L'Unione europea conferma il sostegno umanitario alla popolazione birmana e lancia un nuovo appello alla giunta militare
YANGON / BRUXELLES - Bruxelles ci riprova e, quando mancano ormai solo un paio di settimane all'inizio del summit dell'Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (il 26 ottobre), lancia un nuovo appello per una «soluzione pacifica» alla crisi che dall'inizio dello scorso febbraio, dopo il golpe militare, sta consumando il Myanmar.
L'Unione europea, si legge in una nota odierna, «è profondamente preoccupata per l'escalation del conflitto armato e il consistente spiegamento di forze militari nelle aree rurali» del Paese asiatico, che stanno provocando vittime tra la popolazione civile e migliaia di sfollati, e conferma che continuerà a provvedere a fornire tutta l'assistenza umanitaria necessaria «in ossequio a principi di umanità, neutralità e indipendenza».
Inoltre, Bruxelles ha ribadito alla giunta militare che ha preso il controllo del Paese il 1° febbraio scorso la richiesta di liberare «con effetto immediato e senza alcuna condizione», il presidente deposto Win Myint e la Consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, entrambi agli arresti dal momento del colpo di stato.
La situazione della leader birmana, che avevamo a suo tempo affrontato con due esperti, sembra essere in un vicolo cieco. Richard Horsey, esperto analista politico dell’International Crisis Group, ci aveva in tal senso spiegato come il regime non avesse di fatto «dato il via a un autentico processo legale» nei confronti di San Suu Kyi ma che cercasse piuttosto «di assicurarsi una giustificazione legale per tenerla sotto chiave». E considerata questa cornice, il suo parere fu categorico: «Non esiste alcuna possibilità che possa essere assolta».