La decisione di vuotare il sacco e raccontare gli abusi subiti. Da quel giorno ha conosciuto umiliazione e imbarazzo.
LUGANO - Quarant'anni da socia attiva, di ricordi, fatiche e impegno cancellati con un colpo di spugna. Quando Claudia Biasca ha denunciato gli abusi subiti in seno a Unitas si aspettava sostegno ma - invece - l'associazione l'ha chiusa fuori, isolandola e allontanandola.
Claudia, che è stata delegata presso la Federazione Svizzera dei ciechi (FSC) e membro del comitato Unitas, si è sempre prodigata in mille attività all’interno dell’Associazione: è stata promotrice del primo corso d'inglese con materiale didattico in Braille, redattrice della rivista Braille “l’Orbettino”, ha organizzato servizi di lettura e consulenza e attività ricreative come la Giornata della solidarietà.
«Ho iniziato come volontaria che ero poco più di una bambina e ho continuato negli anni a restare attiva anche se nel frattempo avevo un lavoro e dovevo occuparmi della mia famiglia», racconta a tio.ch, «un impegno, questo, che ho portato avanti con entusiasmo e non aspettandomi nulla, se non un minimo di rispetto».
Come altre, è una delle vittime degli abusi avvenuti in seno a Unitas e perpetrate dal presidente attivo all'interno della società. La decisione di denunciare quanto avvenuto finirà per costarle molta amarezza: «Quando gli altri soci hanno saputo che avevo testimoniato mi hanno accusato di aver parlato per rovinare, per affondare o addirittura mandare in malora Unitas», spiega.
Dopo questa rottura cerca pace, ma non riesce a trovarla: «Ci ho provato alle assemblee che si sono tenute a maggio 2022 e anche quella straordinaria dello scorso 25 marzo, ma non sono mai stata né ascoltata, né tanto meno considerata», continua, «a oggi non ho ancora ricevuto nemmeno una sola parola di scuse da parte della dirigenza. Il comitato rifiuta categoricamente qualsiasi tipo di confronto e persiste nel non voler dare le risposte alle domande poste da me come vittima».
Un frustrante muro contro muro: «Durante l'assemblea mi hanno detto, cito testualmente, “di lasciar stare quel pover uomo“ che aveva “fatto così tanto” per loro, e che la accuse che muovevamo erano “solo per ottenere soldi“. Culmine dell'umiliazione è stato l'applauso fragoroso dei soci al comitato e al presidente dimissionario... Non mi sono mai sentita così umiliata e imbarazzata in vita mia».
Viste le premesse, per lei, l'unica possibilità è quella di voltare pagina: «Non posso fare altro che chiudere definitivamente», aggiunge non nascondendo il risentimento che prova, «faranno finta di aver fatto pulizia e così continueranno a ricevere i sussidi cantonali e federali... E con un presidente membro del Ambassador Club e un direttore presidente del Lion’s i fondi non mancheranno. Quello che continuerà a svanire è invece lo spirito di autoaiuto e autodeterminazione che sta alla base di questo sodalizio. Ma saranno, ahimé, pochissimi a sentirne la mancanza...».
Un futuro senza Unitas, per Claudia sarà per certi versi forse più leggero ma di sicuro più faticoso: «Mi toccherà capire come fare per reperire e finanziare i supporti e i mezzi ausiliari di cui ho bisogno per affrontare le difficoltà quotidiane. Unitas, purtroppo per me, è l'unica associazione in Ticino che fornisce questo tipo di prestazioni».