L'affetto del regno verso la regina Elisabetta II è stato travolgente, ma le spinte repubblicane si fanno sentire.
Davanti a una processione lunga otto chilometri, composta da persone che, fin dalle prime luci dell’alba, si sono messe in fila per rendere omaggio al feretro della Regina Elisabetta, non ci si può non chiedere se tanta devozione verso un regnante abbia ancora un senso. Se partissimo dal mero presupposto che viviamo proiettati verso il futuro, che la democrazia sia «l’unica forma di governo possibile», come teorizzato da Rousseau, e che i re e le regine dei nostri tempi sembrano più protagonisti delle pagine di gossip che non della vita politica del proprio Paese, in effetti un senso sarebbe difficile da trovare.
Un sentimento nazionale britannico
Eppure, l’attaccamento alla monarchia testimoniato, in questi giorni, dai sudditi inglesi, non permette di archiviare una tale domanda con tanta superficialità. Perché bisogna essere più che nostalgici per riversarsi in massa nelle piazze e nelle strade di Londra, e non solo, per piangere e omaggiare con fiori e pupazzi l’anziana sovrana deceduta in tarda età. Molti dei visi di coloro che hanno affrontato con tenacia 16 ore di fila, tra malori e mancanza di sonno, sono di giovani del nostro tempo.
«La monarchia ci rende unici, ci offre dei valori in cui credere e ci differenzia dagli altri Paesi» ha dichiarato un ragazzo tra la folla assiepata fuori da Buckingham Palace, mentre un altro sosteneva che «la monarchia sia un bene per il Paese». Secondo un recente sondaggio della società YouGov il 61% dei cittadini britannici ritiene che la monarchia sia utile al Paese ed il 58% ritiene che la Regina Elisabetta si sia spesa in maniera eccellente nello svolgimento del proprio incarico.
Monarchia e politica
Nonostante il grande attaccamento alla Corona espresso dalla maggioranza degli intervistati, il 41% dei giovani, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, ha comunque dichiarato la propria preferenza per un capo di Stato eletto democraticamente rispetto ad un monarca. Anche lo scrittore e giornalista Kenan Malik, in un articolo pubblicato sull’Observer, si è interrogato sul senso attuale delle monarchie, affermando che «non è difficile capire il fascino di un ruolo simile, soprattutto se si pensa alla bassa considerazione in cui sono tenuti la politica ed i politici. Ma la politica è il mezzo che permette alle persone comuni di partecipare al processo di governo. Di conseguenza insistere sulla necessità di un sovrano per diritto ereditario che si innalzi al di sopra della politica, significa ostacolare il processo di cambiamento democratico».
Come affermato dal noto giornalista, sono in molti a pensare che sia una contraddizione non accettabile che, in Paesi democratici basati sul principio di uguaglianza dei cittadini, possa sopravvivere un principio di successione basato su di un privilegio di sangue. Secondo gli esperti, invece, vi sono diversi aspetti che rendono accettabile, anche ai nostri giorni, la monarchia, in primo luogo la stabilità politica e sociale che sembrerebbe apportare in molti contesti. Il concetto stesso di stabilità, infatti, si associa alla perfezione con la incontrovertibilità del principio ereditario.
Un immobilismo fuori dal tempo
Alla base della propria sopravvivenza, quindi, vi sarebbe la capacità della monarchia di perpetuarsi senza essere, apparentemente intaccata, dalle lotte politiche o dai problemi contingenti che affliggono la Nazione. Questa sorta di immobilismo fuori dal tempo, con le sue regole ed i suoi codici di condotta, danno ai cittadini un senso di rassicurante continuità e di appartenenza. Le monarchie, però, non sono tutte uguali e, a fronte di monarchie cosiddette "costituzionali", dove i poteri dei sovrani sono limitati appunto dalla costituzione, come nel caso della Spagna o dei Paesi scandinavi, o di monarchie definite "forti", come il Liechtenstein o il principato di Monaco, dove il monarca può avere il compito di firmare ogni legge ed ha ampi poteri politici, vi sono anche monarchie meramente rappresentative come nel caso del Giappone, dove la costituzione prevede che «l’imperatore non abbia poteri relativi al governo».
Eppure, anche in caso di monarchia cosiddetta "cerimoniale", la figura del monarca non viene sentita come anacronistica ma, come spiegato per il caso giapponese, da Jeff Kingston, direttore degli studi asiatici all’Università di Tokyo, «in tutte le nazioni ci sono alcuni rituali di identità e appartenenza che sono importanti per le persone, e l’imperatore è un simbolo di chi sono i giapponesi come popolo. Quella che può essere vista come una debolezza, quindi, ossia la mancanza di poteri reali nelle mani del re, permette alle monarchie anche solo rappresentative di perpetuare un senso di accomunanza e spirito nazionalistico nei propri sudditi. Secondo un’analisi dell’Economist di alcuni anni fa, la debolezza sarebbe anche il segreto di sopravvivenza delle monarchie costituzionali. Pur sembrando, di primo acchito, una idea paradossale, secondo tale analisi “meno potere un monarca ha, meno gente ci sarà che vuole toglierlo».
«La politica si occupa di ciò che divide, la monarca di ciò che unisce»
In pratica, ci si chiede che senso avrebbe compiere lo sforzo di rimuovere un monarca costituzionale e teoricamente innocuo quando, di fatto, si limita a svolgere dei compiti di rappresentanza, quali apparizioni pubbliche o attività di beneficenza. Anche in questo caso, poi, i moderni sovrani riescono comunque a incarnare una forma tangibile di unità nazionale che viene particolarmente apprezzata in un’epoca, come questa attuale, in cui la classe politica appare sempre più divisiva. Come detto da un membro della corte della defunta Elisabetta II «la politica si occupa di ciò che divide, la monarchia di ciò che unisce».
Ed in effetti ci riescono molto bene se si considera che, secondo un sondaggio Ipsos, il sentimento antimonarchico arriva al massimo al 37% in Spagna e al 23% in Svezia. Si è osservato, inoltre, che l’esistenza di un monarca in Paesi multietnici, quali per esempio il Belgio, funge da collante per gruppi spesso divisi ed ostili tra di loro. Da questo tipo di riflessione sono naturalmente escluse quelle forme di monarchia cosiddetta "assoluta", presente in Oman, Brunei o Arabia Saudita, essendo dei Paesi in cui non si è mai concretizzata alcuna forma di monarchia moderna di cui si è fino ad ora parlato.
I benefici della monarchia
Un altro motivo su cui si basano le opinioni favorevoli all’esistenza della monarchia sono le condizioni economiche e sociali di alcuni dei Paesi che utilizzano, ancora oggi, questa forma di governo. Secondo l’economista e sociologo spagnolo Mauro Guillèn, direttore della Judge Business School dell’Università di Cambridge, esistono «prove quantitativamente significative che le monarchie superino le repubbliche in termini economici». Secondo Guillèn, risultano infatti sistemi più efficienti in termini di controllo degli abusi di potere e «di protezione dei diritti di proprietà, il che si traduce in un Pil pro capite più elevato». «Quello che ho potuto affermare - ha dichiarato Guillèn - è essenzialmente che le monarchie tendono a proteggere i diritti di proprietà nel mondo contemporaneo molto meglio delle repubbliche in generale, e in particolare delle dittature. E questo si traduce in una migliore performance economica misurata dal tenore di vita».
Un altro effetto benefico che si è osservato è che le monarchie impediscono l’emergere di forme estreme di governo. Anche se il potere effettivo, infatti, è racchiuso nelle mani dei leader politici, la presenza di un monarca rende difficile modificare, in maniera parziale o totale, la politica di un paese. Secondo gli analisti, infatti, la presenza di un re in Cambogia, Giordania e Marocco aiuta a frenare le posizione più estreme di determinate fazioni politiche, così come la stagione delle primavere arabe in Paesi non monarchici sarebbe l’esempio del potere di stabilizzazione di un sovrano.
La spinta verso la democrazia
Osservando il recente passato, non sono pochi gli esempi di sovrani che sono riusciti a porre in essere un passaggio graduale e sereno verso forme di monarchia più moderne, fronteggiando, con successo, dei tentativi di colpi di stato da parte del potere militare. E’ il caso di Juan Carlos, in Spagna, o dell’imperatore Hiroito in Giappone che, durante la Seconda Guerra Mondiale, sfidò il desiderio della classe militare di continuare a combattere sostenendo la resa del Giappone. Anche se, come visto, vi sono diversi motivi per i quali è possibile giustificare la permanenza di un sistema di governo monarchico anche ai giorni nostri, non bisogna dimenticare che la spinta verso la democrazia sembra rimane comunque sempre la più forte.
Sentimenti anti-monarchici si stanno diffondendo con sempre maggior vigore in diversi Paesi che fanno parte del Commonwealth, l’organizzazione di ex colonie britanniche unite tra loro da relazioni politiche ed economiche. In tempi recenti molte di loro hanno manifestato la propria intenzione di interrompere qualsiasi rapporto con la monarchia britannica e lo stesso può dirsi dell’Australia, un paese fondato su di una democrazia parlamentare il cui capo di Stato è simbolicamente il re Carlo III. Forse, l’unica conclusione che sia possibile trarre da quanto detto fino ad ora è che l’esistenza della monarchia ai giorni nostri rappresenta, di sicuro, una realtà anacronistica ma, in taluni contesti, utile per tenere lontano ciò che il filosofo e scrittore inglese John Gray definì «la velenosa politica dell’identità».