La libertà di stampa vacilla mentre il mondo aspetta la decisione dell’Alta Corte di Londra. La parola all'esperto.
LONDRA/LUGANO - Tra oggi e domani, 20 e 21 di febbraio, l’Alta Corte di Londra deciderà le sorti di Julian Assange. Il whistleblower australiano aspetta il risultato del suo ricorso contro la decisione di estradizione sancita dalla giustizia britannica. Qualora dovesse venire confermata l'estradizione, Assange sarà condannato a 175 anni da scontare, con tutta probabilità, in un carcere di massima sicurezza negli Stati Uniti. Un’attesa che non ha lasciato indifferente la comunità internazionale. Sono molte le personalità che si sono unite all’indignazione della famiglia per una decisione che gli esperti considerano ormai scontata.
Washington non ha infatti mai perdonato al fondatore di Wikileaks la pubblicazione nel 2010 di oltre 600mila documenti top secret che smascheravano i crimini di guerra perpetrati dall’esercito americano in Iraq e Afghanistan durante la «guerra al terrorismo», slogan tanto amato dal presidente George Bush. Facciamo chiarezza sui rischi per la libertà di espressione e la libertà di stampa con Bertil Cottier, professore associato di Diritto dell'informazione all'Università di Losanna e professore emerito della Facoltà di comunicazione, cultura e società dell’Università della Svizzera italiana.
Perché l’estradizione di Assange, se dovesse venire confermata, rappresenterebbe un pericolo per la libertà di stampa?
«Sarebbe certamente un cattivo segnale. Ma bisogna chiarire con precisione il ruolo e la situazione legale del caso specifico. Si tratta di un processo di estradizione che normalmente non presenta nessuna grave complicazione. Ai tribunali inglesi non spetta infatti il compito di giudicare la sostanza del caso. Di solito durante questo tipo di procedure, il Tribunale deve solo verificare la legalità della richiesta. Una visione un po' fredda, ma non c’è quasi mai un’interpretazione del caso stesso».
Esistono però alcune eccezioni, quali sono i requisiti?
«L'eccezione compare solo quando si assiste a gravi violazioni di diritti umani, oppure se la vita del detenuto è in pericolo. In questi casi il paese che ha ricevuto la richiesta può rifiutare l’estradizione. Quello che scopriremo tra oggi e domani è se il Tribunale inglese giudicherà il caso Assange proprio come una grave violazione dei diritti umani. Per il momento non sono state riscontrate gravi violazioni. Vedremo se i giudici britannici valuteranno l’importanza di proteggere la libertà di espressione che questo caso rappresenta».
Spesso i giornalisti vengono attaccati dalle istituzioni. Il caso Assange potrebbe sdoganare ulteriori offensive?
«Secondo me sì. È un personaggio particolare che è stato molto mediatizzato, ma bisogna fare una riflessione sul ruolo del giornalista e dei media in un sistema democratico. La Corte europea dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa, ha sempre insistito sul fatto che la stampa deve svolgere la funzione di un “cane da guardia”. I giornalisti devono investigare e denunciare gli abusi, la corruzione e le violazioni delle leggi da parte dello Stato oppure da parte di una grande entità privata. Per svolgere questo ruolo bisogna fornire ai giornalisti certi strumenti e certi privilegi: per esempio la tutela delle fonti, un aspetto importantissimo per la stampa, oppure la possibilità di proteggere gli whistleblower»
In caso si concretizzasse l'estradizione di Assange, questo sistema di protezione si può dire che ha fallito?
«Sì, giusto. Bisogna capire però che negli Stati Uniti la situazione è un po’ diversa. La libertà di stampa riveste un ruolo fondamentale. A livello federale in molti Stati però la tutela delle fonti non è protetta. È una faglia del sistema. È la ragione per la quale nella classifica di Reporter Senza Frontiere, gli Stati Uniti non sono al vertice ma ricoprono solo la 45esima posizione. Questa debolezza ha un impatto forte sul lavoro dei giornalisti».
La morte di Navalny ha suscitato la reazione di Stati Uniti e Ue. Si tratta di due casi diversi, ma sia Mosca che Washington sono accusate di reprimere la libertà di espressione.
«Sono due eventi troppo diversi, non vedo un nesso particolare. È però vero che negli Stati Uniti esiste un paradosso. Da un lato abbiamo detto che le fonti non sono sempre protette quando le informazioni riguardano segreti di Stato. Esiste invece una grande protezione per i whistleblower per tutte le altre questioni. Il giornalista che indaga e che svolge il ruolo di facilitare le denunce e gli abusi in particolare delle ditte e dei privati (come è successo per esempio per il caso Ubs), è molto protetto. È una situazione paradossale».