Un nuovo rapporto di Public Eye si china sulla questione moda e e-commerce. Al centro: Zalando, Amazon, Asos e Shein
BERNA - Dentro le fabbriche e i magazzini dei negozi di vestiti online, dove «lo sfruttamento non è un'opzione, ma una regola». E dove 1,5 milioni di resi finiscono sistematicamente nella pattumiera, non importa se siano in buono stato o meno.
Public Eye si è chinata sui dieci giganti dell'e-commerce di moda per eccellenza, esaminando se, visto l'enorme potere che hanno sul mercato, siano proporzionalmente responsabili nella gestione dei pacchi rimandati indietro e nel garantire il salario vitale minimo a tutti i livelli della catena di approvvigionamento. Dall'indagine è emersa una petizione.
L'analisi dell'Ong svizzera che si impegna affinché il commercio diventi sempre più equo e sostenibile ha messo sotto la lente About You, Alibaba, Amazon, Asos, Bonprix, Galaxus, La Redoute, Shein, Wish e Zalando. Tutti e-commerce ampiamente utilizzati e preferiti dalla popolazione confederata. A colpo d'occhio sono emersi sei diversi aspetti sconcertanti, il più importante è la mancanza quasi totale di trasparenza riguardo a fornitori, stipendi, condizioni lavorative e resi.
Andando nel dettaglio, Public Eye vuole mettere la pulce al cittadino, sollecitarlo a chiedersi: perché è così semplice, rapido ed economico acquistare da queste piattaforme? Quindi si sofferma sul fatto che per una maglietta venduta a 15 franchi, «è già tanto se chi l'ha cucita ha ricevuto 50 centesimi».
E per evidenziare meglio il problema dello stipendio della manodopera fornisce un esempio riguardante la Cambogia, uno dei Paesi in cui è meno caro produrre, dove il salario minimo vitale è pari a 540 franchi svizzeri, «ma in media, chi lavora nel tessile, ne percepisce 180».
Come si comportano quindi gli e-commerce? Secondo l'Ong nessuna delle dieci aziende si impegna a garantire il salario minimo vitale; ha una strategia affinché lo stipendio venga garantito; è trasparente nei dati a riguardo; ha tra le sue priorità la paga della manodopera. Un discorso che si estende anche a chi si occupa della logistica.
Tuttavia Asos, Zalando e Bonprix assicurano che tra il 2023 e il 2025 ci saranno dei cambiamenti in tal senso, senza fornire ulteriori informazioni. Dalle altre sette: silenzio. «Forse considerano, con cognizione di causa, che la violazione dei diritti umani sia accettabile».
Nell'economia dell'e-commerce si inseriscono anche gli articoli comprati, ma rispediti al mittente. Una ricerca del 2019 a opera di un gruppo di ricerca sulla gestione dei resi dell'università di Bamberga, rivela che sono necessari in media 11 euro affinché un articolo possa essere riportato in magazzino e trattato per essere rimesso sul mercato. Se i guadagni vogliono restare alti, considerando che in media il 50% degli articoli tornano indietro, è una spesa tutt'altro che conveniente.
«Il 79% della merce viene rivenduta come nuova, il 13% come difettosa attraverso altri canali. Il 4% viene distrutto - l'80% di questo riguarda capi che costano meno di 15 euro. Sulla totalità degli acquisti effettuati in Svizzera, la distruzione non giustificabile riguarda almeno 1,5 milioni di articoli».