Il volume degli scambi ammonta a 1,9 miliardi di franchi, due terzi dei quali esportazioni dalla Confederazione verso lo stato ebraico
LUCERNA - La Svizzera è il quarto paese al mondo da cui Israele importa più beni e servizi: davanti alla nazione di Guglielmo Tell figurano solo Cina, Stati Uniti e Germania.
Il volume totale degli scambi ammonta a 1,9 miliardi di franchi, due terzi dei quali sono esportazioni dalla Confederazione verso lo stato ebraico, mostrano i dati della Segreteria di Stato per l'economia (Seco) di cui riferisce oggi la Luzerner Zeitung (LZ).
La parte del leone dell'export elvetico è generata dal settore chimico-farmaceutico, 780 milioni nel 2022. Tra le circa 30 aziende svizzere che hanno una filiale in Israele figurano i giganti farmaceutici renani Novartis, Roche e Lonza, oltre al gruppo agrochimico Syngenta.
Roche è presente in Israele con una propria società nazionale. Ha una divisione farmaceutica dal 1998, a cui è stato aggiunto un comparto diagnostico nel 2022. L'impresa impiega 175 persone. Stando all'azienda farmaceutica, interpellata dal quotidiano, i team regionali stanno «lavorando instancabilmente» per garantire la fornitura di farmaci e strumenti diagnostici ai pazienti in Israele. Al momento tutti i dipendenti sono al sicuro.
Anche Novartis ha una succursale nel paese, dal 2009. Israele viene considerato interessante soprattutto per il suo sistema sanitario avanzato, che «promuove l'introduzione di nuove tecnologie e sostiene l'innovazione». Negli uffici di Tel Aviv lavorano per Novartis circa 200 dipendenti, tra cui addetti al marketing, al coordinamento degli studi clinici, alla sicurezza, al controllo qualità e all'informatica. Al momento, la sicurezza dei dipendenti è la «priorità assoluta», ha indicato la ditta alla testata lucernese. Novartis è in contatto regolare con loro e continuerà a sostenerli.
Il Gruppo Lonza, che gestisce un sito di ricerca e sviluppo ad Haifa, si esprime in modo analogo. Segue gli sviluppi con preoccupazione e rimane in stretto contatto con il personale, la cui sicurezza ha la massima priorità.
Syngenta, controllata dalla Cina ma con sede a Basilea, fa sapere di essere «profondamente scioccata dall'attacco senza precedenti» contro Israele. Syngenta ha «sempre avuto forti legami con Israele», ha indicato alla LZ: in particolare attraverso l'unità Adama e la filiale Zeraim Gedera. Gli impianti di produzione nel sud del paese stanno attualmente operando «con alcune restrizioni».
Nessuna delle aziende interpellate avanza previsioni su come il conflitto in corso influenzerà le loro attività e la loro presenza in Israele. Anche la Seco ha dichiarato che al momento non è possibile stimare gli effetti della guerra sui rapporti commerciali.
Negli ultimi mesi sono emerse indicazioni che fanno ritenere come l'economia israeliana fosse già sotto pressione prima dello scoppio del conflitto. Fino a poco tempo fa dominavano le notizie sulla fiorente industria high-tech e anche diverse società elvetiche volevano essere presenti sul posto, considerato la nuova "Silicon Valley". Il settore è infatti di estrema importanza per l'economia israeliana: rappresenta più della metà di tutte le esportazioni, un quinto della produzione economica e un settimo dei posti di lavoro. Questo - ricordano i giornalisti lucernesi - ha molto a che fare con la situazione della sicurezza in Israele: dalla fondazione nel 1948 la nazione è stata ripetutamente coinvolta in guerre e conflitti, circondata come è su tutti i lati da stati arabi. Per questo motivo, l'esercito ha investito molto nel settore tecnologico, soprattutto a partire dalla metà degli anni Novanta.
Ne è seguito un vero e proprio boom di start-up. Molti degli imprenditori di successo facevano parte dell'esercito: dopo il servizio attivo hanno portato le loro conoscenze nella propria azienda. Questo era ed è persino esplicitamente incoraggiato dallo stato: vi sono agevolazioni fiscali per le giovani imprese e fondi statali che devono essere restituiti solo in caso di successo delle società. Ma il boom sembra ora volgere al termine: l'anno in corso mostra un netto calo degli investimenti. Un rapporto pubblicato di recente indica inoltre che più di un terzo di tutti i fondi è andato a sole quattro aziende: una concentrazione che viene vista come preoccupante, perché le piccole imprese innovative sono a corto di finanziatori.
Stando alla LZ - che riporta un'analisi del Jerusalem Post - le ragioni principali di questa flessione sono due. Da un lato la crisi globale del settore high-tech sta colpendo Israele più duramente di altri paesi; in secondo luogo c'è la riforma del sistema giudiziario pianificata dal primo ministro Benjamin Netanyahu, che indebolisce la separazione dei poteri, rendendo il contesto imprenditoriale più imprevedibile, cosa che agisce da deterrente per gli investitori.