Secondo Politico il presidente in carica potrebbe andarsene dopo aver stravinto le primarie democratiche non accettando la "nomination".
WASGHINGTON - Finora i democratici hanno evitato qualsiasi discussione su un eventuale piano B per il loro candidato alla presidenza. Ma il rapporto del procuratore Robert Hur potrebbe aver forzato loro la mano, dopo aver inferto un colpo basso alle capacità cognitive di Joe Biden.
L'esito più probabile è che Biden resti in corsa, stando al portale online del quotidiano statunitense Politico, che tuttavia prefigura due possibili scenari nel caso il partito fosse costretto a sostituirlo alla convention di agosto o dopo. Secondo il sito, la verità è che una strategia alternativa potrebbe essere dispiegata solo se il leader dem si facesse da parte volontariamente, o se risultasse fisicamente incapace per la nomination, circostanze per ora non all'orizzonte. A parte l'incapacità o una rivolta altamente improbabile alla convention di Chicago (19-22 agosto) da parte dei delegati già impegnatisi a sostenere Biden, c'è solo un piano B praticabile: che il presidente stesso accetti di consegnare il testimone.
Appare difficile convincerlo a fare un passo indietro l'orgoglioso Biden ma, secondo Politico, c'è un percorso che gli permette di andarsene con dignità e alle sue condizioni. Esso prevede che le primarie democratiche facciano il suo corso concludendosi il 4 giugno, quando Biden finirebbe come il vincitore indiscusso, con molti più dei 1'968 voti dei delegati necessari per diventare il "nominee". Quindi il presidente dovrebbe annunciare che non accetta la nomination e che consente ai suoi delegati di sostenere un candidato diverso.
Potrebbe insistere sul fatto che è ancora idoneo a ricoprire un altro mandato, ma che accetta le preoccupazioni del pubblico nei confronti di un presidente che avrebbe 86 anni alla fine del secondo mandato. Potrebbe ricordare agli elettori che ha sempre affermato di essere un ponte verso la futura generazione di leader democratici, che l'economia è sulla buona strada, che ha sconfitto Trump una volta e ha protetto la democrazia americana. Insomma, che ha compiuto il suo dovere. A questo punto Biden resterebbe il "kingmaker" e potrebbe orientare la scelta e il voto dei delegati, non più vincolati ma comunque a lui fedeli.
Kamala Harris non convince
Uno dei nodi più delicati sarebbe quello di Kamala Harris, che è più impopolare del commander in chief e che non convince tutto il partito ma la cui esclusione potrebbe alienare i voti degli afroamericani. Tra i papabili ci sono i governatori della California, dell'Illinois e del Michigan: Gavin Newsowm, J.B. Pritzker, Gretchen Whitmer.
In caso di contrasti, un ruolo decisivo potrebbero giocarlo i super delegati (dirigenti ed ex dirigenti dem), che hanno il diritto di esprimere la loro preferenza in una eventuale seconda votazione, anche se questo rischierebbe di riaprire le polemiche sul ruolo giocato dalle élite del partito nella selezione del "nominee", come successe nel duello tra Hillary Clinton e Bernie Sanders.
Una corsa contro il tempo
Più difficile invece sostituire Biden dopo la convention. Le regole della stessa convention dicono che, in caso di "morte, dimissioni o invalidità" del candidato, il presidente del partito «conferirà con la leadership democratica del Congresso e associazione dei governatori democratici e riferirà» ai circa 450 membri del comitato nazionale democratico, che sceglieranno un nuovo candidato. E un nuovo "running mate" se elevassero Harris in cima al ticket. Ma sarebbe una corsa contro il tempo: le schede per il personale militare dislocato all'estero partono un paio di settimane dopo la fine della convention e il voto di persona anticipato comincia il 20 settembre in Minnesota e South Dakota.
I repubblicani invece non avrebbero la possibilità di sostituire Donald Trump alla loro convention di luglio - neppure qualora fosse condannato per uno o più crimini - se avesse la maggioranza dei delegati: essi infatti sono non solo "pledged" (impegnati) ma "bound" (vincolati).