Nascita, sfide e opportunità delle valute digitali:
il parere di Edoardo Beretta, professore titolare di macroeconomia internazionale all’USI
«Non dobbiamo stupirci rispetto a ciò che avviene oggi: la tendenza verso la dematerializzazione della moneta, cioè la perdita dei suoi connotati fisici, è in atto da sempre, per ragioni di utilità. Pensiamo alle migrazioni storiche: era importante che chi si spostava avesse con sé i propri risparmi, ma senza che diventassero – letteralmente – un peso. Ciò ha portato con sé anche un’evidente riduzione dei costi di emissione: una variabile molto importante, se si considera che “battere” moneta digitale, oggi, costa molto meno che emettere cartamoneta e conio. La digitalizzazione, inoltre, la rende sempre più accessibile, a tutte le ore del giorno, e permette transazioni immediate, anche a livello transfrontaliero».
Inizia così un’interessante conversazione sull’evoluzione della moneta con Edoardo Beretta, professore titolare di Macroeconomia internazionale all’Università della Svizzera italiana e Professore aggregato alla Franklin University Switzerland. Un contesto, quello di questa intervista, ampio e articolato, e che si è poi esteso a un’analisi sugli equilibri economico-finanziari internazionali, passando per il Plan ₿ di Lugano.
«Tra le primissime forme di moneta digitale accessibile al grande pubblico – ha proseguito il professore -, ci sono, ad esempio, la carta di credito e la carta di debito. Quindi, volendo inquadrare la questione in modo più ampio, da tempo si è innescato un processo evolutivo dell'umanità verso la digitalizzazione».
Ma allora chi percepisce una maggiore sicurezza nell'avere a disposizione dei contanti rispetto alle valute digitali, ha delle buone ragioni?
«Dipende. Ci sono degli aspetti ragionevoli, chiaramente, ma misti a forme di preoccupazione eccessiva. Gli aspetti oggettivamente plausibili sono dati da un’evidenza: la cartamoneta viene sempre meno utilizzata come mezzo di pagamento, ma acquisisce notevolmente peso, come riserva di valore, in tempi d'incertezza. Pensiamo nel contempo al periodo di massima incertezza degli ultimi decenni, il lockdown: la moneta digitale ha permesso di effettuare transazioni con regolarità e frequenze altissime, senza dipendere dallo spostamento fisico. Quindi, proprio nel corso della pandemia, abbiamo registrato un aumento della percezione di sicurezza e di affidabilità attribuita alla moneta digitale. Se ci riferiamo, invece, alle criptovalute, trattandosi di un fenomeno recente, le incognite sono collegate ad alcuni scandali speculativi occorsi, e che finiscono per portare acqua al mulino di coloro che le percepiscono generalmente come meno sicure rispetto alla moneta tradizionale.
Tuttavia, l'equilibrio auspicabile dovrebbe essere frutto di un compromesso tra entrambe: è ancora fondamentale che la cartamoneta sia ancora percepita come riserva di valore e di percezione di controllo delle proprie spese, e non sia limitata nel suo utilizzo, come accade in alcuni Paesi vicini alla Svizzera; dall'altro, però, è importante non temere la digitalizzazione: è necessario, piuttosto, promuoverne l'utilizzo nella quotidianità».
Quando parla di capacità di controllo delle proprie spese, che cosa intende? Da cosa dipendono le differenze percepite?
«L'essere umano percepisce il valore in modo ancora, diciamo così, ancestrale. La percezione di valore è legata alla tangibilità: dobbiamo toccare ciò a cui attribuiamo un valore, dobbiamo possederlo. Se manca questo aspetto, tendiamo a essere più timorosi e prudenti. La digitalizzazione scompagina un po' questa percezione, e fatica quindi a imporsi velocemente, se non si creano le giuste condizioni affinché ciò succeda».
A tal proposito, come si stanno muovendo gli Stati e gli enti regolatori per fugare queste perplessità e sfruttarne le opportunità?
«Per diversi anni, gli Stati sono stati poco reattivi sul tema delle criptovalute, sia da un punto di vista del loro utilizzo sia dal punto di vista della regolamentazione. Adesso, però, le cose iniziano a muoversi. E la Svizzera, con la ‘Crypto Valley’ e il suo territorio bancario e finanziario, con SIX, FINMA e BNS, è tra le nazioni che più si stanno interessando, in concreto, all'argomento. Il Plan ₿ di Lugano, in tal senso, rappresenta un tentativo netto di sensibilizzazione sull'argomento, un esperimento che, giocoforza, porta un tema come quello delle criptovalute più sotto un’egida istituzionale e di progressiva regolamentazione. Sullo scenario internazionale, altri paesi si stanno muovendo nella stessa direzione, anche se con velocità diverse: alcune banche centrali, come la BCE, stanno riflettendo o hanno introdotto prime forme di monete digitali di banca centrale (le cosiddette CBDC) a complemento della cartamoneta. La BNS, invece, è più conservatrice sul punto, perché un accesso diretto dei cittadini alla banca centrale potrebbe creare evidenti criticità, come quelle occorse di recente alle banche corporate».
E questo sta incentivando una percezione diversa delle valute digitali, sia da parte delle banche che dei consumatori finali?
«Fino a qualche anno fa, le persone più in là con gli anni tendevano a un utilizzo significativamente maggiore del contante, ma adesso questa tendenza si sta riducendo, per non parlare delle nuove generazioni, che pagano utilizzando semplicemente delle app sui loro cellulari. Guardando agli anni a venire, molti individui sono già abituati a una forma di digitalizzazione ancora più evoluta rispetto alle carte di credito o di debito, che comunque mantengono ancora una loro fisicità. Quello che posso aggiungere, ma questa è un’opinione personale, è che in questo momento l'aspetto della sicurezza dei pagamenti digitali è stato evidentemente potenziato. Basti pensare a tutti quei codici che dobbiamo immettere per fare le nostre operazioni. Attenzione, però: stiamo così riducendo la praticità e l'immediatezza nella gestione dei nostri risparmi e per fare dei pagamenti. La sfida percettiva del futuro sarà quindi, quella di conciliare la garanzia di sicurezza con la praticità».
Se volessimo analizzare la storia e le caratteristiche di Bitcoin, a paragone con il resto delle valute tradizionali e di quelle digitali, secondo lei ci sono le condizioni perché effettivamente essa possa in grado di sopravvivere al tempo?
«Nel mondo delle criptovalute c’è stato e ci sarà ancora, necessariamente, un “effetto selezione”. Evidentemente, ciò condurrà a uno scenario di questo tipo: alcune criptovalute si ritaglieranno un ruolo “istituzionale” e, quindi, verranno messe sotto un cappello più formale. Altre, invece, si caratterizzeranno probabilmente per un prezzo molto basso o volumi di scambi altrettanto esigui, fino ad auto-estinguersi.
In questa cornice potenziale, alcune, fra cui Bitcoin, sono chiaramente già più consolidate rispetto ad altre. Bitcoin, poi, nello specifico ha una "iconografia" maggiore rispetto alle altre criptovalute: questo non è esattamente un dettaglio, tutt’altro, perché la moneta e la politica monetaria in generale si basano proprio su aspetti percettivi e psicologici.
Quando parlo di “iconografia”, mi riferisco al fatto che Bitcoin ha, alle proprie spalle, una narrazione, un racconto, una tessitura diversa rispetto ad altre criptovalute. Quindi, senz'altro, ritengo che sarà tra questi strumenti digitali in grado d'imporsi. Una prospettiva analoga, poi, possiamo intravederla per le stablecoin (il cui valore è ancorato a valute tradizionali o beni fisici, ndr), che hanno una copertura con la moneta a corso legale. Il principio che fa da sfondo è molto simile al regime di cambio “ancoraggio forte” e, con riferimento a Bitcoin, la stablecoin è percepita come più sicura seppur forse più ”tradizionale” da un punto di vista del funzionamento».
Rispetto all’adozione delle valute digitali, sistemi bancari solidi possono, secondo lei, influenzare anche contesti in cui emerge tanta volatilità e poca facilità di accesso al credito?
«Probabilmente sì. Ma, chiaramente, è importante che i Paesi industrializzati creino delle best practices e un framework sull'utilizzo delle criptovalute e sulla finanza decentralizzata. Questo è un altro grande tema: bisogna cercare di ridurre al massimo i rischi, affinché, poi, anche i Paesi emergenti, che stanno iniziando ad approcciarsi ad esempio alle stablecoin, oltre che a Bitcoin, possano avere una cornice di riferimento da cui trarre vantaggio e stabilità. Per dire, l'innalzamento dei tassi d'interesse a cui stiamo assistendo sta creando un'urgenza forse ancora maggiore di affrontare certe questioni. Non necessariamente per risolverle, ma quantomeno per dare visibilità ai temi di cui si sta discutendo da troppo tempo, purtroppo senza ottenere risultati significativi. Ecco perché trovo che un progetto come il Plan ₿ di Lugano sia importante per individuare un ponte stabile fra il sistema bancario tradizionale, da un lato, e queste nuove forme di pagamento e la società dall'altro. L'esito di questo percorso ambizioso, chiaramente, non è ancora noto e non siamo dei veggenti, ma la discussione su questi temi è importante per il futuro dell'accesso al credito e, in senso lato, dei sistemi finanziari globali».
Edoardo Beretta è Professore titolare di Macroeconomia internazionale all’Università della Svizzera italiana e Professore aggregato alla Franklin University Switzerland.