Maniere brusche in classe. Via al processo d'appello per il 66enne di Montagnola. «Mai commesso certe azioni», dice.
LOCARNO - «In 37 anni di attività di docente di scuola elementare, ho sempre privilegiato i rapporti coi bambini rispetto ai contenuti. Ho sempre cercato un rapporto coi genitori anche al di fuori delle competenze dovute». L'ex maestro di Montagnola (Collina d'oro), denunciato nell'autunno del 2014 per una serie di maltrattamenti verso i suoi allievi, si presenta così alla Corte di appello e revisione penale di Locarno, presieduta dal giudice Angelo Olgiati. Il 66enne, difeso dagli avvocati Luisa Polli e Yasar Ravi, non accetta la pena inflittagli nell’autunno 2019 dalla Pretura penale di Bellinzona e che ammonta a 60 aliquote da 190 franchi (sospese) e a una multa di 2’000 franchi.
Difesa a spada tratta – La vicenda, che all'epoca suscitò un certo clamore mediatico, si riapre dunque per l'ennesima volta. Il 66enne, che nel Comune in cui lavorava è stato anche sindaco, difende a spada tratta il suo operato. «Nel corso degli anni, ho sempre cercato di tenermi abbastanza aggiornato. Devo dire inoltre che, negli ultimi 15 anni prima del 2014, mio figlio mi è stato parecchio vicino e mi ha aiutato dal profilo didattico e comportamentale».
La riga e i dolcetti – A settembre del 2014 il 66enne si trova a dovere seguire una terza elementare. È quella la classe in cui scoppierà la polemica. Il maestro avrebbe usato una riga per punire alcuni allievi ritenuti indisciplinati. «Sono disposto a collaborare – dice l'imputato –. Ma sono passati otto anni... Può essere che alcune cose non le ricordi esattamente. La riga non era quella ufficiale. Era un righello che stava dietro la cattedra con diversi dolcetti. Il ricorso alla riga era emerso in maniera ludica. Quando si trovavano attorno alla mia cattedra, col righello allontanavo le mani dei bambini allo scopo di richiamare la loro attenzione su quello che stavo insegnando. Per me colpire è un'azione che comporta qualcosa di violento. Io non mi riconosco in questo».
Il bambino giù dalla sedia – Un episodio tratto dagli atti riferisce di un bambino caduto dalla sedia in seguito a un gesto del docente. L'ex maestro non molla di un centimetro. «In quell'occasione ho pensato impropriamente di spingere la sedia col piede per farlo sedere bene. La sedia si è girata. E il bambino ha perso l'appoggio ed è scivolato a terra. Sinceramente non mi ricordo la reazione del bambino in questione. Mi sono sincerato che andasse tutto bene». Non sarebbe stato più semplice chiedere all'allievo di sedersi meglio? «I richiami a sedersi meglio erano frequenti. Non solo nei confronti di quel bambino. Bensì in generale. Io ho agito forse in automatico. Il mio intento era quello di aiutare il bambino. Non ho pensato ad altro».
«Influenzato dalla ginnastica correttiva» – Il 66enne prosegue. «Questo episodio richiama quello delle "bambine infiocchettate". Vorrei sottolineare che io vengo da una scuola di formazione attempata. Nel corso di quella formazione veniva data seria importanza alla ginnastica correttiva. Io ho sofferto di lordosi a causa di come stavo seduto. Per me questo aspetto è sempre stato importante».
Bambine avvolte dai fili di lana – Le "bambine infiocchettate". Già. Un'altra stranezza avvenuta in quella classe. Legate, come affermato dall'accusa, o "infiocchettate"? «Quel giorno ciascun bambino aveva sul banco fili di lana o spaghi. Servivano per una lezione di matematica. Notando alcune bambine che non erano sedute bene, ho inizialmente passato alcuni di questi fili attorno alle ginocchia di una bambina. Ho poi fatto un fiocco. Non un nodo. Siccome mi sembrava discriminante farlo solo a quella bambina, l'ho fatto anche ad altre due. La scena non ha comportato alcuna situazione di terrore. Al punto che vi erano altri bambini che mi chiedevano "lo fai anche a me, maestro?" Ho percepito che magari questo gesto potesse avere creato qualche pensiero. Ecco perché per scrupolo di coscienza ho chiamato poi le mamme di quelle bambine».
Quella telefonata alle famiglie – Isabel Schweri, avvocato delle famiglie coinvolte, pone una domanda essenziale. «Se tutto si è svolto in maniera ludica, come lei sostiene, allora perché si è preoccupato di chiamare le famiglie? Perché le famiglie avrebbero dovuto pensare qualcosa di negativo?» Il 66enne replica: «Non lo so. Mi si è accesa una lampadina. Per evitare malintesi, ho voluto prevenire una cosa che poi in realtà si è verificata, ampliata. Ed è stata pure distorta». E aggiunge: «Un precedente procedimento amministrativo, che mi aveva coinvolto qualche anno prima, forse inconsciamente mi aveva reso più attento».
Il rapporto coi genitori – Si analizza un altro episodio che appare sul decreto d'accusa. Un bambino sarebbe stato punto con la matita sulla testa. O avrebbe ricevuto un pizzicotto. «Mai commesso queste azioni. Nelle prime settimane e nei primi mesi dell'anno scolastico ho avuto incontri individuali e di gruppo coi genitori. Ho espresso i miei principi pedagogici e di gestione. Ho dato loro anche la mia disponibilità telefonica. Ci fosse stato qualcosa che non andava, avrebbero potuto chiamarmi».
Il disegno denigrato davanti a tutti – Il docente avrebbe mostrato un disegno di un bimbo in classe. Definendolo una schifezza. L'imputato, in questo caso, non nega. «È vero che l'ho fatto. Mi assumo le responsabilità di quello che ho detto. Non mi sono scusato davanti a tutta la classe. L'ho fatto solo in privato col bambino».