L'approvazione dell'iniziativa sul divieto di dissimulare il volto non va giù ai Verdi Liberali: «Andremo a Strasburgo»
Di tutto altro parere Saïda Keller-Messahl fondatrice del Forum per un Islam progressista. «È un sì contro il totalitarismo». Le federazioni islamiche temono invece per la sicurezza.
BERNA - «Dopo il divieto di costruire minareti, abbiamo un secondo articolo costituzionale esplicitamente diretto contro una comunità religiosa in Svizzera». È con queste parole che le Giovani Verdi svizzere descrivono il risultato alle urne di oggi. Julia Küng, co-presidentessa delle Giovani Verdi nazionali ritiene «molto problematico quando la comunità limita i diritti fondamentali di una minoranza per mezzo di un referendum». L'iniziativa "Sì al divieto di dissimulare il viso" viene definita come «un'intrusione nella libertà personale, nella libertà di fede e di coscienza, nell'uguaglianza dei diritti e nel divieto alla discriminazione».
Le Giovani Verdi sono pronte a intraprendere azioni legali contro l’applicazione di tale nuova legge. In collaborazione con l’avvocato dei diritti umani Philip Stolkin, sono «preparate a sostenere le donne colpite dalla repressione nell'affermare i loro diritti personali e il diritto alla libertà di credo». Se fosse necessario, anche attraverso tutte le istanze, «fino alla Corte europea dei diritti umani a Strasburgo».
Il presidente dei Verdi svizzeri, Balthasar Glättli, ha parlato di «un risultato scioccante che fa male». Il fatto che il verdetto delle urne sia stato comunque molto più serrato che nel caso dell'iniziativa sui minareti del 2009 «è rassicurante», ha commentato il consigliere nazionale zurighese a Blick Tv. «Si può sperare che i prossimi attacchi alle minoranze religiose non trovino più una maggioranza di fronte al popolo», ha aggiunto.
«Un sì contro il totalitarismo» - Saïda Keller-Messahli, fondatrice del Forum per un islam progressista, è dell'idea che si debba parlare apertamente di argomenti tabù quali il jihadismo, la radicalizzazione e l'aggressività degli islamisti. La gente ha invece paura di essere tacciata di razzismo o islamofobia. Per Keller-Messahli il "sì" trasversale al divieto di burqa e niqab è da interpretare come un «no" a un'ideologia totalitaria che non ha diritto di esistere in una democrazia.
«Islamofobia ancorata nella Costituzione» - Di tutto altro parere è il Consiglio centrale islamico della Svizzera (CCIS) che ritiene Il divieto del velo integrale «una grande delusione per i musulmani che sono nati e cresciuti in Svizzera». Secondo il CCIS cui gli iniziativisti sono riusciti ad «ancorare l'islamofobia nella Costituzione federale». Spetta al Consiglio federale prendere ore le misure necessarie affinché i musulmani siano protetti dalla discriminazione, ha indicato a Keystone-ATS la segretaria centrale Ferah Ulucay. A suo avviso l'iniziativa non servirà a nulla. Nessuna multa è stata finora inflitta nel canton San Gallo, otto anni dopo la votazione sul divieto del burqa. I promotori hanno giocato sulle paure della popolazione, ha proseguito. Hanno dipinto scenari «come se fossimo a Kabul o in Iran», critica Ulucay. La CCIS promette che sarà al fianco delle donne che portano il niqab. «Le sosterremo e pagheremo le multe finché avremo le risorse per farlo: se necessario, andremo fino alla Corte europea dei diritti dell'uomo a Strasburgo», ha concluso.
«Temiamo per la sicurezza» - Il probabile sì alle urne non è stato accolto per nulla bene neppure dalla Federazione delle organizzazioni islamiche della Svizzera: «Temiamo per la sicurezza dei musulmani. In Francia dopo il divieto del velo si è vista aumentare la violenza», afferma il portavoce Pascal Gemperli. «Siamo delusi. Il voto ha preso di mira una specifica comunità, come successo con i minareti, e non si sa cosa verrà dopo», ha aggiunto. «Posso capire che molte persone abbiano votato per convinzione, per proteggere certe donne, e non sotto la spinta d'intenzioni negative verso la comunità musulmana: ma comunque si creerà un'atmosfera piuttosto malsana», ha proseguito l'addetto stampa.
«Basta dire alle donne come vestirsi» - «Smettiamola di dire alla donne come si devono vestire»: lo afferma la copresidente della sezione femminile del partito socialista (PS) svizzero Tamara Funiciello, che deplora l'esito dell'iniziativa anti burqa. «La nostra lotta per una società con parità di diritti e libera non finisce qui», ha detto la consigliera nazionale bernese all'agenzia Keystone-ATS. A suo avviso il sì all'iniziativa non risolve i veri problemi come il sessismo, il razzismo e la violenza: è inoltre un cattivo segnale nei confronti della comunità islamica. «Bisogna sostenere la comunità musulmana: il PS lo farà, perché essa è parte della nostra società», ha concluso la femminista ed ex presidente dei giovani socialisti svizzeri.
Anche un po' di sinistra ha votato "sì" - «Non è stato risolto nessun problema, nulla cambia e nemmeno i diritti delle donne sono progrediti»: lo dice il presidente del gruppo PS alla Camere federali Roger Nordmann. «Cosa può succedere? Non credo che i cantoni creeranno brigate anti-burqa», puntualizza il consigliere nazionale vodese in dichiarazioni rilasciate all'agenzia Keystone-ATS. A suo avviso si sono sommati due sì: quello discriminatorio dell'UDC contro gli stranieri, e quello laico contro i simboli religiosi nello spazio pubblico. «Il voto di oggi segna una chiara ritirata dalla linea xenofoba stigmatizzante - ha proseguito Nordmann. L'UDC non è in gran forma», si è rallegrato. Il 47enne stima che circa un quarto dell'elettorato di sinistra abbia sostenuto l'iniziativa per ragioni laiche e femministe.
«Un segnale contro l'Islam radicale» - Un chiaro segnale «contro l'Islam radicale e i teppisti, nonché a favore di una convivenza pacifica»: è la lettura del presidente dell'UDC Marco Chiesa del voto odierno favorevole all'iniziativa anti burqa. Intervistato da Blick Tv il consigliere agli Stati ticinese ha ricordato che la Corte europea dei diritti umani ha già ritenuto accettabile la proibizione del velo integrale. «I Giovani Verdi possono risparmiare soldi, se evitano di prendere la via di Strasburgo», ha aggiunto, facendo riferimento a quanto affermato dagli ecologisti nel pomeriggio.
I timori del turismo - La Federazione svizzera del turismo (FST) deplora l'accettazione dell'iniziativa anti-burqa. Il settore, che sta già soffrendo molto per la crisi del coronavirus, non può permettersi ulteriori complicazioni, ha affermato la direttrice Barbara Gisi. La Svizzera, paese aperto, era lieta di accogliere turisti con il velo integrale, ha indicato Gisi all'agenzia Keystone-ATS. I ricchi ospiti dei paesi del Golfo sono ormai persi, ha aggiunto. La FST cercherà ora, attraverso attività di sensibilizzazione, di accogliere il maggior numero possibile di viaggiatori socialmente più progressisti provenienti dalle stesse nazioni. Secondo Gisi l'esempio del Ticino dimostra che il divieto del burqa ha un impatto sul turismo. Il cantone sudalpino ha perso il 30% dei visitatori provenienti dagli stati del Golfo: la direttrice della FST ritiene che il divieto del velo sia stato il fattore decisivo.