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Figli “geniali”, «non lasciateli soli. Il rischio è di sprecare dei talenti»

I bimbi ad alto potenziale cognitivo sono tra il 2 e il 5% degli allievi. Le loro storie.
I bimbi ad alto potenziale cognitivo sono tra il 2 e il 5% degli allievi. Le loro storie.

«Almeno faccio un anno di scuola in meno», è stato il commento di un ragazzo APC (alto potenziale cognitivo) quando gli hanno comunicato che la direzione delle medie era d’accordo di fargli saltare una classe. I bambini nella loro semplicità sono sempre capaci, con una sola frase, di dare un senso anche ai problemi più complessi.

Dopo anni di asilo ed elementari trascorse tra la noia di programmi per lui non stimolanti, oggi non vede l’ora di scappare dalle grinfie del sistema scolastico. «Un apprendistato interessante va benissimo, l’importante è andarsene».

I bambini con alto potenziale cognitivo (Q.I superiore a 130) sono una realtà diffusa in Ticino. Come spiegato di recente a Tio.ch da Giovanna Bagutti formatrice dell'apprendimento, specializzata in didattica per bambini e ragazzi ad alto potenziale cognitivo e titolare di Ti aiuto, la percentuale in Ticino è variabile «tra il 2-5% degli allievi, anche se non esiste ancora una ricerca a tappeto. Si può comunque ipotizzare che in ogni classe sia presente un allievo ad alto potenziale cognitivo».

Le testimonianze - E le storie riportate lo dimostrano. Quando ricevette il programma delle scuole elementari che illustrava gli obiettivi di fine ciclo, Maria si è accorta che c’era qualcosa di strano. Luigi già sapeva gran parte di quelle cose e ancora doveva iniziare la prima. «Aveva 4 anni e quando andavamo a passeggio leggeva i cartelli per strada - ricorda - In classe si annoiava presto e si stupiva nel vedere cosa facevano i suoi compagni. Puntava sempre a svolgere attività complesse».

E sotto lo sguardo attento della mamma risaltava evidente come «volesse fare giochi complicati e non correre dietro a una palla. Si metteva da solo in disparte rispetto agli altri che però lo cercavano. Durante l’asilo sperava che, una volta alle elementari, potesse trovare qualcosa di più stimolante».

Ma ciò non è accaduto. Tanto che sempre più spesso «si portava cose da fare da casa e libri da leggere non appena terminate le attività in classe».

Ovviamente in sintonia con l’insegnante di sostegno «si è cercato di diversificare ma è servito a poco. Necessario forse far fare una valutazione ufficiale del potenziale cognitivo. Questo può essere uno strumento idoneo da presentare poi alla scuola per organizzare insieme all’istituto un percorso adeguato. So di altre persone che hanno deciso di spostarlo in una scuola privata e di chi si è trasferito in Svizzera interna dove ci sono scuole apposite».

Purtroppo però non ci sono solo aspetti positivi dall’avere un alto potenziale cognitivo visto che «si possono modificare i rapporti con gli altri. Nostro figlio ha sofferto di tale situazione. Anche per questo abbiamo deciso di far fare la valutazione ufficiale. Ma non tutti i genitori possono permetterselo, non tutti, a differenza nostra, hanno le capacità e le possibilità di seguire passo passo il proprio ragazzo, di sostituirsi alla scuola là dove è carente».

Inevitabile chiedere cosa si aspetta in futuro da parte delle istituzioni. «Maggiore impegno. Perché se è vero ed è giusto che la scuola sostenga chi fa fatica e rimane indietro è però altrettanto vero che deve essere al fianco anche di chi, per assurdo, è così avanti. Spesso, visto che non disturbano, questi ragazzi vengono messi da parte»

Il racconto - Altrettanto significativa un’altra storia che ci viene raccontata questa volta da un papà. «Non ci siamo accorti subito di queste sue caratteristiche. All’inizio, all’asilo, mio figlio mostrava alcune difficoltà comportamentali. In classe disturbava. Molto utile è stato affidarlo a un ergoterapista che ha capito qual era la situazione, ovvero la presenza di un ragazzo con alto potenziale cognitivo. Realtà poi certificata grazie all’intervento di un esperto».

Ma ciò che ci preoccupava «non erano solo le “difficoltà” relazionali a scuola ma anche a casa, nella normale convivenza con fratelli e sorelle». Poi con il passaggio alle elementari «il percorso si è meglio strutturato e si è quasi del tutto normalizzato - aggiunge il papà - Ha trovato amici con caratteristiche simili e ha sviluppato diversi interessi extrascolastici come corsi di robotica e fumetto, evitando, per sua natura giochi magari più fisici e comuni come il calcio»

E guardando al futuro «visto che si parla giustamente di scuola inclusiva e a tale scopo si investe molto in Ticino, si parla di svariati milioni di franchi, la speranza è che si tenga presente non solo chi rimane indietro, chi arriva da fuori e chi ha problemi ma anche chi, scusate il gioco di parole, è magari troppo avanti. Altrimenti si rischia magari di perdere dei talenti».

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Non è l’America. La storia di Francesco

Ingrid e Luca, nati e cresciuti a Lugano, si sono spostati negli Stati Uniti poco dopo il matrimonio e hanno avuto due figli. Quando i bambini erano piccoli tutta la famiglia è tornata in Svizzera dove è rimasta 7 anni prima di ripartire di nuovo alla volta degli Stati Uniti.

La moglie Ingrid è pedopsichiatra e si è accorta in fretta che a 3 anni Francesco (che oggi ha 30 anni)  intuiva soluzioni a problemi matematici complessi. Per questo motivo il bambino è stato sottoposto a test dal quale è risultato un quoziente d’intelligenza elevatissimo. Come Francesco ce n’è uno ogni 33000 persone. Spesso questi bambini hanno un ‘intelligenza selettiva: sono dotati per alcune materie, ma non per altre. Francesco no, lui capisce in fretta le lingue e le materie scientifiche. 

Improvvisamente parla francese - Con il papà parlava italiano, con la mamma inglese. I genitori avevano una lingua “segreta”, il francese, che parlavano tra di loro quando non volevano farsi capire dai bambini. Tutto ok finché un giorno Ingrid disse al marito: “il faut qu’ils aillent au lit” (devono andare a letto) e sentirono Francesco rispondere: “je ne veux pas dormir maintenant” (non voglio dormire ora). Il bambino aveva imparato i rudimenti del francese ascoltando mamma e papà parlare tra loro. I genitori, che volevano un ambiente il più normale possibile per il figlio, non gli dicono nulla, ma Francesco non è stupido (anzi: tutt’altro!) e ben presto si accorge che c’è qualcosa di strano. “Non ricordo quando ho capito di essere più intelligente degli  altri”, ci dice Francesco. “Magari l’ho sempre saputo, ma non sempre era facile”. Infatti, come la maggior parte dei bambini ad alto potenziale, Francesco non era in grado di spiegare le cose. Semplicemente le intuiva partendo da elementi che gli permettevano di dedurre soluzioni a problemi complessi, specialmente in matematica e fisica. “Non capivo perché dovevo andare a scuola; tutti mi dicevano che la scuola è fatta per imparare, ma io non imparavo nulla e mi annoiavo tantissimo. Allora andavo lì, anche se proprio non volevo, e cercavo di capire come funziona la gente in un sistema chiuso come lo è una classe scolastica. Quelli come me hanno difficoltà ad accettare situazioni che per loro non hanno senso. Ho quindi dovuto inventarmene uno”.

Meglio gli Stati Uniti - Ma in Svizzera nulla è stato facile. “Alle elementari molti docenti non credevano che capissi autonomamente e volevano sapere chi mi avesse detto le cose che intuivo. Altri docenti, più preparati, cercavano di assecondarmi dandomi da risolvere problemi più difficili per sviluppare meglio le mie potenzialità. Questa situazione si è protratta per tutte le scuole elementari. Poi, per mia fortuna, i miei genitori hanno deciso di tornare negli Stati Uniti dove c’è più diversità, ma anche molta più accettazione. E’ un sistema aperto dove vien premiata la creatività. In Svizzera purtroppo non è così”. In America le autorità hanno adottato leggi che cercano di includere tutti i bambini, compresi quelli ad alto potenziale. Non ci sono classi fisse ed ogni studente può seguire ogni materia al meglio delle sue possibilità.“ A Boston ho trovato scuole dove in ogni “classe” le stesse materie erano trattate su 4 livelli; il livello A era il più approfondito, il D era per chi aveva più difficoltà ad apprendere. In sintesi non avevo compagni fissi; ogni studente aveva un orario differente ed eravamo meno dell’1% degli studenti a seguire tutte le materie in livelllo A. In seconda avevo terminato tutti i livelli A di tutti e 4 gli anni di matematica e a 16 anni, per la matematica, mi hanno mandato all’università di Harvard seppure tecnicamente ero ancora iscritto al liceo”. Oggi Francesco ha 30 anni, parla 5 lingue, ha un dottorato in informatica e lavora in una start-up che si occupa di sicurezza informatica.

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«Tante insidie nascoste per i bimbi con un QI alto»

I bambini ad alto potenziale cognitivo sono un piccolo ma nutrito esercito anche in Ticino. Le loro storie sono differenti e spesso nascondono, dietro bambini con un alto quoziente intellettivo, anche situazioni in bilico. Situazioni che se non “guidate” possono provocare un effetto boomerang e dei danni. 

Il primo passaggio è vagliare le segnalazioni che «nell’80% dei casi provengono dalle famiglie, a volte dai pediatri e raramente dalle scuole», spiega Galli.

I segnali sono molteplici ma solitamente «siamo di fronte a bambini molto vivaci che fanno molte domande e hanno curiosità iper sviluppate sui temi primari come l’origine dell’uomo e della donna, i dinosauri, la morte. Ciò che li differenzia dai tanti coetanei che magari hanno passione per la preistoria, è la frequenza delle domande che pongono e la ricchezza di conoscenze che hanno acquisito. Si dimostrano inoltre, già a 4 o 5 anni, molto empatici e consapevoli su determinati problemi», dice lo psicologo (http://giovannigalli-ch.com).

A tal proposito «ricordo un bimbo di 4 anni, che valutai, intento al parco giochi a raccogliere cartacce e mozziconi per buttarli nel cestino nell'indifferenza degli adulti. Aveva uno spiccato senso di giustizia e attenzione alla natura».

Ci si trova poi davanti a ragazzi con «una qualità di linguaggio molto sviluppata, usano correttamente il condizionale, hanno un ampio vocabolario, conoscono i sinonimi. A 4 anni a volte leggono mentre per contro hanno meno sviluppate le abilità del fare - sottolinea Galli - E non è assolutamente detto che tali bambini siano allo stesso tempo alunni modello con un rendimento alto. Questo perché la noia di dover affrontare compiti per loro poco stimolanti li può portare a essere meno presenti, a commettere errori sciocchi. Spesso difettano così di concentrazione e possono rimanere isolati».

Tutto ciò in passato ha portato a una sovrabbondanza di diagnosi di DHD «ma il disturbo dell’attenzione non è la stessa fattispecie. Per l’APC vanno fatte valutazioni specifiche. Solitamente io trascorro almeno 3 ore con il bimbo e poi si valutano i dati raccolti utilizzando metodi ad hoc. Superfluo dire che ogni caso è a se stante».

Il rischio maggiore è che questi bambini possano «essere emarginati perché differenti e che ciò possa portarli in situazioni di disagio o di asocialità o rifiuto di inserirsi», spiega Galli.

E a corredo di quest’ultima affermazione arriva un ultimo esempio. «Ricordo un ragazzo che alle medie, durante una verifica di matematica, dopo aver rapidamente eseguito il suo test - alla classe, suddivisa in due file, erano stati assegnati due compiti differenti - fece velocemente anche quello dell’altra metà dei compagni. Ma ovviamente si trattava di una situazione fine a se stessa e, annoiato dalla realtà della classe iniziò a perdere interesse e a non rendere più al meglio», conclude lo psicologo.


Appendice 1

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