Sia al nord che al sud del Continente, aumentano i giovani europei che si sentono soli
Tra i fattori a pesare di più, oltre al lockdown, la cattiva salute e le difficoltà economiche
BRUXELLES - Un cittadino su quattro degli Stati dell'Unione europea ha ammesso di aver sofferto di solitudine a causa della pandemia di coronavirus. In particolare, sono i giovani adulti (nella fascia tra i 18-25 anni) ad essere i più colpiti.
È quanto emerge dai risultati di uno studio pubblicato dal Centro comune di ricerca della Commissione Ue (Jrc), in collaborazione con il Parlamento europeo. Rispetto ad un rilevamento simile effettuato quattro anni or sono, i livelli di solitudine riportati sono più che raddoppiati.
«La solitudine è una sfida che colpisce sempre più i nostri giovani. Ma per affrontare efficacemente qualsiasi sfida dobbiamo prima capirla. Gli scienziati Centro stanno fornendo preziose intuizioni sulla solitudine» ha dichiarato il commissario per l'innovazione, la ricerca, la cultura, l'istruzione e la gioventù, Mariya Gabriel, aggiungendo come «questo nuovo rapporto ci dà una base per un'analisi più ampia, in modo che la solitudine e l'isolamento sociale possano essere pienamente compresi e affrontati in Europa».
Tutta Europa, stesso trend
Confrontando diverse caratteristiche e settori, si nota che le esperienze di solitudine di migranti e persone provenienti da minoranze etniche sono più marcate rispetto ai loro coetanei. Invece, non risultano differenze significative nei dati di uomini e donne, e nemmeno tra aree rurali e zone urbane.
Le condizioni economiche favorevoli (reddito familiare) proteggono contro la solitudine: questo era ugualmente vero sia prima che durante la pandemia, mentre una cattiva salute è sempre associata alla solitudine. Secondo lo studio, come prima della pandemia, i livelli di solitudine sono maggiori in Europa meridionale rispetto all'europa settentrionale, ma la differenza si è ridotta: «Questo è un po' sorprendente perché l'Europa del nord ha messo in atto chiusure più leggere rispetto all'Europa meridionale e occidentale. Abbiamo la sensazione che la pandemia potrebbe aver inizialmente favorito un senso di appartenenza in diversi Paesi, in particolare nell'Europa del sud».
In generale coloro che vivono da soli, mostra poi il rapporto, tendono maggiormente a percepire la solitudine, in particolare durante un periodo di lockdown. Le connessioni faccia a faccia con la famiglia stretta riducono l'incidenza della solitudine.
«Conseguenze fisiche e mentali»
Il rapporto ha poi ricordato come la solitudine e l'isolamento sociale siano dannosi per la salute mentale e fisica. Inoltre, hanno conseguenze significative per la coesione sociale e la fiducia tra i membri della comunità. Sono sempre più riconosciuti come problemi pubblici che devono essere affrontati con interventi politici efficaci.
Secondo i ricercatori, l'attuale dibattito pubblico rappresenta un'opportunità per evidenziare un problema che è stato spesso misconosciuto o trattato come un tabù.
In tal senso è anche nata una collaborazione con il Giappone: la Primo Ministro per la solitudine Tetsushi Sakamoto ha incontrato la vicepresidente della Commissione per la Democrazia e la Demografia, Dubravka Šuica, per condividere e discutere sulle possibili misure volte ad affrontare il problema.