoterapia sono stati i due grandi riformatori delle tecniche manicomiali, Philippe Pinel e Vincenzo Chiarugi che, sul finire del diciottesimo secolo, l’applicarono con successo ai malati di mente.
«L'Ergoterapia si occupa delle attività significative che una persona deve svolgere nella sua vita quotidiana» - Alla SUPSI esiste un corso di laurea, la cui Co-responsabile è la Dottoressa Stefania Moioli, che ci fa capire meglio questa disciplina. «Quale è l'attività più importante che fai tutti i giorni, per te? Troviamo assieme il modo che tu possa continuare a farla, nonostante tu abbia dei deficit. Questa è l'ergoterapia» esordisce citando la frase che ripete quando si trova di fronte per la prima volta un paziente con il quale dovrà intraprendere un percorso di cura.
«Un termine che non spiega bene cosa facciamo» - «Il termine ergoterapia in realtà non è esplicito e non spiega cosa facciamo - ammette Moioli - in altre regioni siamo anche chiamati terapisti occupazionali, nel senso che ci occupiamo delle occupazioni significative, importanti per la persona che deve o vuole svolgere nella sua vita quotidiana. Parliamo di lavoro, scuola, partecipazione sociale, le attività ricreative ludiche ma anche quelle attività fondamentali della cura di sè. Un'autrice americana molto conosciuta nel nostro settore dice che "la difficoltà che noi abbiamo per farci capire è che in fondo abbiamo a che fare con le banalità della vita": però quando non si riescono a svolgere, così banali non sono. Sono però quelle banalità che danno un'identità a ognuno di noi - aggiunge - quindi la possibilità che al mattino riusciamo ad alzarci dal letto da soli, a vestirci, a prepararci la colazione, a uscire di casa e a intraprendere ad esempio una professione, una scuola, un apprendistato».
Quando entra in gioco l'ergoterapista - «Il nostro intervento - spiega - nasce originariamente come intervento per chi ha una malattia, una disabilità o ha avuto un incidente e quindi ha una difficoltà momentanea come per esempio chi ha avuto una frattura del polso. Cosa ci differenzia dai fisioterapisti? I fisioterapisti hanno a che fare con il movimento, noi invece agiamo sull'attività. Per svolgere le attività importanti, una persona ha bisogno delle abilità motorie, ma anche delle abilità cognitive. La nostra finalità non è che la persona sappia muoversi, che sia sicura nel cammino, che può essere un obiettivo del fisioterapista: noi diciamo, ma quale attività devi svolgere?».
L'utilizzare l'attività che la persona vuole fare come attività terapeutica - E fa qualche esempio concreto: quello di una persona anziana che vuole andare a fare la spesa nel negozio del paese due volte alla settimana. «Noi lavoriamo sull'attività diretta - dice - facciamo il nostro intervento al domicilio della persona in questo paese specifico, e la accompagniamo. Utilizziamo l'attività che la persona vuole fare come attività terapeutica. Può essere una persona anziana che ha avuto un ictus, una persona che ha un inizio di demenza e quindi non riesce più a ricordarsi che deve fare la spesa o a orientarsi nel paese».
Il metodo applicato - Una volta ricevuta la richiesta di intervento, il metodo applicato per risolvere la problematica della persona si basa ovviamente sull'empirismo scientifico. «Si fa una valutazione di cosa riesce o non riesce a fare la persona, cosa è importante per lei e la osserviamo. Chiediamo di preparaci un caffè per vedere come affronta la gestione di quell'azione. È sicura di vivere da sola? Dove ha difficoltà? In quale attività fa fatica a svolgere? Riesce a cucinare, riesce a fare il bucato?. Da tutto ciò dipende se dobbiamo migliorare le abilità motorie anche per arrivare al negozio che è molto lontano oppure non è realistico questo in tutta sicurezza e quindi dobbiamo prevedere dei mezzi ausiliari».
In Ticino esiste una fondazione che consente di provare questi mezzi. «Li proponiamo, li facciamo provare, insegniamo come utilizzarli nel modo corretto e valutiamo insieme alla persona se questo mezzo ausiliario risponde al bisogno oppure no, se è accettato dalla persona oppure no. Carrozzina elettrica, deambulatore, mezzi ausiliari per vestirsi da soli. Alle persone che hanno un Parkinson e tremano molto, proponiamo delle posate adattate affinché la persona possa mangiare in autonomia»
I luoghi d'intervento: la scuola e la difficoltà di imparare a scrivere - Fra i luoghi dove l'ergoterapista si reca c'è la scuola. Diversi i casi di bambini che hanno difficoltà nell'apprendimento della scrittura.
«È chiaro che la scrittura ha una componente motoria - spiega Moioli - quindi il bambino ha bisogno di sviluppare delle attività motorie ma anche delle abilità visive per scrivere correttamente, scrivere dritto sul foglio, usare bene lo spazio, scrivere dall'alto al basso, da sinistra a destra. Valutiamo in quali aspetti della scrittura stanno le difficoltà e per correggerlo suddividiamo l'attività della scrittura in delle componenti e quindi, che so, il punto critico è la grandezza? Avere un foglio diverso permette al bambino di scrivere sulla riga o di scrivere con una grandezza corretta e costante? A quel punto agiamo sia sulle componenti del bambino, miglioriamo le abilità motorie, ad esempio la motricità fine, la capacità di muovere il polso, le dita, che sugli ausili, proponendo delle penne, delle matite più grandi, più grosse, più leggere affinché scriva meglio, o prevedendo dei fogli diversi, quindi agiamo sui sostegni all'attività, in questo caso il foglio e la penna».
Gli ambiti di vita e di categoria dove è più richiesta in Ticino la figura dell'ergoterapista - Ma in quali ambiti di vita e di categorie di persone è più richiesta la figura dell'ergoterapista? «È stato fatto uno studio a livello svizzero dal 2018 fino all'anno scorso - rivela Moioli - dove è emerso che in Ticino l'ambito della ergoterapia con i bambini occupa uno dei primi posti assieme alla riabilitazione ortopedica dell'arto superiore, quindi la mano; poi gli altri campi di intervento riguardano la riabilitazione neurologica e quello delle demenze».
Il corso di Laurea SUPSI in Ergoterapia: cosa si studia - Il corso di laurea in Ergoterapia della SUPSI prevede diverse materie che abbracciano molti campi del sapere. «Da una parte ci sono delle materie che permettono di conoscere l'essere umano, la persona, quindi dal punto di vista dello sviluppo biologico, psicologico, sociale nelle varie fasi di vita - racconta - perché noi incontriamo le persone. La materia di studio è "Fasi della vita". Studiamo anche l'anatomia, cinesiologia, la fisiologia proprio per capire come la persona si muove nello svolgimento delle attività e quali aspetti influenzano il movimento, e poi tutte le teorie di base dell'ergoterapia che si rifanno alla scienza occupazionale e le discipline affini che sono ad esempio la filosofia, l'etica».
Filosofia e ortopedia: quale il nesso? - Ma cosa ci azzecca la filosofia con il fare ripartire una mano? Moioli risponde che «la visione è quella di incontrare la persona e non la mano, per cui anche nello sviluppo di come si è sviluppata la medicina l'uomo è una mente che ha uno spirito. Ecco perché è indispensabile conoscere tutte le dimensioni dell'essere umano e saperle prendere a carico nell'intervento. Ci sono poi delle basi di conoscenza medica, delle diagnosi e materie che trattano di tematiche come la qualità del sistema sanitario e la qualità dell'intervento. Noi siamo una scuola universitaria professionale - ricorda Moioli - e quindi il metodo scientifico e la pratica basata sull'evidenza scientifica, sono sempre più una materia fondamentale».
Lo stage, la pratica clinica - «Anche il nostro intervento, come per tutte le professioni sanitarie - sottolinea Molioli - è un intervento basato sulle evidenze scientifiche e non può prescindere da una metodologia rigorosa di applicazione anche di quelle che sono le prove di efficacia. E poi ci sono tutti i moduli con dei casi clinici con questa persona che ha questa diagnosi, queste difficoltà, pianificando quale intervento specifico ergoterapico faccio. E poi lo stage, la pratica clinica».
L'ergoterapia sui luoghi di lavoro - Un ambito dove l'ergoterapia interviene è quello dell'ergonomia: performance lavorativa e benessere vengono messi sotto la lente di ingrandimento di questa scienza e il "terapista occupazionale" è presente dove le problematiche legate all'inadeguatezza dell'ambiente e dei suoi ausili a volte sono più evidenti: il luogo di lavoro.
«Noi collaboriamo con la SUVA e con l'AI per fare le valutazioni sul posto del lavoro - dice Moioli - quindi valutazione della scrivania o in quelle aziende dove le mansioni prevedono il sollevamento di pesi, il carico di lavoro. Quindi c'è una valutazione e poi successivamente un'istruzione alla persona su come può svolgere quell'attività in modo preventivo, in modo appunto ergonomico per evitare ad esempio dolore alla schiena, sovraccarico, problemi alle articolazioni. Ma anche criticità dovute all'illuminazione: problemi di vista, disturbi agli occhi dovuti ad ambienti spesso poco illuminati, con molti schermi e luce sbagliata».
In aumento le diagnosi psichiatriche: anche i datori di lavoro ricorrono all'ergoterapia - Una recente indagine di AXA ha certificato che le assenze dai luoghi di lavoro dovute a problemi psichici sono aumentate del 20% nell'ultimo anno. I datori di lavoro per fronteggiare il problema chiamano in soccorso gli ergoterapisti. «Quello che i datori di lavoro ci chiedono - racconta Moioli - ma anche le persone e l'AI, è quello di accompagnare le persone in un percorso di job-coaching, per cui riaccompagnarle a riprendere la loro attività professionale». E come fate? «Innanzitutto abbiamo conosciuto quali sono le difficoltà e le risorse della persona - spiega - poi incontriamo il datore di lavoro, chiediamo quali sono le richieste e le aspettative e poi osserviamo assieme in che cosa consiste questo lavoro e che cosa deve saper fare questa persona per svolgere questa attività».
«Lo psicologo parla e noi agiamo» - Insieme «si sviluppano queste abilità, perché avere una stabilità psico-affettiva - argomenta Moioli - è un prerequisito per poter svolgere un'attività professionale. Però la differenza tra noi e lo psicologo - chiarisce - è che lo psicologo parla, indaga quali sono le cause di questo malessere e attraverso la parola permette alla persona di fare una auto-analisi, di capire il suo stato e attraverso la parola cerca la motivazione: noi invece agiamo, andiamo là. Al di là di quali siano le cause - entra nel dettaglio - un trauma dell'infanzia, un trauma dell'abbandono, una relazione finita, a noi non interessa capire l'origine della sua depressione maggiore o della sua sindrome bipolare (cui starà pensando già uno psichiatra nel suo studio cercando di capire che cosa blocca quella persona a livello mentale): noi andiamo da questa persona, sul luogo di lavoro e la svolgiamo insieme la sua attività».