Asia Ponti, candidata Plr al Gran Consiglio
È di poche settimane fa la triste notizia della studentessa trovata morta, per suicidio, nei bagni di un ateneo milanese dopo aver fallito un esame. Questa notizia, l'ultima di una terribile scia di morti, tocca anche noi, e non solo per la vicinanza geografica, ma anche per il tipo di situazione, purtroppo affine a troppi studenti ticinesi, come ampiamente dimostrato da comprovate ricerche.
Nel nostro Cantone, ma si potrebbe facilmente estendere il discorso al resto della Svizzera, vi sono ancora troppi giovani che subiscono, spesso in silenzio, la pressione legata al loro percorso scolastico. Penso che una buona parte dei giovani abbia sofferto o stia soffrendo di una forma di malessere causato dagli studi, si sia sentito schiacciato dal peso dello stress, delle aspettative. Le cause di questo malessere sono innumerevoli.
Innanzitutto, dopo le scuole dell'obbligo, vi sono ancora troppe persone che scelgono di continuare gli studi fino ad iscriversi a un'università. Tale scelta non è però necessariamente dettata da una passione per lo studio - infatti spesso gli interessi di questi ragazzi sarebbero meglio soddisfatti tramite una formazione professionale - bensì da una pressione esterna. Nella nostra società è ancora saldamente radicata l'idea che una laurea valga più di una maturità professionale. Si tratta ovviamente di una vestigia del passato, quando ottenere una laurea era molto più difficile e allo stesso tempo un apprendistato spesso significava abbandonare per sempre la possibilità di ottenere un diploma universitario. Questo non corrisponde però più alla realtà. Oggigiorno, un apprendistato, accompagnato da una maturità professionale, apre infinite possibilità: con una maturità professionale, qualora fosse nelle intenzioni dell'apprendista, è possibile accedere a diverse formazioni di livello universitario. Una scelta del genere costituirebbe anche una decisione più ponderata e basata su maggiori informazioni ed esperienze rispetto a quella di un ragazzo di 14 o 19 anni, poiché sarebbe fatta sulla base di una consapevolezza che l’indirizzo scelto rappresenta una passione.
Un altro aspetto da non sottovalutare è la pressione che molti genitori mettono ai propri figli riguardo la scelta di una formazione post-obbligatoria. Si tratta di un atteggiamento che è anche espressione di una società che è diventata troppo competitiva e basata sulle apparenze, dove i traguardi dei figli sono trofei da esibire. Purtroppo, questo può causare dei danni nei ragazzi, che si sentono intrappolati e sotto pressione per raggiungere dei risultati immediati in tutti i campi (nello studio, nello sport, nel futuro lavoro, …). Anche il mondo universitario si basa sempre di più su risultati immediati e spesso molto nozionistici, invece di privilegiare un lavoro sulle competenze che potrebbero essere utili nel mondo del lavoro. Dal canto suo, le realtà lavorative sono spesso altrettanto competitive e basate su prestazioni misurate soprattutto in termini quantitativi e di profitto economico. Tutto ciò causa ulteriore
stress nei giovani, e nei lavoratori in generale, che si sentono costretti a ottenere il massimo dei risultati – che spesso va oltre le loro reali possibilità e si traduce anche in orari di lavoro oltre il lecito – per poter ottenere o mantenere un impiego per il quale si sono formati.
Infine, si evidenzia un’altra preoccupante tendenza: le possibilità di apprendistato continuano a diminuire. Negli ultimi anni sono andati persi migliaia di posti d'apprendistato. Questi posti sono essenziali per poter dare la possibilità ai giovani che vorrebbero intraprendere questo percorso di poterlo effettivamente percorrere.
Questa combinazione di fattori causa un profondo malessere nella mia generazione, un malessere che spesso non viene espresso, magari perché proprio i genitori, e la società in generale, sono una delle sue cause.
Dovremmo perciò adoperarci nel sostenere questi giovani tramite diverse misure, tra le quali: rendere l’orientamento scolastico più efficace, in modo che possa sostenere e aiutare i ragazzi a compiere una scelta maggiormente consapevole; sensibilizzare e incentivare il mercato del lavoro a creare posti di apprendistato; offrire maggiori possibilità di un sostegno psicologico più accessibile ai ragazzi.
Sono proposte che comportano ovviamente investimenti importanti, che ritengo però essenziali per invertire una tendenza che si fa sempre più preoccupante, ma che è ancora troppo stigmatizzata, e che affligge noi giovani, il futuro del nostro Ticino e della nostra Svizzera.