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I frontalieri e la nuova tassa sulla salute, tra avvocati, ricorsi e chiarimenti

200 euro al mese prelevati dallo stipendio. Se ne parla oggi a Milano in un incontro fra Regione Lombardia e i sindacati italiani e ticinesi
200 euro al mese prelevati dallo stipendio. Se ne parla oggi a Milano in un incontro fra Regione Lombardia e i sindacati italiani e ticinesi

Da una parte, ci si affida ai legali. Da quest'altra, invece, si chiedono chiarimenti a Berna. A cavallo tra Svizzera e Italia, al centro di parecchie discussioni, c’è ormai da diverso tempo la tassa sulla salute. La norma, introdotta e approvata alla fine di dicembre dal Governo e dal Parlamento italiano, non smette di sollevare dubbi, perplessità e contrarietà da entrambi i lati del confine.

Audizione a Milano - Oggi, giovedì 1 febbraio, alle 18, Ocst, Unia, Syna e i sindacati italiani sono stati invitati a un’audizione sull’imposta, organizzata dalla commissione speciale per i rapporti tra Lombardia e Svizzera. «Sarà un incontro interlocutorio - spiega Andrea Puglia, responsabile frontalieri OCST - manifesteremo il nostro dissenso, ribadendo la volontà, qualora ci siano margini legali, di esplorare la possibilità di presentare dei ricorsi. Al tempo stesso, chiederemo alla Regione come intende agire».
La sensazione è che la partita si giochi quasi interamente in Italia. «I margini di manovra sul lato svizzero sono risicati - continua Puglia - Però, la Confederazione può esercitare una pressione di natura politica, in quanto l’imposta sembrerebbe essere contraria agli accordi presi».

Ecco come potrebbe funzionare - La norma, introdotta e approvata alla fine di dicembre dal Governo e dal Parlamento della vicina penisola, prevede, per i vecchi frontalieri, una tassa - dai proponenti definita eufemisticamente “contributo” - fino a 200 euro al mese per aumentare, secondo le intenzioni dell'esecutivo e del legislativo, il salario dei medici e infermieri italiani nelle aree di confine, così da scoraggiare la “fuga” in Ticino.

«È verosimile che l’imposta si pagherà concretamente nel 2025 - spiega Matteo Mandressi, responsabile frontalieri della Cgil di Como - ma la decorrenza giuridica non è chiara e, a oggi, sembrerebbe essere il 2024. Si parla di versamento mensile, ma ci sono ancora tanti aspetti da chiarire». Il calcolo sarà fatto sui redditi del 2024. Entro dicembre, invece, dovranno essere definite le modalità di tassazione o di prelievo. Le regioni di confine decideranno la percentuale dell’aliquota. Al momento, però, non ci sono informazioni, nemmeno di massima, su come avverrà il pagamento (e su chi dovrà fornire i dettagli operativi).

«Non mancano le anomalie» - «I problemi, peraltro non di pochissimo conto, non mancano - continua Mandressi - intanto non si sa ancora se e come avverrà la comunicazione dei dati dei salari da parte della Svizzera, che non può essere fatta secondo l’accordo attuale». Di sicuro, non ci sarà un prelievo alla fonte dallo stipendio. Verosimilmente, dovrà essere un versamento. «Si parla dell’autocertificazione, ma non ci sarebbe modo di controllarne la veridicità. Inoltre, una volta prelevati, non si sa ancora come i soldi finiranno nelle tasche di medici e infermieri, vista anche l’esistenza di un contratto sanitario nazionale».

Il sindacalista non risparmia un affondo politico verso la maggioranza di centrodestra nazionale e regionale: «Hanno distrutto la sanità pubblica e hanno trovato una scorciatoia deresponsabilizzante per togliere i soldi a una categoria di lavoratori per darli a un'altra. Il personale sanitario cerca lavoro in Ticino perché i nostri contratti nazionali non sono all’altezza e il sistema sanitario nazionale è inefficiente. Per questo, ci sono evidenti responsabilità politiche».

In Italia, Cgil, Cisl e Uil, attraverso i propri avvocati, stanno verificando la legittimità costituzionale del provvedimento, che si basa su due questioni: l’universalità del servizio pubblico nazionale e la doppia imposizione dei frontalieri. In Ticino, UNIA ha contattato gli uffici dell’amministrazione per chiedere quale fosse la posizione della Confederazione in merito alla nuova tassa.
«Si tratta di una tassa ingiusta - commenta il segretario regionale Giangio Gargantini - Si cerca di far passare l’idea che i frontalieri non paghino le tasse, mentre quest’anno i ristorni hanno superato i cento milioni di franchi. Inoltre, sembra in contraddizione con l’accordo fiscale appena firmato». Gargantini ci tiene a sottolineare come la sua e quella di Unia sia «una battaglia di giustizia sociale a difesa dei diritti dei lavoratori: riteniamo un ragionamento sbagliato, invece, parlare solo in termini di conseguenze negative sulla competitività delle aziende».

«Abbiamo chiesto un parere all’esecutivo» - AITI ha chiesto al Consiglio federale di chiarire la questione. «Ci siamo rivolti al Governo per avere il parere dell’autorità centrale - spiega il direttore Stefano Modenini - ci sono però delle questioni ancora non chiare e la protesta sta montando, anche se l’Italia non sembra intenzionata a fare marcia indietro». Berna ha fatto sapere di aver avviato una verifica approfondita e di essere pronta a intervenire in caso di criticità.
Il comparto manifatturiero conta 16’660 frontalieri: «Il numero è più o meno stabile da 40 anni - conclude Modenini - ci sono molti “vecchi frontalieri”, quindi interessati dalla norma. I datori di lavoro chiedono informazioni e, dal nostro punto di vista, crediamo sia giusto sapere se, secondo la Svizzera, questa norma possa rappresentare una violazione degli accordi internazionali».

Sul sito change.org è stata lanciata una petizione online in cui si chiede l’annullamento della legge: lanciata il 5 gennaio, ha raggiunto quasi 11mila firme. «I frontalieri contribuiscono da sempre alla sanità italiana tramite le trattenute di imposta alla fonte e i relativi ristorni che la Svizzera rende all'Italia e in parte vanno ai comuni di frontiera. Per questo, già nel 2016, il Ministero della Salute si era espresso dichiarando che per i frontalieri non è dovuto alcun contributo aggiuntivo per la sanità».


Appendice 1

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