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L'Afghanistan 20 anni dopo l'11 settembre: si è tornati al punto di partenza?

Le promesse dei talebani, la risposta dell'Europa e i primi atti di repressione del dissenso interno
Le promesse dei talebani, la risposta dell'Europa e i primi atti di repressione del dissenso interno

L’immagine dell'aereo C-17 americano in decollo dall'aeroporto di Kabul, che viene preso d’assalto da centinaia di afghani alla ricerca di una via di fuga dal proprio paese, è forte e ha fatto il giro del mondo. Rende l’idea del dramma che sta vivendo l’Afghanistan in questi giorni in cui Kabul è finita in mano ai talebani e l’intero Paese è diventato un emirato islamico.

Proprio in quelle immagini si vede gente che aggrappata all’aereo finisce per cadere nel vuoto al suo decollo. Un rimando immediato a quelle persone che, intrappolate nel World Trade Center, decisero di lanciarsi nel vuoto dai grattacieli - nel vano tentativo di scampare alla morte. Era l’11 settembre del 2001. A quasi vent’anni di distanza sembra quasi una storia circolare che si chiude, ma che resta purtroppo aperta allo stesso tempo in un nuovo drammatico capitolo. Nella reazione americana ad Al-Qaeda iniziò - indirettamente - il tentativo di liberazione dell’Afghanistan dall’oppressione talebana. Che oggi torna prepotentemente all’ordine del giorno, a pochi mesi dalla decisione dell’Occidente di lasciare il controllo armato di quei territori.

keystone-sda.ch (Marc Tessensohn)

Ritiro o fuga americana? - Le forze militari statunitensi avrebbero dovuto ritirarsi completamente dall’Afghanistan entro l’11 settembre 2021, data simbolo scelta proprio a vent’anni dall’attentato delle Torri Gemelle. Lo aveva annunciato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ad aprile. Qualche mese prima, a Doha, l’amministrazione Trump aveva siglato un accordo con i talebani, in cui gli estremisti promettevano che il Paese non sarebbe diventato nuovamente una base operativa del terrorismo contro l’Occidente.

Per i critici il ritiro delle truppe Usa dal suolo afghano è stato molto sbrigativo, quasi una fuga. La stessa cancelliera tedesca Angela Merkel non ha nascosto la sua irritazione per il frettoloso smantellamento dell'infrastruttura militare a stelle e strisce e si è detta preoccupata che la rapida riconquista talebana scateni una nuova emergenza profughi.

Il ritorno dei talebani, una crisi annunciata - Il 10 agosto il Washington Post aveva pubblicato un articolo in cui scriveva che l’intelligence Usa temeva (e prevedeva) la caduta dell’Afghanistan nelle mani dei talebani entro 90 giorni. Una previsione fin troppo ottimistica: ci è voluto molto meno, appena 5 giorni perché la capitale Kabul e i suoi circa quattro milioni e mezzo di abitanti cadessero in poche ore nelle mani delle milizie fondamentaliste. Il presidente Ashraf Ghani è fuggito all’estero, prima in Tagikistan e poi in Uzbekistan, «per evitare ai cittadini un bagno di sangue», come lui stesso ha detto. Ora per lui e la famiglia è stato garantito un visto umanitario negli Emirati Arabi Uniti. L'ambasciatore afghano in Tagikistan accusa Ghani di tradimento e di essere fuggito portando con sé 169 milioni di dollari, prelevati dalle casse statali.

I diplomatici avevano già iniziato a lasciare gli uffici nei giorni precedenti. Dopo 20 anni di guerra, il Paese torna così in mano ai talebani. I quali, con il ritiro delle forze americane e degli alleati, avevano già ripreso terreno velocemente, conquistando città dopo città, territorio dopo territorio, fino a prendersi la capitale e l'intero Stato. Che ora si chiama Emirato Islamico dell’Afghanistan. Dal 15 agosto 2021, il presidente de facto è il mullah Abdul Ghani Baradar.

keystone-sda.ch (Oliver Contreras / POOL)

Biden si smarca: «Non è la nostra guerra» - Chiamato in causa tra i colpevoli - diretti e indiretti - di quello che è successo, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden già lunedì è andato in diretta tv per spiegare le ragioni del ritiro americano: «Sono convinto che la mia sia stata una decisione giusta, non c’è un momento ideale per il ritiro. Le forze Usa non devono morire in una guerra che Kabul non sa combattere. Gli americani non faranno ciò che gli afghani non sono disposti a fare. Non intendo chiedere alle nostre forze armate di combattere una guerra civile senza fine. Non è nel nostro interesse, non lo chiedono gli americani e non lo meritano le nostre truppe».

«Sull’Afghanistan c’è stata una valutazione sbagliata. Non una valutazione sbagliata tedesca o americana, ma una valutazione sbagliata comune - ha corretto poi il tiro Merkel a Berlino - Non
siamo riusciti a raggiungere quello che ci eravamo proposti», sottolineando come quanto sta accadendo sia «molto amaro» dopo una missione durata per ben 20 anni.

La fuga da Kabul, il dramma delle donne - «Noi non contiamo perché siamo nati in Afghanistan, scompariremo lentamente dalla storia. A nessuno importa di noi». Sono le parole pronunciate a fatica, tra le lacrime, da una ragazza afghana dopo il ritorno dei talebani nel Paese. Il video, diventato virale, è stato diffuso via Twitter dalla giornalista iraniana Masih Alinejad. Il ritorno dei talebani desta forte preoccupazione per il futuro dell'Afghanistan, specie per le condizioni delle donne che, con la caduta del regime islamico nel 2001, avevano conquistato a fatica alcuni importanti diritti.

keystone-sda.ch / STF (Rahmat Gul)

Si aspetta di essere «punita con la morte» per il suo impegno in politica la 27enne Zarifa Ghafari, la sindaca più giovane dell'intero Afghanistan e una delle poche donne ad aver mai ricoperto un incarico governativo nella città assai conservatrice di Maidan Shar. Hai poi fatto molto clamore il cambio d'abito della giornalista della Cnn Clarissa Ward: il 15 agosto si è collegata in diretta con i capelli raccolti e una sciarpa rossa arrotolata sulla giacca, mentre il giorno seguente, dopo che i talebani hanno conquistato Kabul, Ward era in strada con il capo coperto dall'hijab. Anche se, a onor del vero, l'interpretazione che si è voluto dare a quelle immagini è piuttosto forzata. «Nella prima foto mi trovavo all’interno di una zona protetta. La seconda è stata scattata per le strade di Kabul dopo che era stata occupata dai talebani. Anche in precedenza, in giro per Kabul, ho sempre indossato un velo per i capelli, anche se non li coprivo totalmente e non usavo una abaya. Quindi una differenza esiste, ma non così pronunciata» ha precisato lei stessa su Twitter.

Le rassicurazioni talebane - «I talebani hanno perdonato tutti, sulla base di ordini dei loro leader, e non nutrono inimicizia nei confronti di nessuno». Lo ha affermato ieri il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, nella primissima conferenza stampa del nuovo emirato afghano. «Dopo 20 anni di lotta - ha aggiunto - abbiamo liberato il paese ed espulso gli stranieri. È un momento di orgoglio per l'intera nazione e non vogliamo combattimenti. Tutti i confini sono sotto controllo».

«Abbiamo liberato il Paese dagli stranieri», dicono i talebani. Che promettono di garantire «i diritti delle donne nella cornice della sharia», la legge islamica. Non a caso a due giorni dalla presa di Kabul una donna è tornata a condurre una trasmissione su ToloNews, uno dei principali media afghani. Si tratta della giornalista Beheshta Arghand, che ha intervistato dal vivo in studio un membro del team medico talebano, Maulvi Abdulhad Hemad.

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L’Europa e il grido di dolore afghano - In migliaia stanno già premendo lungo il confine iraniano per raggiungere da lì la Turchia: verso l'Europa nelle prossime settimane potrebbero partire fino a due milioni di persone in fuga dai talebani. Sessanta Paesi della comunità internazionale hanno firmato un appello affinché sia garantita una partenza sicura agli afghani e ai cittadini stranieri che intendono lasciare Kabul, ma scorrendo la lista dei Paesi emerge due membri dell'Ue, Ungheria e Bulgaria, non hanno sottoscritto il documento. E mentre tutti gli stati europei si affrettano a favorire il rimpatrio dei propri lavoratori, ambasciatori, funzionari e personale di vario titolo da Kabul e dintorni, l’Europa appare divisa sul da farsi. Il presidente francese Emmanuel Macron, dopo aver parlato con la cancelliera tedesca Angela Merkel, ha sottolineato che «l'Europa non si può assumere da sola il compito» di affrontare una prevedibile nuova crisi dei profughi. L'Austria, ad esempio, ha parlato della possibilità di accogliere sì gli afghani, ma nei Paesi «dell'Asia centrale e non in Europa».

Scenari futuri - Difficile immaginare e prevedere cosa accadrà oggi in Afghanistan. Figurarsi domani, in futuro. La situazione è in divenire, ci si augura un assestamento specie in tema di ordine pubblico. E che quanto prima si possa trovare un canale di mediazione con il nuovo potere di Kabul. Stati Uniti e Unione Europea si dicono pronti ad adottare pesanti sanzioni internazionali nei confronti dei talebani. Bastone e carota, ma non è detto che funzioni. Anche perché l’Afghanistan, con i suoi giacimenti di litio, fa gola ai paesi limitrofi: la Russia, come sempre, la Turchia e la Cina - via Pakistan. 

La prima repressione? - Una nuova manifestazione di dissenso anti-talebano, dopo quella che ha avuto martedì a Khost, sarebbe stata soffocata nel sangue a Jalalabad. «Centinaia, se non migliaia» di dimostranti sarebbero scesi in strada, secondo Al Jazeera, sventolando la bandiera afghana. I talebani avrebbero quindi aperto il fuoco, prima in aria e poi contro i manifestanti, provocando due morti e 12 feriti. L'inviato dell'emittente qatariota ha riferito che in città «non ci sono rassegnati e qui c'è stata la resistenza di una buona fetta della comunità». Un nuovo bilancio, citato da Sky News, parla di 35 morti.


Appendice 1

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