Ordinato un trattamento terapeutico in una struttura chiusa per la 20enne che lo scorso anno a Sala Capriasca appiccò il fuoco in casa.
LUGANO - «Era in preda a una scompenso psicotico. E non era in grado di valutare il carattere illecito degli atti che stava commettendo». È questo, in breve, quel che è emerso oggi durante il processo della 20enne ticinese che il 4 agosto 2023 a Sala Capriasca appiccò il fuoco in casa sua, ferendo gravemente suo padre.
Per la giovane, affetta da psicosi non organica non specifica, è stato ordinato un trattamento terapeutico stazionario in una struttura chiusa per la cura delle sue turbe psichiche.
«Appare evidente che l'imputata necessita di cure specialistiche che possono esserle garantite solo in una struttura chiusa preposta», ha spiegato il giudice Amos Pagnamenta. «Non poteva però non sapere che a quell’ora della notte in casa vi fossero i suoi familiari, e che appiccando il fuoco potesse quindi causare la loro morte», ha sottolineato, confermando la condanna della 20enne sia per tentato omicidio intenzionale sia per incendio intenzionale.
«Ho sparso la benzina e appiccato il fuoco» - L'imputata, interrogata dal giudice, ha ricostruito quanto accaduto il giorno precedente ai fatti. «Sono andata con il bus alla Foce, ho fumato un po' di marijuana e bevuto della birra, poi sono andata a Cornaredo e infine a casa. Sono rimasta sveglia fino a circa mezzanotte, quindi ho cercato di dormire. In quel momento avevo questi pensieri di fuoco e cose del genere», ha raccontato.
«Ho quindi cominciato a prendere un po' di cose dalla mia stanza e le ho messe in macchina, poi ho preso una tanica di benzina che ho trovato in garage. Ho sparso la benzina sul divano e sulle scale, dopodiché ho preso l'accendino e ho acceso prima il divano e poi le scale». A quel punto la tanica di benzina le è caduta e la ragazza è corsa in macchina, tentando di fuggire. «Ho provato ad avviarla ma, essendo elettrica, era collegata alla carica e non riuscivo a staccarla. Ho tranciato il cavo della corrente, ma non funzionava lo stesso».
«Non so spiegare perché l'ho fatto» - «Non so spiegare perché l'ho fatto, ero molto agitata», ha continuato la 20enne. «Ero così impanicata che non ho minimamente pensato al fatto che i miei familiari fossero in casa». «Suo padre ha però dichiarato che lei l'ha visto sulle scale e ciononostante ha riattizzato il fuoco», ha osservato però il giudice. «Sulle scale non ho visto mio padre e non l'ho nemmeno sentito», ha replicato l'imputata.
La giovane ha quindi descritto a sue parole il disturbo psichico di cui soffre: «Vedo le cose un po' differenti dagli altri, sono più sensibile, a volte mi capita di perdere il controllo delle mie emozioni e tutto è più amplificato».
Il padre in ospedale per oltre un anno - La parola è quindi passata all'avvocato Sandra Xavier, rappresentante della vittima. «Non chiediamo nessun risarcimento per torto morale. L'unico obiettivo del padre è che la figlia venga curata e seguita in modo adeguato. Sottolineo comunque che è un miracolo che il padre sia sopravvissuto. È stato dimesso dall'ospedale solo tre settimane fa».
«Deve essere aiutata» - «I fatti sono integralmente ammessi», ha detto dal canto suo il procuratore pubblico Simone Barca, proponendo un trattamento stazionario in una struttura chiusa per la cura delle turbe psichiche. «L'imputata si è assunta le sue responsabilità ed ha agito perché affetta da una psicosi non organica, di conseguenza non era in grado di valutare l'illiceità degli atti da lei commessi. Questa giovane deve essere aiutata per cercare di ricominciare».
«Quella notte la malattia ha prevalso» - A esprimersi è stata infine la difesa, che si è detta d'accordo sul trattamento stazionario, chiedendo però il proscioglimento della giovane dall'accusa di tentato omicidio. «L'imputata è una ragazza giovanissima che sin dal primo momento ha cercato di spiegare quanto accaduto quella notte», ha sottolineato l'avvocato Maricia Dazzi. «Ha collaborato pienamente e ha sopportato un lungo periodo di detenzione. Purtroppo la malattia quella notte ha prevalso sulla sua volontà: la crisi psicotica è stata preponderante rispetto al suo affetto verso i familiari».
«Non voleva far male a nessuno» - «La ragazza presente in aula oggi non è la stessa che ha appiccato il fuoco in casa sua», ha insistito Dazzi. «Va comunque sottolineato che ha dato fuoco a un'area della casa in cui non c'era nessuno, seguendo unicamente l'impulso che stava sentendo. Non aveva insomma nessuna intenzione di fare del male a terze persone e non aveva visto suo padre sulle scale. Si chiede perciò che la misura terapeutica venga disposta unicamente per il reato di incendio, e non per tentato omicidio».
La difesa ha infine giudicato «di estrema gravità» il fatto che la 20enne si trovi ormai da oltre un anno alla Farera per mancanza di posto nelle strutture terapeutiche rossocrociate. «Questa ragazza ha solamente bisogno di un'occasione, quella di combattere contro i mostri che l'hanno guidata quella sera».