Gisèle Pelicot è ritornata a parlare in aula «affinché si cambi questa società»
AVIGNONE - Gisèle Pelicot è tornata a prendere la parola nel corso del processo in corso presso il tribunale penale dipartimentale della Vaucluse. Il caso è quello degli stupri che ha sconvolto la Francia e ha suscitato indignazione e commozione in tutto il mondo.
La 70enne aveva già parlato in aula otto settimane fa e oggi - dopo che le deposizioni dell'ex marito e di una trentina di coimputati - si è rivolta per la prima volta all'uomo con il quale ha trascorso tutta la vita. «Vorrei rivolgermi al signor Pelicot, non posso guardarlo, perché la carica emotiva è ancora lì, oggi lo chiamerò Dominique». La signora Gisèle ha ripercorso i ricordi di una vita che è stata completamente stravolta. «Abbiamo avuto 50 anni di vita insieme, tre figli, sette nipoti. Sei stato un padre premuroso, pronto ad ascoltare. Un uomo attento e affidabile. Abbiamo condiviso le nostre risate e i nostri dolori. Abbiamo condiviso i nostri momenti difficili, le nostre vacanze, i nostri compleanni, i nostri Natali».
Oggi, dopo che l'orrore degli stupri di cui è stata inconsapevole vittima tra il 2011 e il 2020 è venuto alla luce, sono delle domande a ossessionare Gisèle. «Per 4 anni mi sono preparata per questa prova e ancora non riesco a capire perché. Come è cambiata la mia vita? Come ci sono arrivata? Come hai potuto tradirmi a tal punto? Portare questi sconosciuti nella nostra camera da letto? Per me questo tradimento è incommensurabile».
C'è un misto di dolore e amarezza, nelle parole della 70enne, che al suo arrivo è stata accolta dagli applausi. «Pensavo che avrei finito i miei giorni con questo signore. Oggi la mia vita si è frantumata nel nulla». Non c'è «né rabbia né odio» nelle sue parole, ha tenuto a sottolineare. C'è invece «la volontà e la determinazione affinché si cambi questa società. Volevo che tutte le donne vittime di stupro potessero dire a se stesse “L’ha fatto la signora Pelicot, possiamo farlo”. Quando veniamo stuprate ci vergogniamo, ma non spetta a noi vergognarci, spetta a loro averla», la vergogna per il gesto commesso.