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«Sogno la Russia ogni notte, ma mi sono sentita tradita»

Minacciata, avvelenata e diffamata dal suo stesso governo: la forza e il coraggio della reporter di guerra russa Elena Kostyuchenko
Minacciata, avvelenata e diffamata dal suo stesso governo: la forza e il coraggio della reporter di guerra russa Elena Kostyuchenko
La giornalista di Medusa è ospite al Festival Endorfine di Lugano.

«Non ho smesso di scrivere perché voglio vivere». La voce di Elena Kostyuchenko, reporter di guerra russa ospite all’Endorfine Festival di Lugano, non trema quando ci racconta il momento in cui ha scoperto di essere stata condannata a morte dalla Guardia Nazionale del leader ceceno Ramzan Kadyrov, per ordine del Cremlino. Due occhi azzurri pieni di vita malgrado abbiano attraversato l’inferno. «È stato uno shock, non volevo crederci». La giornalista, che scriveva per Novaya Gazeta, uno degli ultimi giornali liberi e indipendenti in Russia costretto a sospendere le pubblicazioni fino alla fine della guerra in Ucraina, dopo le minacce è sopravvissuta a un avvelenamento. Eppure non ha abbandonato la sua lotta per amore verso il suo paese e per la sua missione: raccontare la verità.

I suoi articoli molto scomodi per il regime hanno contribuito alla chiusura del giornale. Come reagivano i lettori russi alle divergenze dei suoi reportage con la narrazione ufficiale?

«I miei articoli sono stati visualizzati da milioni di persone, tantissimo per gli standard del mio giornale. Ho sentito un grande interesse dei cittadini russi per la verità. I russi hanno sempre apprezzato il lavoro dei giornalisti indipendenti. E il regime ha subito individuato in questi articoli una minaccia. Molte testate giornalistiche, inclusa Novaya Gazeta sono state costrette a chiudere poco dopo l’inizio della guerra. Ma la situazione è sprofondata quando il Parlamento ha approvato una legge che criminalizza ogni informazione che non corrisponde con la narrazione del ministro della Difesa. Diffondere informazioni diverse è diventato un crimine. Ero in Ucraina quando questa legge è stata approvata e ho realizzato che all’improvviso ero diventata un criminale agli occhi del mio governo. Non ho avuto altra scelta che continuare a fare il mio lavoro. Mi trovavo in un paese invaso e distrutto dai miei militari. Non potevo smettere di scrivere. I russi dovevano conoscere la verità». 

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Novaya Gazeta è sempre stato molto importante per esporre alla luce del sole gli scandali e i crimini dei governi russi. Ora che ha dovuto sospendere le pubblicazioni chi raccoglierà la sua eredità?

«I giornalisti di Novaya Gazeta che sono stati costretti a lasciare la Russia hanno aperto un nuovo sito di informazioni Novaya Gazeta Europe. Coprono la guerra in Ucraina anche se non è facile. Alcuni giornalisti sono ancora in Russia e svolgono sempre il loro lavoro. Una di loro è la mia sorella minore, anche lei ha lavorato per Novaya Gazeta. Le ho chiesto come riesce a svolgere il suo lavoro e mi ha risposto che quando esce di casa la mattina non sa se tornerà la sera. Sono costretti a pianificare la loro vita giorno per giorno come se fosse l’ultimo».

Cosa ha provato quando ha scoperto che volevano ucciderla?

«È stato come sbattere contro un muro. Ero scioccata. Quando i miei colleghi mi hanno avvertito non ci volevo credere. Per un momento ho smesso di sentire i suoni e le voci attorno a me. Non sentivo niente. Ho chiesto alle mie fonti e anche l’Intelligence ucraina mi ha confermato che ero sulla lista nera. Dopo lo shock iniziale è prevalsa però la rabbia. Ero infuriata e volevo assolutamente arrivare a Mariupol dove la città veniva bombardata giorno e notte. Ho cercato di arginare il blocco dei militari, ma non c’è stato niente da fare. L’unica strada possibile per raggiungere la città era controllata dai militari russi, era troppo pericolosa e sono dovuta scappare».

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Eppure non ha smesso di scrivere, come mai?

«Quando ho capito che non era possibile raggiungere Mariupol ho lasciato l’Ucraina. Il mio giornale mi voleva fuori dal paese perché era troppo pericoloso per me. Così ho deciso di prendere il tempo necessario per scrivere un libro che avevo in programma da tempo. Quando sono giunta in Germania ho capito che poche persone conoscono cosa succede veramente in Russia. Mi sono detta: devo fare in modo che tutti conoscano la verità. Il libro tratta l’evoluzione della Russia verso il fascismo. Un processo maturato con il tempo che non è stato improvviso. Ho pensato che fosse utile anche ai paesi fuori dalla Russia conoscere come il fascismo si è installato ed è cresciuto progressivamente. Noi in Russia abbiamo ignorato le bandiere rosse e i segnali che qualcosa non andava. Come si dice in Russia: non vedi la foresta dietro gli alberi. Si vedono gli eventi separati ma non si coglie il contesto».

Poi cosa è successo? 

«Volevo tornare il prima possibile in Ucraina, ma non mi hanno permesso. Quindi ho deciso di aderire a un altro gruppo giornalistico, Medusa. Ero a Monaco, stavo cercando di ottenere un visto per tornare in Ucraina, quando sono stata avvelenata. Volevo tornare a raccontare i crimini dei soldati russi e probabilmente rappresentavo ancora una minaccia per loro».

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Tornare in Russia è troppo pericoloso. Prova nostalgia?

«È terribile. Ogni notte sogno la Russia, la mia casa, la mia città. Passavamo l’estate in una casetta sperduta nel niente dove non c’era internet e non avevamo nessun contatto con il mondo. Solo fiumi, foreste e prati. Quando mia mamma mi chiama le chiedo di descrivermi quello che vede e di inviarmi delle foto. È doloroso, ma mi permette di restare legata alla mia terra. È una triste felicità. Sono contenta di vedere luoghi così significativi per me, ma allo stesso tempo è triste perché so che non potrò tornare. Amo tantissimo il mio paese, ma è un amore molto doloroso. È come quando si ama qualcuno alla follia ma questa persona si comporta in modo sbagliato, si trova nei guai, è corrotta. Voglio fare qualcosa, ma è difficile essendo così lontana. Spero che il mio lavoro possa aiutare a combattere questo regime».

Segue le orme di un’altra importante giornalista investigativa russe, Anna Politkovskaja.

«Era il mio idolo. È la ragione per la quale sono diventata una giornalista. Avevo 14 anni e per caso sono capitata su un'edizione di Novaya Gazeta. Leggendo gli articoli ho notato l'enorme differenza tra quello che il giornale sosteneva e quello che vedevo in televisione. Eppure gli articoli erano scritti in un modo così chiaro che subito mi ha colpito e mi ha fatto capire che era la verità. Ero scioccata e mi sono detta: devo diventare una giornalista di Novaya Gazeta».


Appendice 1

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