Colin Porlezza, direttore dell'Istituto di Media e Giornalismo dell'USI: «I pesci d’aprile rischiano di alimentare ulteriore confusione».
LUGANO - Qualcuna è palesemente poco credibile. Altre invece sono ben confezionate, tanto che diversi lettori – parecchi in realtà – finiscono per crederci. Le notizie farlocche del pesce di aprile pubblicate ieri sui molti media svizzeri, non sono passate inosservate.
Alcune hanno centrato l’obiettivo, far sorridere, altre invece erano talmente interessanti da aver spinto più di un utente a scriverci per chiedere se era tutto vero. Come quella pubblicata dal Tages Anzeiger secondo il quale il mattatoio nel centro di Zurigo dopo la sua chiusura nell'estate del 2026 diventerà una macelleria “didattica”.
Tutti gli scolari della città potranno vedere come un animale viene trasformato in carne ed essere quindi sensibilizzati sul consumo della carne. Sembra un’iniziativa nobile. Perfino credibile. Invece è un pesce d’aprile. Il confine tra scherzo e verità è molto labile.
Non si rischia di fare confusione e non capire più a cosa credere e a cosa no? La domanda l’abbiamo rivolta a un esperto del settore, Colin Porlezza professore associato di giornalismo digitale e direttore dell'Istituto di Media e Giornalismo (IMeG) dell'Università della Svizzera italiana (USI).
«Nel contesto attuale, segnato dalla disinformazione e da una crescente crisi di fiducia nei confronti del giornalismo tradizionale, il confine tra realtà e finzione si è fatto sempre più sottile. Un ulteriore aspetto critico riguarda il modo in cui oggi entriamo in contatto con le notizie. La maggior parte degli utenti accede all’informazione attraverso le piattaforme social, dove il legame con le fonti originarie è spesso debole o inesistente. Questo rende difficile non solo comprendere la provenienza di una notizia, ma anche valutarne l’affidabilità. Inoltre, ricerche recenti hanno evidenziato che molti utenti tendono a condividere articoli senza leggerli in modo approfondito, basandosi unicamente sul titolo o sull’immagine».
La grande espansione dei social media ha cambiato tantissimo il rapporto tra stampa e pubblico. Da una parte è aumentato lo scetticismo dei lettori verso le news, ma dall’altra è cresciuto il valore della responsabilità giornalistica delle redazioni e la paura di perderla. Le fake news, diciamocelo, sono un’ossessione in tutte le redazioni. Ma davvero tutti i lettori hanno gli strumenti necessari per riconoscere una notizia vera da uno scherzo da primo aprile o da una fake news?
«In questo ecosistema informativo frammentato - Spiega Porlezza - entrano in gioco altri due fattori: da un lato, una limitata media literacy, ossia la scarsa capacità critica di leggere, analizzare e interpretare i contenuti mediali; dall’altro, il sovraccarico informativo, che porta a un consumo disattento delle notizie. Tutti questi elementi contribuiscono a rendere l’ambiente mediale contemporaneo sempre più complesso da navigare».
Negli ultimi anni inoltre si è aggiunta anche l’intelligenza artificiale a minare la credibilità del giornalismo...
«Sebbene l’uso dell’IA nelle redazioni offra potenzialità in termini di efficienza e automazione, è percepito con diffidenza da una parte significativa del pubblico. Un recente studio condotto in Svizzera ha mostrato come il pubblico guardi con sospetto all’impiego dell’AI nella produzione di notizie. Questo atteggiamento critico non solo intacca la disponibilità a pagare per le notizie, ma è amplificato dalla difficoltà, sempre più marcata, nel distinguere contenuti giornalistici da produzioni sintetiche generate attraverso la IA generativa. L’introduzione dell’AI nel processo informativo rischia così di erodere ulteriormente l’autorevolezza del giornalismo. In questo scenario complesso, i pesci d’aprile rischiano di alimentare ulteriore confusione».