La reazione amareggiata da chi da anni è attivo in prima linea perché sia fatta chiarezza: «Siamo stufi, delusi e stanchi»
BELLINZONA - Una mezza risposta sul lungo e annoso caso delle molestie all'interno dell'Unitas, quella data oggi dal Consiglio di Stato a due atti parlamentari di Verdi e MPS, che non convince - anzi - chi da anni è in prima linea perché sia fatta chiarezza.
La presa di posizione del Governo, che non pubblicherà l'audit per motivi di privacy, parla di 19 segnalazioni di abusi (17 dei quali riscontrati) lungo un periodo di 25 anni e perpetrate da una sola persona, che sarebbe da tempo stata allontanata.
«Siamo stufi, delusi e stanchi»
Qualche numero, ma troppe ombre perché vittime, famigliari, amici e soci possano ritenersi soddisfatti: «Penso di parlare a nome di molti noi, siamo veramente delusi, stufi e stanchi, perché ci sentiamo proprio come se non contassimo niente», ci racconta Claudia Biasca socia attiva e una dei trenta (e più) firmatari di una richiesta di dimissioni dei comitati dell’associazione e delle fondazioni di Unitas.
A farle con, nello scoramento e nell'incredulità, è un altro socio attivo Gabriele Ghirlanda: «Sono veramente deluso e scandalizzato da tutta questa storia, e pensare che saremmo un paese che si ritiene democratico», commenta a caldo.
L'ombra della politica
L'impressione di entrambi e che la decisione di oggi abbia un forte odore politico. «Siamo in periodo elettorale, è probabile che in diversi avessero paura», aggiunge Biasca. «Se si considerano tutte le personalità coinvolte, e alcuni precedenti - come quello noto dell'anonimo funzionario cantonale - la conclusione non può essere diversa», aggiunge amaro Ghirlanda.
Non convince nemmeno la motivazione basata sulla privacy per giustificare la non pubblicazione di un audit, per loro attesissimo: «L'inchiesta doveva essere resa pubblica, anche perché è stata pagata con soldi pubblici. C'erano sicuramente moltissimi modi per anonimizzarli, proteggendo le vittime ma facendo chiarezza sulle dinamiche: tutti devono sapere dell'ampiezza e della portata di questa vicenda. Si è però preferito non farlo», continua Biasca, «la sensazione è davvero che la verità non sia così importante, anzi che sia subordinata a tutto il resto».
«È come se le vittime siano sacrificabili»
Ultimo tassello dell'amaro puzzle riguarda le nuove misure di «vigilanza speciale» comunicate dal Cantone e che sarebbero state messe in atto. Di queste, i soci, non saprebbero ancora nulla: «Non ci sono state comunicate e non abbiamo idea di quali siano», spiega Biasca, «speriamo di venire informati quanto prima, ma non abbiamo idea se succederà o meno...»
Conclude Ghirlanda: «Alla fine il messaggio che passa è che le vittime (e la verità) sono sacrificabili, quello che preoccupa è l'immagine, del rapporto con le autorità che non va guastato... ed è una cosa che vale non solo all'interno del cantone ma anche a livello svizzero».