L'uomo soffre ovunque allo stesso modo, ma le vie d'uscita dal dolore variano da paese a paese. Ora la Spagna legalizza.
«Con questa legge facciamo un passo avanti verso una società più umana e più giusta per le persone che si trovano in una situazione di grande sofferenza e per le loro famiglie» ha dichiarato la ministra della Sanità spagnola Carolina Darias dopo che, lo scorso 18 marzo, la Spagna è diventata il quarto paese europeo, e il settimo nel mondo, a legalizzare l’eutanasia. La legge, che entrerà in vigore il prossimo giugno, è stata fortemente voluta dal governo socialista di Pedro Sanchez, adottata con una maggioranza di 202 voti favorevoli, dei partiti di sinistra e centro, contro 141 voti contrari dei partiti conservatori e di estrema destra e 2 astensioni. La norma spagnola regolamenta sia l’eutanasia attiva che passiva, oltre che il suicidio medicalmente assistito, e costituisce un unicum, fino ad ora, per un Paese di forte tradizione cattolica.
La questione della legalizzazione dell’eutanasia è diventata, negli ultimi vent’anni, di stringente attualità e tanti sono stati i casi di cronaca che hanno scosso le coscienze inducendo le persone a confrontarsi con il dramma di persone che chiedono aiuto per porre fine a sofferenze fisiche e psicologiche. Non è un caso infatti se, nei Paesi in cui tale pratica è resa legale, il numero delle richieste è aumentato esponenzialmente: in Olanda, nel 2017, i Comitati di controllo hanno ricevuto 6.585 comunicazioni da parte dei medici per cui, su un totale di 150.027 persone morte quell’anno il 4,4% è deceduta a seguito di eutanasia o suicidio assistito. Dal 2002, anno in cui è stata approvata nei Paesi Bassi la legge sull’eutanasia, il numero delle richieste sono aumentate del 250%.
L'eutanasia, o "dolce morte" - Molti sono stati i Paesi nel mondo che si sono dovuti confrontare con questa spinosa tematica e se, alcuni di essi, hanno legalizzato la pratica dell’eutanasia, in altri è legittimato il suicidio assistito. In effetti, nell’affrontare tale tematica, si fa spesso confusione tra termini che sembrano sinonimi ma che, configurano pratiche mediche molto diverse, con enormi differenze anche dal punto di vista normativo e legale. Il termine eutanasia, parola di derivazione greca che significa "dolce morte", indica l’atto di procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di una persona che ne faccia esplicita richiesta. La pratica dell’eutanasia può essere ‘attiva’, nel caso in cui sia il medico a somministrare un farmaco, di solito per via endovenosa, o ‘passiva’ quando si provoca la morte di una persona, con il suo consenso, tramite una omissione ossia attraverso la sospensione o la mancata somministrazione di un trattamento sanitario obbligatorio come, per esempio, l’idratazione artificiale. L’eutanasia, quindi, non necessita della partecipazione attiva del soggetto che ne fa richiesta ma richiede l’azione diretta del medico che somministra il farmaco letale.
Il suicidio assistito - Quando invece si parla di suicidio assistito si intende l’atto di porre fine alla propria vita in piena consapevolezza mediante la somministrazione di dosi letali di farmaci con l’assistenza non attiva di un medico o di altra persona che mette a disposizione i farmaci. A differenza dell’eutanasia, quindi, prevede che la persona che ne fa richiesta assuma in modo indipendente il farmaco mentre il sanitario si limita alla sua preparazione senza svolgere un ruolo attivo nella somministrazione. In entrambi i casi, la richiesta avanzata da una persona sofferente deve essere preventivamente valutata da una commissione di esperti e medici diversi dal sanitario che ha il paziente in carico. Viene quindi passata al vaglio la condizione clinica della persona, la totale compromissione della sua qualità di vita e la piena libertà con cui ha espresso la propria volontà, prima di dare il consenso per l’accesso a tali trattamenti sanitari. Discorso a parte merita invece la sedazione palliativa che consiste nella riduzione intenzionale della vigilanza con mezzi farmacologici, fino alla perdita della coscienza, allo scopo di ridurre o abolire del tutto sintomi estremamente dolorosi legati alla malattia. Tale trattamento medico, a differenza dei precedenti, si pone come finalità non di porre termine alla vita di una persona ma di dare sollievo alla sofferenza che attanaglia il paziente nella fase finale della malattia.
La legalizzazione compie vent'anni - Il primo Paese a legalizzare l’eutanasia è stata l’Olanda nel 2002 con la legge n 137 del 10 aprile 2001. Il medico può praticare l’eutanasia o fornire assistenza nel caso di suicidio assistito senza essere penalmente perseguibile purché però si attenga ai criteri di adeguatezza previsti dalla normativa in questione. Affinché una persona possa chiedere l’eutanasia o il suicidio assistito, devono coesistere diverse condizioni ritenute indispensabili: la volontà libera, piena e consapevole, di porre fine alla propria vita, l’essere gravati da sofferenze insopportabili prive di possibilità di miglioramento, l’aver prestato un consenso libero ed informato, la mancanza di un trattamento medico alternativo valido per la situazione in esame. È inoltre necessario il coinvolgimento di un medico, diverso rispetto a quello curante, che deve accertare, con parere scritto, che i criteri di legge siano rispettati. I casi di eutanasia o suicidio assistito sono passati al vaglio delle Commissioni Regionali a cui il medico che abbia posto in essere tali trattamenti deve dare comunicazione redigendo un apposito verbale in modo da dimostrare di aver rispettato i criteri di accuratezza indicati dalla legge. Il Governo e la Società civile hanno, a loro volta, il potere di controllare l’azione delle Commissioni e dei medici. Nel 2004 è stato approvato il ‘Protocollo di Groningen’ che disciplina l’eutanasia infantile per bambini maggiori degli anni 12 nel caso in cui il medico abbia certificato “l’irreversibilità della condizione di sofferenza insopportabile per il paziente”. Tale decisione è poi sottoposta al parere della Commissione preposta.
La questione dei minori - Se la persona ha meno di 16 anni è altresì richiesto il consenso dei genitori, mentre, nel caso di persona maggiore degli anni 16, è consentito di richiedere tali trattamenti anche senza tale consenso nel caso in cui sia stata accertata la capacità della persona di valutare in maniera consapevole e ragionevole i propri interessi. Nel 2020 il suicidio assistito è stato esteso anche ai minori, dai 0 ai 12 anni, che siano malati terminali. Questa previsione va a colmare una lacuna della preesistente normativa che consentiva l’eutanasia ai bambini di età maggiore dei 12 anni, e dei bambini di un anno, ma nulla diceva per i piccoli pazienti di età compresa da 1 a 12 anni. Ovviamente tale legge ha scatenato enormi polemiche ma il ministro della Salute Hugo de Jonge ne ha difeso la legittimità sostenendo che numerosi studi hanno dimostrato l’esigenza di porre fine alle insostenibili sofferenze dei bambini nel caso in cui risulti non esistere una cura che possa guarirli o farli stare meglio. La legge n 137 ammette l’eutanasia “quando motivata da inaudite sofferenze o estrema debolezza fisica e perdita della dignità”: le patologie possono essere sia fisiche che psichiche e quindi non riferibili solo a patologie degenerative o terminali. Sono quindi anche ricomprese la malattia mentale o la depressione.
Noa che si lasciò morire - Molto scalpore, nel 2017, suscitò la vicenda di Noa Pothoven. La ragazza, vittima da bambina di ripetute violenze sessuali, e malata di anoressia, aveva fatto richiesta di essere sottoposta ad eutanasia. La sua richiesta era stata rifiutata in quanto non conforme ai criteri di adeguatezza ma la ragazza «sentendo di non avere nessuna altra opzione» decise di lasciarsi morire di fame e sete. Noa era stata indirizzata verso un percorso di psicoterapia e la sua richiesta rinviata al compimento dei 21 anni di età ma la ragazza non aveva avuto la forza di continuare a vivere: «È finita-ha scritto sul suo profilo Instagram prima di morire-sopravvivevo e ora non faccio neanche più quello. Respiro ancora ma non sono più viva».
Il vicino Belgio ha seguito l’Olanda nella legalizzazione dell’eutanasia poco tempo dopo, nel 2003. Nel 2014 è stato il primo Paese ad introdurre il suicidio assistito per i minorenni, permettendo ai genitori di richiedere tale trattamento per i figli malati terminali, e nel settembre del 2016 si è avuto il primo caso di eutanasia di un minorenne: un ragazzo di 17 anni che, secondo i medici, soffriva "di un dolore fisico insopportabile”. Il Lussemburgo, terzo Paese in Europa ad aver legalizzato l’eutanasia, ha una normativa più restrittiva e l’eutanasia viene contemplata solo se la richiesta viene avanzata da persone adulte affette da una malattia “senza via d’uscita”. I requisiti legali richiesti sono molto rigorosi ed il medico può avvalersi del diritto all’obiezione di coscienza informando il paziente delle ragioni del suo diniego.
Br...exit e altre limitazioni - Nel Regno Unito l’eutanasia è illegale e qualsiasi persona sorpresa a fornire assistenza medica ad una persona che voglia porre fine alla propria vita commette un reato e può essere condannata per istigazione al suicidio. I pazienti hanno invece il diritto di chiedere la sospensione delle cure dal 2002 e, di recente, è stato introdotto anche il concetto dell’aiuto al suicidio mosso “da compassione”. La Svezia ha legalizzato l’eutanasia passiva nel 2010 e la medesima pratica è tollerata in Germania, Finlandia e Austria su richiesta del paziente. In Francia, la legge Leonetti del 2005, permette la limitazione o la sospensione della terapia e la sedazione profonda fino al decesso della persona malata. Le condizioni richieste sono che la persona sia affetta da un male grave e incurabile, la cui prognosi vitale sia a breve termine, e manifesti una sofferenza non altrimenti alleviabile. In Norvegia l’eutanasia è illegale ma è prevista una riduzione di pena nel caso si sia fornito aiuto al suicidio dietro esplicita e ripetuta richiesta, per motivi di compassione e se il richiedente sia affetto da una malattia incurabile.
Difficoltà lusitane - In Portogallo invece, la Corte Costituzionale ha cassato la normativa che depenalizza la morte medicalmente assistita con l’argomentazione che la legge adotta “concetti eccessivamente indeterminati” nella definizione dei requisiti per l’accesso all’eutanasia. La normativa considera non sanzionabile la morte medicalmente assistita nel caso in cui “la decisione sia dell’individuo, maggiorenne, la cui volontà sia attuale e reiterata, grave e libera” che si trovi “in una situazione di sofferenza insopportabile, con lesione definitiva di estrema gravità”. È stata così accolta la richiesta avanzata dal Presidente della Repubblica, il conservatore Marcelo Rebelo de Sousa, che aveva rimesso la legge, approvata lo scorso 29 gennaio, alla verifica di conformità costituzionale considerando generici i termini “sofferenza estrema e intollerabile” senza che venga specificata se questa debba derivare da lesioni o malattie.
Nel mondo sono pochissimi i Paesi in cui l’eutanasia o il suicidio medicalmente assistito siano legali. In Canada, dal 2016 è legale il Medical Assistance in Dying, assistenza medica nella morte, Maid, che non distingue tra eutanasia e suicidio assistito. La legge permette che la Maid possa essere concessa anche quando la morte sia “ragionevolmente prevedibile” ma nel 2019 la Corte della provincia del Quebec aveva affermato come incostituzionale il limitare la Maid a chi affronta una morte imminente, imponendo un termine perché la legislatura risolvesse la questione.
I termini d'attesa in Canada - L’attuale legge prevede un periodo di attesa di 10 giorni prima che l’eutanasia possa essere amministrata a qualcuno che si trovi nella fase terminale della malattia. Nel disegno di legge chiamato C-7 tale termine di attesa verrebbe eliminato, aggiungendone uno di 90 giorni nel caso in cui il richiedente non fosse prossimo alla morte. Se il disegno di legge dovesse essere approvato, la Maid sarebbe estesa a tutti i pazienti non morenti, anche minorenni, affetti da una malattia incurabile e che considerano la loro sofferenza intollerabile come, ad esempio, le persone affetta da disabilità o da disagi psichici.
Un balzo avanti e uno indietro - In Australia, nel 2019, lo Stato di Victoria ha legalizzato, per la prima volta nella storia del Paese, l’eutanasia. Il parlamento di Melbourne ha infatti depenalizzato il suicidio clinico riconoscendogli il valore di “diritto inalienabile” per tutti coloro che soffrono di “malattie suscettibili di arrecare sofferenze insopportabili all’organismo umano”. Potranno accedere al suicidio clinico le persone maggiori di 18 anni che non abbiano una prospettiva di vita maggiore di 6 mesi secondo un parere medico. Costoro dovranno, senza alcuna costrizione esterna, sottoscrivere una dichiarazione predisposta da apposite commissioni mediche, operanti presso tutti gli ospedali dello Stato di Victoria. Una volta ottenuto il consenso alla richiesta, i pazienti possono essere condotti in una saletta riservata dove trovano un apposito kit contenente sostanze chimiche essenziali per preparare, seguendo le indicazioni contenute in un foglietto di istruzioni, un composto letale che procura, in un primo tempo, un progressivo stordimento fino alla morte. Il laburista Daniel Andrews ha difeso con convinzione la controversa legge sostenendo che essa sia uno strumento per riconoscere ai cittadini “in preda a tormenti indicibili il diritto di compiere una scelta di libertà e dignità” mentre l’Australian Medical Association si è dichiarato contrario sostenendo la necessità di migliorare l’accesso ai pazienti delle cure palliative. In Australia la prima legalizzazione dell’eutanasia era avvenuta nel 1996 ad opera del Territorio del Nord ma tale riforma rimase in vigore solo 9 mesi prima di essere annullata dalla autorità di Canberra.
Eutanasia illegale negli Stati Uniti - Nell’ottobre del 2020 sono stati diffusi i risultati di un referendum sull’eutanasia tenutosi in Nuova Zelanda: il 65,87% dei votanti ha approvato l’introduzione di una legge che rende legale l’eutanasia per le persone di età maggiore dei 18 anni, affette da malattia terminale, o che si pensa abbiano una aspettativa di vita di 6 mesi, e si trovino in uno stato avanzato di declino che li espone “ad una sofferenza insopportabile che non può essere alleviata in un modo che il malato considera tollerabile”. In Colombia l’eutanasia è ammessa per volontà della Corte Costituzionale anche se non regolamentata da una legge, mentre negli Stati Uniti l’eutanasia è illegale mentre si riconosce l’autodeterminazione dell’individuo con riguardo al diritto di rifiutare dei trattamenti terapeutici, ossia pratiche mediche anche di sostegno vitale. Tale diritto è riconosciuto anche a pazienti in stato di incapacità di intendere e volere tramite la ricostruzione della volontà presunta o a loro espresse disposizioni. Vi sono poi Stati che hanno reso lecito il ricorso al suicidio assistito quali Oregon, Washington, Vermont, California, Montana e Colorado.
Buio fitto in Irlanda - Come visto, la tematica del fine vita e del diritto delle persone di autodeterminarsi nella scelta di porre fine alla propria esistenza è di scottante attualità in ogni parte del mondo e se la legalizzazione dell’eutanasia in Spagna, rappresenta un vero strappo con la propria tradizione cattolica, in Irlanda e Italia, si brancola nel buio più profondo. In Irlanda è stato presentato un disegno di legge chiamato Dying with Dignity, morire con dignità, che prevede che le persone con malattie terminali progressive possano avvalersi di assistenza medica per porre fine alla propria vita, non prima però che la propria situazione clinica venga vagliata da due medici diversi. Tale disegno di legge ha scatenato il parere contrario dei vescovi i quali hanno inviato un ‘parere’ al Parlamento dove si dice che “il suicidio assistito riflette un fallimento della compassione da parte della società” affermando che “questo disegno di legge prevede un’approvazione e una agevolazione da parte dei medici al suicidio”.
Il pantano parlamentare italiano - Non tanto diversamente vanno le cose in Italia dove i tanti casi di cronaca, da Eluana Englaro a Piergiorgio Welby, fino a Dj Fabo costretto a recarsi in Svizzera per assicurarsi il suicidio assistito, continuano a porre in evidenza la necessità di risolvere l’enorme vuoto normativo inerente la legalizzazione dell’eutanasia o del suicidio assistito. Attualmente in Italia l’eutanasia costituisce reato e rientra nelle ipotesi previste e punite dall’articolo 579 c.p., ossia l’omicidio del consenziente, o dell’articolo 580 c.p, istigazione o aiuto al suicidio. Anche in Italia, come visto per altri Paesi, la lacuna legislativa può essere intesa parzialmente sanata da una pronuncia della Corte Costituzionale n 242 del 2019 secondo la quale non si configurano i reati di aiuto o istigazione al suicidio per chi “agevoli l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputi intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del Comitato etico territorialmente competente”.
Pressioni sulla politica - Grazie alla campagna ‘Eutanasia legale’ promossa dall’Associazione ‘Luca Coscioni’, il 3 marzo 2016 è iniziato, per la prima volta nella storia del Parlamento italiano, il dibattito sulle norme in materia di eutanasia, senza che si sia giunti però ad una votazione. Nel gennaio 2019 il Parlamento ha ripreso il dibattito, sotto la spinta della pronuncia della Corte Costituzionale, ma il tutto si è risolto in un ennesimo nulla di fatto. Il progetto di legge di iniziativa popolare sulla legalizzazione del suicidio medicalmente assistito giace presso la Camera dei deputati nonostante la sua approvazione sia stata chiesta per ben due volte dalla Corte Costituzionale. Secondo la legge 219/2017 è possibile per il malato rifiutare o sospendere qualsiasi terapia, incluse quelle salvavita. L’effetto finale di tale sospensione è la morte del paziente che può venire accompagnato nella fase terminale della malattia da una sedazione palliativa profonda e continua. Sono altresì previste le disposizioni anticipate di trattamento, DAT, con le quali ogni persona maggiorenne e capace di intendere e volere può lasciare le proprie indicazioni ai medici circa i trattamenti sanitari che vorrà accettare o rifiutare qualora dovesse contrarre una malattia giudicata irreversibile. Nelle Dat, noto anche come testamento biologico, la persona interessata può anche nominare un fiduciario, ossia una persona che rappresenterà il disponente davanti al medico per assicurarsi il rispetto delle volontà indicate.
L’unico Paese al mondo che concede il suicidio assistito anche a persone non residenti è la Svizzera. L’articolo 115 c.p disciplina i reati di istigazione e aiuto al suicidio che sussistono solo nel caso in cui “Chiunque per motivi egoistici istiga qualcuno al suicidio o gli presta aiuto è punito, se il suicidio è stato consumato o tentato, con la reclusione sino a cinque anni ”. La Svizzera ha uno statuto diverso da altri Paesi come l’Olanda o il Belgio in cui esiste la possibilità di avere l’assistenza al suicidio ma solo in caso di presenza di una situazione medica irreversibile. L’articolo in questione, invece, non sancisce un diritto positivo ad ottenere assistenza al suicidio, che di fatti non è garantito dallo Stato così come accade invece per le cure mediche.
Punito solo il movente egoistico - La sua formulazione lascia trasparire una visione assolutamente laica e liberale dell’esistenza umana fondata sul principio di autonomia in senso stretto. La formulazione della norma è volutamente generica e non fa riferimento ad un contesto medico né, tanto meno, ad una qualsivoglia malattia. Semplicemente si afferma che non è perseguibile colui che assiste una terza persona se il movente che lo spinge ad agire non sia di origine egoistica. Dei possibili ‘motivi egoistici’ il codice penale non dà nessuna definizione ma la dottrina ritiene che si sia in presenza di un motivo egoistico quando l’autore del fatto tenta di soddisfare interessi personali di natura materiale o affettiva. Tra i casi di assistenza prestata per fini meramente egoistici rientrano i casi di cupidigia, come nel caso in cui si sia interessati all’eredità del richiedente il suicidio o si voglia derogare ad un obbligo legale di mantenimento o assistenza, oppure ancora nel caso in cui si agisca per odio o per realizzare una vendetta.
Poco chiaro, ma così è - L’articolo 115 c.p. presuppone che chi chiede aiuto al suicidio sia capace di intendere e volere e sia quindi in grado di cogliere la portata degli eventi che lo condurranno alla morte decidendo in piena libertà di porre fine alla sua vita. In caso contrario, il richiedente non sarebbe autore della propria morte: la fattispecie non rientrerebbe nell’ipotesi di suicidio disciplinato dall’articolo 115 c.p. ma si ravviserebbe il reato di omicidio, intenzionale o per negligenza. Anche in Svizzera non vi è una normativa specifica che disciplina il suicidio assistito. Nel 2011, poco dopo che l’elettorato del Canton Zurigo aveva bocciato una iniziativa che voleva proibire l’aiuto al suicidio, il Governo svizzero ha deciso di rinunciare a disciplinare a livello nazionale l’assistenza medica al suicidio. E tutt’ora è così, nonostante la Corte Europea dei Diritti Umani abbia richiamato la Svizzera per la sua normativa in materia non proprio chiara.
Dalla panoramica offerta non rimane alcun dubbio che, da ogni parte del mondo e con sempre maggiore forza, si chieda il riconoscimento al diritto di poter decidere sul fine vita senza condizionamenti sociali e religiosi di sorta.