Il Ticino delle bellezze naturali ma anche dei 1700 luoghi inquinati. E alle antiche violenze verso il territorio, talvolta se ne aggiungono di nuove. Come mostra questo fotoreportage
TAVERNE/PONTE CAPRIASCA - Con i suoi 27 anni di ininterrotta attività quella di Valle della Motta a Coldrerio è la madre delle discariche ticinesi. Le altre sono nascoste e quasi non le vedi. Gli scarti delle attività passate dell’uomo, come sotto un tappeto verde, sono oggi celati agli sguardi dai boschi che negli scorsi decenni li hanno pietosamente ricoperti. Ma ogni tanto, dalle maglie infeltrite di quel fragile tessuto naturale che le occulta, qualcosa filtra. E non è mai un bel vedere.
È stato monitorato, analizzato e alla fine anche il Cantone ha detto che in quell’acqua rossa che fuoriesce da un tubo di cemento alla base del pendio tra Taverne e Ponte Capriasca non ci sono inquinanti. Ma “solo” residui ferrosi. Eppure ancora oggi ad osservarlo quel rigagnolo, che si immette nella Rovagina e poi nel Vedeggio, fa pensare a qualcosa di poco naturale. Soprattutto per colpa di una schiuma che si cristallizza in spugne, quasi marine, color bianco-ruggine.
La polemica è servita - A lanciare il sasso nello stagno di quel rigagnolo, solo due anni, era stata la Lega di Ponte Capriasca che sulla propria pagina Facebook denunciò «l’ultima scoperta!», ovvero «un bel riale color ruggine» e indicando indirettamente l’azienda di compostaggio situata sopra il terrapieno. Nel clima preelettorale i rappresentanti del movimento promisero: «Gli scempi e gli abusi saranno sconfitti».
Il bersaglio mancato ma... - Occorre subito chiarire che l'acqua che fuoriesce da quel tubo nulla ha a che vedere con le attività di compostaggio poste decisamente più a monte. Ma la segnalazione battagliera ebbe, forse, il merito di contribuire a ripulire la zona dalle plastiche che allora si vedevano, nelle fotografie su Facebook, spuntare dalla rete metallica che contiene lo zoccolo del terrapieno. Oggi sembrano sparite.
La vecchia discarica Agustoni - A differenza delle terre rosse che si possono ammirare in molte zone del Ticino, ad esempio nei sentieri sotto Arosio, la sostanza che impregna il terreno alla base del pendio di Taverne non pare di origine naturale. Nessuno ci ha mai messo veramente mano. Si sa però che l’acqua rugginosa non è inquinata, ma sarebbe riconducibile agli scarti ferrosi depositati nella vecchia discarica Augustoni di cui il tubo è un vecchio drenaggio.
Le condotte in rovina - Risalendo a piedi la ripida scarpata, aggirando gli alberi caduti e la vegetazione infestante, ci si imbatte in un'altra condotta, per gran parte in rovina e ricoperta dal muschio. Sotto il sottile strato di terra si trovano ottantamila metri cubi di materiale di scavo e rifiuti edili, gettati lì tra il 1970 e il 1993. In alcuni punti, dove il pendio è franato, spunta ciò che sta sotto: piastrelle, tubi di plastica e tondini di ferro. Filtra attraverso questa mistura, come in un tè che nessuno si sognerebbe di bere, l’acqua che poi fuoriesce dal vecchio tubo di drenaggio in cemento: magari qualcuno potrebbe trovarci anche virtù terapeutiche. Chissà?!
«Non è colpa nostra» - Il bosco ha fatto un ottimo lavoro, facendo quasi scomparire la discarica degli anni ruggenti, di quando il Ticino ha costruito, costruito, costruito con poca o niente sensibilità ecologica. E così in molti hanno attribuito colpe ingiuste: «Sono trent’anni che lavoro qui - racconta Sergio Benicchio della Caìscio Compost - e a scadenza di 4 o 5 anni la gente dimentica. E allora esce un articolo dove si sostiene che noi inquiniamo il riale. Ma non è vero niente, scontiamo semplicemente il fatto di sorgere sopra un sito inquinato».
Per scoprire il Ticino dei luoghi inquinati non è necessario mettere gli scarponi, basta pigiare qualche tasto sul sito del Cantone. Il link è quello dell’Osservatorio ambientale della Svizzera Italiana. Fa una certa impressione vedere indicato sulla mappa il catasto aggiornato di tutti i 1.700 siti inquinati censiti dall’Ufficio dei rifiuti e dei siti inquinati (Ursi). Di questi, viene spiegato, il 72% sono siti aziendali, il 4% impianti di tiro, il 23,7% siti di deposito e lo 0.3% siti di incidente.
Pochi allarmi rossi - Esiste poi una classificazione dei siti inquinati secondo il loro potenziale pericolo. La stragrande maggioranza delle discariche sono indicate con un pallino giallo, il che significa che «non sono prevedibili effetti dannosi o molesti». È il caso dei quattro siti censiti sul pianoro di Caìscio tra Taverne e Ponte Capriasca. Pochi i punti rossi, che segnalano la necessità di un risanamento. Attualmente dei circa 490 siti indagati solo l’11% richiede un intervento attivo (il 7% necessità una sorveglianza e il 4% un risanamento).
Stand di tiro e gasolio - I siti contaminati più pericolosi dal punto di vista ambientale, spiega ancora il sito, sono già stati risanati oppure il loro risanamento è pianificato e/o è in corso. E il Cantone cita, come esempio, il sito della discarica ex Miranco di Stabio e il sito ex Galvachrom di Monteceneri-Rivera. Tra i luoghi da risanare la mappa virtuale ne indica tre nel Bellinzonese: gli impianti di tiro a Giubiasco e Cadenazzo e, sempre in quest’ultimo comune, un sito contaminato da fuoriuscita di gasolio nel 2006.
Quando si sale lungo la strada cantonale per Ponte Capriasca, all’inizio del pianoro di Caìscio si incontra l’omonima azienda, indicata anche dal cartello come “Piazza di compostaggio regionale”. «La sua presenza in quella zona - commenta Crystian Barudoni, consigliere comunale a Ponte Capriasca per il gruppo Lega-Udc-Indipendenti - resta un annoso problema che purtroppo non siamo riusciti a risolvere». E aggiunge: «Probabilmente per quel centro ci sono interessi di forza maggiore, penso al Cantone e alla difficoltà di trovare luoghi per gli scarti vegetali. Secondo noi è completamente abusivo e non potrebbe esistere. Ma sinceramente ho perso la voglia di andare avanti con questa battaglia».
L’affaire compostaggio - È un tema caldo in questi ultimi mesi. Complice una sentenza del Tribunale federale che ha annullato alla Compodino di Gordola un sostanzioso appalto per trattare gli scarti vegetali del Comune di Locarno. La polemica infiamma perché dei tredici impianti di compostaggio attivi pochissimi sarebbero a norma. E chi, come la Tricomix di Sant’Antonino, ha investito per essere all’avanguardia, si lamenta per una concorrenza non proprio leale.
L’obbligo di non scavare - A cavallo tra il territorio di Taverne e Ponte Capriasca, l’azienda Caìscio risulta in parte autorizzata e in parte no. «Sorgendo sopra un sito inquinato abbiamo la proibizione di scavare. Ma noi facciamo un’attività di superficie. È un obbligo che ho assunto quando ho acquistato il terreno. Qui sotto dovrebbe esserci solo materiale edile… ma non ci metto la firma. Perché allora si faceva di tutto e di più» spiega il titolare dell’azienda, Sergio Benicchio.
Cinque dipendenti e una miriade di Microorganismi - Il titolare della Caìscio può dirsi il pioniere - è attivo da quasi trent’anni - per il compost in Ticino. Di più: «Grazie all’impiego degli EM, microrganismi che accelerano la naturale decomposizione degli scarti organici, siamo citati, non per imbrodarmi, come esempio in Europa». Un po’ meno profeti in patria, ma Benicchio se la prende con la legislazione elvetica: «In Europa il compostaggio si fa solo sui terreni agricoli ed è proibito su quelli industriali. È solo la Svizzera, per questa sua smania di essere sempre la migliore della classe, a fare l’esatto contrario. Ed è illogico, perché alla fine è il contadino il fruitore maggiore del prodotto finale, il compost».
Tutti compost, anzi no - Da Benicchio arriva un’inattesa difesa della ditta Compodino: «Ci sono due ditte che in Ticino fanno il compost perfetto, noi e loro. E poi c’è Bassi della Tricomix con la sua bella attrezzatura, ma tutto il resto non viene smaltito secondo i parametri obbligatori della Confederazione». Tutti gli altri, sostiene, buttano fuori il compost fresco, non maturo. «La Compodino - aggiunge - è finita nell’occhio del ciclone per colpa delle autorità. Sono loro ad averli fatti finire su un terreno agricolo». Punti di vista per una questione aperta da trent’anni.
In regola a metà - A chi attacca la Caìscio, il titolare ribatte: «Ci siamo installati sulla vecchia piazza di compostaggio di Taverne. Qui i nostri primi quattromila metri sono a catasto come AEP, cioè attrezzatura pubblica e con la specifica di compostaggio. Su questo terreno facciamo tutta la lavorazione. Dove non siamo autorizzati è in quella parte sul territorio di Ponte Capriasca. Siamo in un limbo». Un limbo che potrebbe trasformarsi in Paradiso o Inferno. Di sicuro il Dipartimento del territorio è impegnato per l'allestimento di un Piano di utilizzazione cantonale (Puc) che possa contribuire a mettere a norma l'attività.
Lo sfalcio del contratto - «Lo scorso anno abbiamo trattato 18mila tonnellate di scarti vegetali in entrata e la maggior parte del compost prodotto è andata ai contadini. Ed è una bella quantità se si pensa che il Ticino ne produce al massimo 50mila. Quasi la metà degli scarti vegetali del cantone passa da qui». Ma forse sarebbe meglio dire passava: «Quest’anno è più dura. Ma conto di arrivare comunque a diecimila tonnellate. L’apporto è diminuito perché sono venuti a mancare, e ancora mi chiedo perché, tutti gli sfalci lungo le autostrade che per contratto trattavamo». Da nostre informazioni gli sfalci autostradali non finiscono più al compostaggio ma direttamente all'inceneritore perché sono materiali reputati inquinati dal traffico delle auto. Inoltre negli ultimi anni l'aumento delle neofite invasive lungo l'A2 consiglia il passaggio diretto di questo verde nelle fiamme.
Proseguiamo la risalita del pendio e oltrepassata la Caìscio si entra nel malcostume di oggi. Quello che si trova molte volte a bordo strada. Ma qui è peggio. Addirittura qualcuno si è liberato di un sacco usato per trasportare la merce con l'elicottero. E poi vasi e altre plastiche che la vegetazione fatica a digerire.
Il deposito edile - Il paesaggio desolante della pianura di Caìscio è completato da due depositi. Uno ampio dove l’impresa Edilcapri staziona con materiali da ripiena e macchinari. Anche questa non autorizzata. C’è stato pure un diniego di licenza edilizia, ma l’impresa l’ha impugnato e tutto è fermo da un anno e mezzo negli uffici del Cantone. Non ha fretta il presidente dell’impresa, Franco Lepori: «Quando l’attività si fermerà, si chiuderà anche questo deposito - dice -. Per ora è importantissimo, senza quel terreno chiuderemmo».
L’accordo "bonale" - Il problema, prosegue il resposabile della Edilcapri, è «che in tutta la Capriasca non esiste un metro quadrato di zona industriale. Ho comprato quel terreno 40 anni fa ed è sempre stato così. C’era anche un progetto del Municipio di Ponte Capriasca per farne una zona artigianale. Noi avevamo anche dato a titolo gratuito la possibilità al Comune di depositare circa seimila metri cubi di materiale dallo scavo per il palazzo civico. Era tutta una cosa bonale (in via amichevole, extragiudiziale, ndr)».
Attenti al cane - A completare il viaggio nella terra degli inerti ci si imbatte in una strana recinzione, cui è affissa una segnaletica degna di Fort Knox: “Divieto di sosta”, “Area videosorvegliata” e “Attenti al cane e al padrone”. Ma di pastori tedeschi neanche l’ombra, il recinto protegge solo delle casse in ferro contenenti poca legna da ardere e dei trattori. Regna il disordine. Più tranquillizzante invece il cartello che sorge dall’altra parte della strada: “Vietato depositare rifiuti o scarti di qualsiasi genere”. Firmato: "Il Municipio". E in caratteri minutissimi: “Multa ai contravventori”.