A esprimersi è stata anche una vittima: «Tanti bei discorsi, ma la polizia mi ha lasciata da sola, sanguinante e con i vestiti strappati».
«Si può fare ancora molto per combattere la violenza domestica». È con queste parole che si è conclusa, ieri sera all'Ospedale regionale di Bellinzona, la conferenza sul tema organizzata dall'Ente Ospedaliero Cantonale (EOC). A prendervi parte sono stati numerosi interlocutori, membri sia della comunità medica sia della rete di sostegno composta dal Servizio aiuto alle vittime (LAV), le case protette, la polizia e l'Autorità regionale di protezione (ARP).
«Sappiamo che i casi di violenza domestica che vengono segnalati rappresentano tra il 15 e il 20% di quelli reali», ha detto Marina Lang, psicologa e responsabile del centro competenze violenza della Polizia cantonale. «La grande sfida è quella di intercettare tutto quello che rimane sommerso, e che finisce per sfociare in eventi molto gravi, persino nell'omicidio».
Schiacciati dal segreto professionale - Al nocciolo del problema, secondo i sanitari, vi è però una sentenza emessa dal Tribunale federale nel marzo 2021, che ha stravolto le regole del gioco. «Ora l'obbligo di denuncia alle autorità, per il personale sanitario, sussiste solo in caso di decesso del paziente. In precedenza la Legge sanitaria prevedeva invece l'obbligo di denuncia di tutti i reati perseguibili d'ufficio anche senza il consenso del paziente», ha sottolineato il dottor Mattia Lepori, vice capo area medica dell'EOC.
E il nuovo quadro legale si fa sentire, e non poco: «Su 161 casi di violenza domestica rilevati dall'EOC tra gennaio e settembre 2023, solo il 30% delle vittime ha acconsentito alla segnalazione diretta del pronto soccorso alla magistratura».
Per i sanitari, di conseguenza, «il margine di manovra al momento è decisamente ristretto», ha continuato Leopori. «Fortunatamente, in caso di coinvolgimento di minori, ci resta la facoltà di segnalare all'Autorità regionale di protezione (ARP)».
I campanelli d'allarme - A prendere la parola è poi stato Alessandro Bianchi, medico al pronto soccorso dell'Ospedale La Carità di Locarno. «Non siamo degli inquirenti, siamo sanitari, ma non dobbiamo prendere tutto per vero. Occorre drizzare le antenne se il paziente viene più volte in pronto soccorso con lesioni sospette o se i nostri rilievi medici sono incompatibili con quanto ci racconta. Anche un paziente che appare in forte stato di disagio o stress e la presenza di un accompagnatore "invadente" possono essere dei campanelli d'allarme».
Quando questi segnali sono presenti, in pronto soccorso viene effettuata una "valutazione del rischio". Se il paziente viene giudicato ad alto rischio, ovvero si teme per la sua incolumità, «possiamo proporre il coinvolgimento della polizia o delle case protette, ma anche delle soluzioni familiari o un ricovero ospedaliero», ha chiosato Bianchi. «So che quest'ultima proposta può sembrare strana, ma ricordiamoci che l'ospedale è un luogo, oltre che di cura, di protezione».
Prevenire è meglio che curare - Diverso, invece, il ruolo della polizia. «Su 1¦037 interventi di polizia svolti nel 2023 a causa della violenza domestica, in 864 casi non è stato rilevato un reato penale», ha detto Marina Lang. «Da due anni a questa parte la Polizia si sta però attivando anche nell'ambito delle situazioni di disagio familiare con un certo potenziale di rischio, facendo entrare in campo il Gruppo prevenzione e negoziazione. Quest'ultimo interviene quando le pattuglie rilevano che, nel caso concreto, ci si sta dirigendo verso azioni gravi. A quel punto le persone coinvolte vengono invitate ad un colloquio, e la stragrande maggioranza accetta». Durante questi colloqui «spesso emergono delle dipendenze di sottofondo, dei disturbi psichici o dei disagi economico-sociali, e noi come forze dell'ordine possiamo offrire un aiuto, illustrando a queste persone le risorse disponibili e consigliando loro a chi rivolgersi nella rete sociale».
Confessioni in farmacia - Una risorsa, per le vittime, è anche rappresentata dalle farmacie. «Sul nostro territorio le farmacie sono tantissime e sono un punto di contatto privilegiato per la popolazione», ha detto Peter Burkard, presidente dell'Ordine dei farmacisti del Canton Ticino. «Il 20% dei farmacisti e assistenti di farmacia ha dichiarato, nel quadro di un'indagine svolta in Ticino, che negli ultimi due anni almeno un cliente gli ha confessato di essere vittima di violenza domestica. Eppure il 94% dei farmacisti e assistenti di farmacia afferma di non aver mai svolto una formazione specifica sul tema».
Per le vittime di reati - «Spesso le vittime di violenza domestica non hanno accesso alle informazioni che necessitano», ha dichiarato dal canto suo Kim Savoy, del Servizio di aiuto alle vittime di reati (LAV). «Noi le supportiamo, le colleghiamo al resto della rete, le aiutiamo a coprire eventuali spese mediche e, in caso l'autore della violenza viva con loro, ci assicuriamo che le fatture non arrivino a casa». La LAV «interviene però solo se la persona è rimasta vittima di un reato penale», viene puntualizzato.
«Per noi basta la paura» - Più largo il margine di manovra delle case protette. Simona, dell'Associazione Consultorio e Casa delle donne, ha infatti spiegato che queste strutture sono aperte a tutte le donne che hanno subito, in varie forme, violenza domestica. «Parliamo di violenza psichica (sociale ed economica), fisica o sessuale, di stalking e di matrimoni forzati. Noi interveniamo anche quando non è stato commesso alcun reato: è sufficiente il sentimento di paura della vittima per andare in protezione».
«La polizia mi ha lasciata lì, sanguinante e con i vestiti strappati» - Alla conferenza era però presente anche una vittima di violenza domestica, una 60enne ticinese che ha voluto raccontare la sua storia. «I discorsi odierni sono stati belli e utili, ma la vita vera delle vittime è diversa», ha esordito. «Quando il mio ex mi ha aggredita ho chiamato il 117 ed è arrivata la Polizia comunale. Io ho detto loro che lui mi aveva presa per il collo e che aveva provato a strangolarmi. Gli agenti si sono però limitati a farmi l'alcol test e mi hanno lasciata a casa da sola, sanguinante e con i vestiti strappati, dicendomi "hai 90 giorni per denunciare". Io l'ho fatto, ma dopo un mese alla Farera il mio ex era già fuori».
La donna ha infine rimarcato la necessità di introdurre un numero d'emergenza, attivo 24 ore su 24, pensato appositamente per le vittime di violenza domestica. «Io ho scoperto cosa dovevo fare solo strada facendo», ha concluso.