Ieri la Regione ha sfondato il tetto massimo dei ricoveri da coronavirus nei reparti ordinari e nelle terapie intensive.
L'isola rischia di finire in zona gialla già dalla prossima settimana. E la Regione corre ai ripari.
PALERMO - La Sicilia cammina in equilibrio sul filo della zona gialla. Un rischio concreto che potrebbe tradursi in realtà a partire da lunedì prossimo dato che la Regione ha oltrepassato ieri il tetto massimo dei ricoveri per Covid nei reparti ordinari e nelle terapie intensive. Un rischio che a Palazzo d'Orleans, la sede della presidenza siciliana, sembrano voler scongiurare ricorrendo a qualsiasi strumento.
L'escamotage principale è quello di aumentare il numero di posti letto disponibili in reparto e nelle terapie intensive. Ma non solo. Nelle ultime ore - come anticipato dal sito LiveSicilia e riportato da altre testate online della vicina Penisola - è infatti spuntata una nuova circolare "anti zona gialla" che consente di liberare i posti letto occupati dai malati positivi al coronavirus, mandandoli a casa.
La delibera - data 13 agosto e firmata dal direttore del dipartimento regionale per la pianificazione strategia dell'assessorato alla Salute, Mario La Rocca - indica che un malato positivo al Covid potrà essere dimesso con una saturazione maggiore o uguale al 92% (o al 90% nel caso di malati cronici), se sono presenti altri requisiti. Tra questi l'assenza di febbre per 48 ore, la stabilità dal punto di vista emodinamico e l'autosufficienza nella gestione delle attività quotidiane.
Il quadro epidemiologico attuale «mostra un rapido incremento dei casi di infezione» scrive La Rocca, che rimarca la «necessità di garantire la massima appropriatezza nella scelta del setting assistenziale, assicurare un corretto turnover dei soggetti ricoverati per non sovraccaricare le strutture di degenza e garantendo al contempo la massima sicurezza per i pazienti». La delibera prevede inoltre che le Unità speciali di continuità assistenziale (USCA) garantiscano ai pazienti positivi dimessi l'assistenza al proprio domicilio e una «stretta collaborazione» con i medici di assistenza primaria.