L’ambiguo ruolo della Bielorussia e del suo leader spiegato dall’ex ambasciatore svizzero a Minsk Claude Altermatt
Un tempo considerato un ponte tra l’Occidente e la Russia, ora primo sostenitore di Mosca nell’invasione all’Ucraina. Il ruolo della Bielorussia di Alexander Lukashenko ha subito un’evoluzione durante gli ultimi due anni. La guerra in Ucraina ha avuto la conseguenza di evidenziare un processo di avvicinamento alla Russia già iniziato da tempo. Lukashenko ha fino a questo momento sostenuto Putin nell’aggressione di Kiev in modo ambiguo: ha concesso a Mosca l’utilizzo del suo territorio, ma non ha coinvolto direttamente i suoi soldati.
Le recenti operazioni militari congiunte sono state però lette da molti analisti come un’apertura, da parte del presidente bielorusso, verso una futura partecipazione più attiva al conflitto. Ma quanto sono reali le possibilità che Lukashenko invii il suo esercito a combattere in Ucraina? «Le possibilità che i soldati di Minsk si uniscono all’esercito russo sono poche. Attualmente il territorio bielorusso è molto più importante per Putin rispetto all’esercito che può disporre Lukashenko», spiega Claude Altermatt, ex ambasciatore svizzero a Minsk. Attivo in Bielorussia fino all’anno scorso, Altermatt sostiene che un intervento in Ucraina andrebbe contro gli stessi interessi del dittatore bielorusso. «Lukashenko è un presidente autoritario con uno scopo chiaro: vuole mantenere il suo potere, che detiene da ormai 28 anni, e difendere l’indipendenza della Bielorussia verso le mire espansionistiche di Mosca».
Lukashenko sta tenendo i piedi in due scarpe, ci spieghi meglio la sua posizione.
«Se da una parte ha aderito alla retorica anti-occidentale e anti-ucraina di Putin, dall’altra limita le sue concessioni alle richieste di Mosca per non perdere la sua indipendenza. Lukashenko sa che l’indipendenza del Paese è minacciata dai nazionalisti russi. Conosce molto bene questo ambiente fanatico e imperiale di Mosca e cerca di proteggersi. Un ambiente che si è mostrato agli occhi di tutto il mondo con l'attacco in Ucraina».
Quale è la linea rossa delle concessioni di Lukashenko e fino a che punto può reggere le pressioni di Putin?
«La Bielorussia vive sotto la pressione di Mosca da tempo. A dipendenza dal periodo storico queste pressioni sono più o meno forti. Adesso stiamo assistendo a un apice. Lukashenko ha messo a disposizione il suo territorio per entrare in Ucraina, ma non è intervenuto con i soldati. Sa che un intervento armato comprometterebbe troppo la sua posizione e lo indebolirebbe. Lukashenko non ha voluto rompere le relazioni diplomatiche con Kiev, c’è ancora un ambasciatore ucraino a Minsk. Questo è molto significativo».
Come gestisce Lukashenko le pressioni di Mosca?
«Sono convinto che ora lui sta combattendo una vera e propria battaglia per la sopravvivenza. Dopo la repressione interna compiuta tra il 2020 e il 2021 e ora la guerra in Ucraina, Lukashenko ha perso completamente i legami che aveva costruito negli anni con l’Occidente. È consapevole di non avere più alleati che potrebbero aiutarlo. Mentre quando è iniziato il conflitto nel Donbass nel 2014, Minsk è riuscita a ricoprire un ruolo di mediatore molto utile. Un ruolo che ora ha perso. Si trova in due fuochi, dove gestire le pressioni di Mosca senza compromettere troppo l'indipendenza del Paese».
Secondo lei un intervento armato potrebbe risvegliare l’opposizione nel Paese?
«È molto probabile. I soldati potrebbero rivoltarsi se Lukashenko dovesse decidere di entrare in guerra. Attualmente l’opposizione attiva si trova all'esterno. La repressione è stata spietata, nessuno osa dire più niente. Però non dobbiamo dimenticarci che ucraini e bielorussi sono come cugini. I bielorussi non hanno questo “delirio” imperiale dei russi, sono infatti un popolo di contadini da secoli. È molto più difficile che accettino una guerra contro gli ucraini come invece hanno fatto molti russi».
Il popolo bielorusso è quindi più vicino a quello ucraino rispetto ai russi?
«Sì, sono convinto che bielorussi e ucraini condividono più tratti in comune. Inoltre è sempre stato un Paese di ponte tra oriente e occidente, nella politica come nella religione. Per esempio, la popolazione bielorussa conta ben 18% di cattolici romani. A Minsk, non ho mai osservato un fanatismo religioso, nemmeno tra gli ortodossi. Molti governi occidentali speravano che la Bielorussia potesse ricoprire questo ruolo di congiunzione tra l’Occidente e la Russia dopo la fine dell’Unione sovietica e dopo l’utopia comunista. Ora la situazione è diversa. La Bielorussia è ora sotto una grandissima pressione, non a causa dei bielorussi ma a causa dei russi e del delirio imperiale che conosciamo dal passato».
Lei crede che in futuro possa riacquistare questo ruolo di ponte?
«Si certo, ne sono convinto! In futuro la Bielorussia potrebbe tornare a ricoprire un ruolo di collegamento tra l'Occidente e la Russia, che non sarà la stessa dopo la fine della guerra e della crisi in Ucraina. Fa parte della storia del Paese, ha già ricoperto questo ruolo e lo riacquisterà in futuro».