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I 60 giorni più difficili di Daniel Koch

Per due mesi ha avuto i riflettori puntati addosso. È stata la voce più ascoltata durante il Covid.
Per due mesi ha avuto i riflettori puntati addosso. È stata la voce più ascoltata durante il Covid.
Scelte difficili. Annunci. Proclami. Critiche. Affermazioni che hanno diviso il paese. Tutto quello che dovete sapere su colui che è stato definito "Mister Covid"

Il 31 maggio Daniel Koch, meglio conosciuto come "Mister Covid", si è buttato nel fiume Aare. In giacca e cravatta, ma con una muta da sub sotto gli abiti, il medico svizzero si è immerso nelle acque del fiume reso famoso da una frase pronunciata durante una conferenza stampa, e poi divenuta un recente tormentone: «Die Aare wird bebadbar sein». Un gioco di parole per confermare che, all’arrivo del primo caldo, il fiume Aare sarebbe potuto essere considerato come perfettamente balneabile. Una trovata in perfetto stile Koch, ironica e di sicuro impatto, per celebrare, non solo la sua recente andata in pensione, ma anche l’allentamento del clima di paura e tensione dovuto alla pandemia da Covid-19 che, per mesi, ha attanagliato la Svizzera ed il mondo intero.


Capitolo 1

"Mister Covid"


KeystoneDaniel Koch e il consigliere federale Alain Berset al termine di una conferenza stampa sulla situazione del coronavirus (Berna, 6 marzo 2020).

KeystoneDaniel Koch e il presidente centrale della Società Svizzera di Salvataggio (SSS) Rudolf Schwabe. Da giugno Koch è ambasciatore della SSS.

L'ottavo consigliere federale - “Sono uno svizzero normale” dice di sé Koch, con malcelata modestia, pur essendo perfettamente conscio di essere diventato, in pochi mesi, un famoso personaggio pubblico. Per gli svizzeri Daniel Koch è "Mister Covid", colui che, allo scoppio della pandemia, ha gestito tutte le conferenze stampa con i media elvetici quale capo della Divisione malattie infettive presso l’Ufficio federale della sanità pubblica elvetica, Ufsp o Bag in tedesco. La sua immagine rassicurante, «sempre con una cravatta diversa» come ha detto il consigliere federale Alain Berset, l’aria imperturbabile, la sottile ironia lo hanno reso una figura famigliare per gli svizzeri, una sorta di "ottavo consigliere federale" nella Svizzera tedesca. Fanno scuola i toni pacati nel gestire la crisi, anche nei mesi più bui: «È una buona domanda» diceva spesso ai giornalisti che gli ponevano le domande anche se poi esprimeva un parere ad essi contrario. Oppure «la situazione è rallegrante» quando i numeri delle persone contagiate o decedute hanno iniziato a calare: nessun tono enfatico ma molto senso pratico tanto apprezzato dalla maggior parte degli elvetici.

Freddezza con un pizzico d'ironia - Uno stile ironico che gli è valso la candidatura all’Humor Shovel 2020 al Festival di Arosa. Nonostante l’ironia non sia un tratto caratteristico del tipico funzionario pubblico, come spiegato dal direttore del festival Frank Baumann, secondo il direttore Pascal Jenny «Daniel Koch ha svolto un lavoro eccellente e di valore superiore nella gestione della crisi». Impressionante, secondo Jenny, è stata la «freddezza mediatica» di Koch che lo stesso «ha sempre condito con un pizzico di ironia». Solo il 5 dicembre si saprà se Koch vincerà la "Pala dell’Umorismo 2020", premio che, ogni anno, viene assegnato a personalità del mondo dello sport, della cultura, della politica e dell’economia.

Una lunga carriera medica - Anche se Koch ha conquistato una estesa fama pubblica solo negli ultimi mesi, la sua carriera medica ha basi solide costruite, in oltre trent’anni di professione, grazie anche a diverse esperienze condotte a livello internazionale. Nato a Bienne, nel Canton Berna, il 13 aprile 1955, Daniel Koch ha studiato medicina all’Università di Berna e, dopo la laurea, ha svolto la professione di assistente medico per diversi anni. Dal 1988 al 2002 ha lavorato per il Comitato Internazionale della Croce Rossa, inizialmente come coordinatore medico nelle aree di crisi durante la guerra civile in Sierra Leone ed affrontando situazioni drammatiche in Uganda, Perù e Sudafrica. Nel 1996 Koch completa la sua formazione conseguendo un prestigioso diploma post laurea sul tema della salute pubblica presso la Johns Hopkins University di Baltimora. Dal 1997, poi, presta servizio presso la sede della Croce Rossa Internazionale a Ginevra dove si occupa dei programmi medici in Africa. Dal 2002 lavora presso l’Ufficio federale della sanità pubblica facendo parte della task force che si occupa della pandemia di Sars nel 2002 e dell’influenza aviaria H5N1. Fino al 2006 è direttore della sezione preposta alle vaccinazioni mentre al 2006 al 2008 è a capo della sezione "Preparazione pandemica". Successivamente diviene capo della Divisione delle malattie Infettive fino al 1 aprile 2020, data in cui la gli succede Stefan Kuster, rimanendo tuttavia rappresentante dell’Usfp durante la pandemia di Covid-19 a titolo di delegato. Il 27 maggio, all’annuncio del Consiglio federale dell’allentamento delle misure straordinarie adottate dal Governo per far fronte alla situazione di crisi sanitaria, Koch si ritira dal suo ruolo. Daniel Koch è padre di due figli e nel tempo libero si dedica all’attività sportiva quale corridore di maratone e mezze maratone. Attivo nel mondo del volontariato, lavora anche per la Certodog, fondazione che si occupa del benessere dei cani.


Capitolo 2

Non tutti condividono le decisioni di Koch


TiPress

Il Covid arriva in Svizzera - Con 360 casi ogni 100 mila abitanti, la Svizzera è tra i Paesi con più alta incidenza di casi positivi al Covid-19 in Europa. Ad oggi i casi confermati sono oltre 31 mila con 1.677 decessi. «Malgrado il carattere drammatico degli eventi, Koch non promette sangue, sudore e lacrime. Non paragonerebbe mai il virus ad una guerra, come ha fatto il Presidente francese» osserva il giornale regionale Luzner Zeitung ed in effetti, anche nei momenti più bui la cifra di Koch è sempre stata quella della misura e della pacatezza. Convinto sostenitore delle scelte adottate dal Consiglio federale per far fronte alla drammatica pandemia di coronavirus, Koch ha sempre rispedito al mittente le critiche ricevute convinto che «le misure adottate hanno avuto ed hanno ancora un impatto significativo sul movimento della popolazione». Se quindi, come dallo stesso ammesso, «a posteriori qualcosa si può sempre migliorare», Daniel Koch considera giuste le decisioni assunte dal Governo. Il 16 marzo la Svizzera ha dichiarato lo stato di emergenza adottando un iniziale provvedimento per disciplinare l’emergenza fino alla prima scadenza del 19 aprile. Vengono chiusi tutti gli esercizi commerciali, ad esclusione di quelli di prima necessità, e le autorità fanno appello ai cittadini di restare a casa e ad evitare i contatti con le altre persone.

KeystoneAlain Berset con la task force svizzera per la lotta al coronavirus.

La chiusura delle frontiere: critiche sulle tempistiche - Vengono inoltre chiuse le frontiere interne, così come deciso da altri 8 Paesi dell’area Schengen tra cui l’Austria e la Germania. Questo aspetto rimane uno dei punti maggiormente criticati dai detrattori di Koch: le frontiere, in particolar modo con l’Italia, si sarebbero dovute chiudere prima per evitare il transito, in territorio elvetico, di persone, potenzialmente malate e contagiose, provenienti dai Paesi più colpiti, prima fra tutti l’Italia. Secondo Koch «una chiusura delle frontiere non avrebbe fatto una grande differenza perché quando ci si è resi conto della gravità della situazione epidemiologica in Italia tanti svizzeri vi si erano già recanti», rendendosi quindi potenzialmente già contagiosi. Di diverso avviso il parere di quattro epidemiologi di tre importanti università svizzere che accusano lo stesso Daniel Koch di aver ignorato i loro appelli, lanciati ad inizio epidemia. Mister Covid aveva inizialmente negato di aver ricevuto alcuna segnalazione per poi essere smentito da un tweet, datato 25 febbraio, in cui Christian Althaus, epidemiologo dell’Università di Berna mostra il contenuto di una lettera datata 24 febbraio e controfirmata da altri tre colleghi, in cui si sollecitava l’Ufsp a prendere coscienza della gravità del nuovo virus. All’epoca Daniel Koch aveva infatti dichiarato che il Covid-19 avrebbe avuto una mortalità simile a quella di una normale influenza stagionale. Uno dei punti principali della lettera era proprio quello inerente l’urgenza di procedere alla chiusura delle frontiere. Koch ha replicato alle accuse sostenendo che «niente di ciò che Althaus ha previsto si è avverato». Secondo Koch, che respinge al mittente qualsiasi accusa di superficialità «la situazione in Ticino è stata presa molto seriamente. Il Ticino è molto vicino all’Italia ed è stato particolarmente toccato dalla diffusione del virus. E questo non solo a causa dei frontalieri: questa vicinanza geografica implica un grande numero di spostamenti in entrata ed in uscita, non solo di lavoratori».

Situazione «un po' caotica» - Il 14 giugno, a fugare ogni dubbio in merito al tempismo delle decisioni adottate dal governo elvetico e dal capo dell’Usfp, il SonntagsZeitung e Le Matin Dimanche riportano il contenuto dei verbali delle sedute tenutesi a Berna tra gennaio e marzo analizzati dal Recherchedesk di Tamedia. Secondo quanto pubblicato dai due giornali, già il 24 febbraio la ricercatrice dell’Ufficio federale della sanità pubblica aveva sottolineato, in un suo rapporto, come il Covid-19 fosse da considerare «un pericolo particolare per la salute pubblica». La sua richiesta di adottare con urgenza misure adeguate rimase inascoltato fino al 28 febbraio, data in cui il Consiglio federale vieta eventi con più di mille persone. Sempre il 24 febbraio la co-direttrice della sezione supervisione epidemiologica e valutazione Mirjam Mausezahl chiede alla task force coronavirus di dichiarare la situazione particolare. La nota dolente per Koch emerge da un verbale del medesimo giorno in cui lo stesso si sarebbe limitato a definire la situazione in Italia, dove il 21 febbraio si era annunciato il primo caso ufficiale di coronavirus, «un po' caotica». Koch inoltre avrebbe rassicurato lo Stato maggiore federale protezione della popolazione sulla limitata pericolosità del virus affermando che questo «non viene trasmesso facilmente come quello dell’influenza quindi ci sono buone prospettive di tenere la situazione sotto controllo». Il resto è ormai storia: il 25 febbraio viene annunciato il primo caso ufficiale di Covid-19 in Ticino ed il 28 febbraio viene dichiarata la situazione particolare.


Capitolo 3

Affermazioni controverse


Keystone

Le mascherine - Altro punto controverso è quello riguardante le mascherine ed il loro utilizzo. La Confederazione dispone di una scorta obbligatoria di mascherine di 180 mila unità, numero che non si è mostrato affatto sufficiente. Daniel Koch ha sempre assicurato però che le autorità avrebbero fatto di tutto per acquistarne la giusta quantità all’estero oltre ad incrementare la produzione autoctona delle mascherine FFp2 per il personale medico. Tuttavia, ancora agli inizi di aprile, nonostante lo stock di mascherine fosse aumentato, non era comunque sufficiente per tutti i cittadini elvetici. Secondo uno studio del Politecnico federale, sarebbero necessarie 300 milioni di mascherine per permettere a tutta la popolazione di proteggersi in modo adeguato. Altro punto controverso ha riguardato il loro utilizzo. Da una parte Daniel Koch e l’Ufsp hanno sempre negato l’efficienza delle mascherine indossate dalle persone sane. Secondo Koch infatti «le mascherine hanno un effetto quando le indossano le persone infette perché impediscono al virus di circolare liberamente. Ma chi è infettato non è comunque più per la strada». Di diverso avviso, tra i tanti, l’epidemiologo Marcel Salathè il quale ha sottolineato, durante un'intervista al quotidiano di Zurigo Nzz che «il solo fatto che le persone si tocchino meno naso e bocca quando indossano una mascherina riduce il rischio di infezione». C’è comunque da notare che nel vademecum "Distanti ripartiamo", voluto dallo Stato maggiore di Condotta cantonale, tra le raccomandazioni da seguire durante la "Fase 2" vi è anche l’utilizzo della mascherina.

Keystone

Timido ritorno alla normalità - Fedele al suo stile misurato, Daniel Koch ha continuato a dispensare consigli su come vivere una sorta di normalità in tempi di pandemia. «La situazione non è più drammatica come a Pasqua, quindi godetevi questi giorni di festa», ha raccomandato il medico in riferimento alle giornate di ponte primaverili. Da qui la rassicurazione che l’Aare fosse balneabile, come lui stesso ha poi dimostrato. Le regole base di Koch per arginare la diffusione del virus sono state il distanziamento sociale e l’igiene delle mani. L’uso della mascherine, sottolinea, non è obbligatorio ma «nei trasporti pubblici, se non è possibile mantenere le distanze almeno di 2 metri dagli altri, ne è consigliato l’uso». La vita, quindi, deve riprendere nel modo più normale possibile ma evitando le situazioni di pericolo come gli assembramenti: per questo motivo i grandi eventi estivi, quali i concerti, non avranno luogo. Se in uno stesso luogo si affollano troppe persone diventa quasi impossibile, in caso di contagio, ricostruire la catena dei contatti e monitorare la situazione. «In Corea del Sud oltre 1.500 persone sono state poste nuovamente in quarantena dopo un evento simile -spiega Koch- questo non può essere il nostro obiettivo. È possibile uscire ma dobbiamo rimanere ligi alle misure di protezione». A fine maggio arriva poi l’apertura alla possibilità che possano riprendere gli eventi sportivi a luglio: «Lo sport è un settore importante e adesso le restrizioni devono essere allentate». Tali eventi dovrebbero ricomprendere, nell’ottica di Koch, solo pubblico con posti a sedere già assegnati di modo da sviluppare un concetto di monitoraggio efficace all’interno degli stadi. In questo modo si potrebbe sapere chi occupava un determinato posto e tracciare con precisione un ipotetico caso di contagio.

Covid e bambini - Se, come detto, l’operato di Daniel Koch è stato accolto, nella maggioranza dei casi, con encomi e attestati di stima, molto clamore ha invece sollevato la sua affermazione sulla ritrovata vicinanza tra nonni e nipoti. «Sarebbe sbagliato proibire ai nonni, che stanno già soffrendo per questa situazione, di essere abbracciati dai loro nipoti quando si sa che i bambini non sono contagiosi» ha dichiarato Koch suscitando enorme clamore. «Oggi si può dire con sufficiente sicurezza -ha continuato- che i bambini non sono grandi portatori del virus e di rado si ammalano. Il problema sono i genitori. Di solito sono loro, e non i bambini, a trasmettere il virus». Tale rassicurante affermazione da parte di Koch ha suscitato una serie di preoccupate reazioni da parte di eminenti esponenti della comunità scientifica. Non bisogna infatti dimenticare che proprio in Svizzera, il 29 maggio, si è registrata la tragica morte di un neonato originario del Canton di Argovia per coronavirus. Anche i due fratellini del piccolo sono poi risultati positivi al virus. A Ginevra si è poi avuto il caso di tre bambini che presentavano dolori addominali e manifestazioni cutanee e che, pur essendo risultati negativi al tampone, sono stati dichiarati positivi al test sierologico. Numerose le voci contrarie a quanto dichiarato da Koch: per Alessandro Diana, pediatra infettivologo alla clinica Grangettes e docente all’Università di Ginevra, «questo Covid non lo conosciamo, le incognite sono moltissime. Per questo Koch avrebbe fatto meglio a non dire nulla al riguardo e ad invitare invece alla precauzione, ribadendo che i nonni appartengono a una categoria a rischio». Il medico cantonale ticinese Giorgio Merlani, in diretta su Tele Ticino, ha riferito di aver contattato Koch per «capire da dove arriva questa informazione sui bambini». Koch avrebbe riferito che secondo dei dati preliminari di studi condotti in Svizzera, emerge che i bambini non solo hanno un decorso della malattia meno grave ma, praticamente, non si ammalano. Per Merlani però «sono solo dati preliminari e non scientifici pubblicati. Finché non ci sono dei dati solidi, definitivi e scientificamente provati che i bambini non sono causa di trasmissione io direi di mantenere il principio di prudenza». Di medesimo avviso è il professor Massimo Galli, primario di malattie infettive all’Ospedale Sacco di Milano che si basa sui risultati di studi condotti in Cina che dimostrano chiaramente come «il Covid-19 i bambini lo possono prendere e trasmettere. Che poi il fatto che il decorso della malattia sia per loro meno grave è un altro discorso». Il professor Galli condivide il parere di molti altri colleghi per i quali, in mancanza di certi dati scientifici che sostengano il contrario, è privo di fondamento, oltre che pericoloso, affermare con certezza che i bambini non siano vettori di infezione. «Le scuole -continua Galli- sono un incubatore perfetto per il Covid-19 e non è che il virus oltre frontiera, non infetta o infetta di meno rispetto all’Italia o altri Paesi». La parola d’ordine quindi dovrebbe essere prudenza. Principio che Daniel Koch sente di non aver disatteso ma che ha voluto applicare con senso pratico e schiettezza. Di certo, quanto emerso dai verbali pubblicati dai due giornali domenicali, rischia di appannare l’immagine di Daniel Koch, reo di aver sottovalutato la situazione di pericolo che costituiva il nuovo virus. Ma che si sia tra i detrattori o tra gli estimatori di Koch, per tutti rimarrà comunque "Mister Covid", il volto rassicurante nella tempesta della pandemia.


Appendice 1

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KeystoneDaniel Koch e il presidente centrale della Società Svizzera di Salvataggio (SSS) Rudolf Schwabe. Da giugno Koch è ambasciatore della SSS.

KeystoneDaniel Koch e il consigliere federale Alain Berset al termine di una conferenza stampa sulla situazione del coronavirus (Berna, 6 marzo 2020).

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KeystoneAlain Berset con la task force svizzera per la lotta al coronavirus.

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