La professoressa di relazioni internazionali Monica Spatti commenta le politiche "unilateraliste" del tycoon
WASHINGTON - Lunedì il capo del Dipartimento degli affari esteri (Dfae) Ignazio Cassis è intervenuto di fronte al Consiglio dei diritti umani a Ginevra per commentare le recenti politiche di Donald Trump in merito alle Nazioni Unite e al multilateralismo. La sfiducia del presidente Usa nei confronti di queste istituzioni ha costretto la Svizzera «a riflettere sulla crisi che il sistema sta attraversando», ha dichiarato il consigliere federale, sottolineando la necessità di «tornare all'essenziale quando si tratta del mandato delle Nazioni Unite e delle sue agenzie». Un notevole cambio di tono che ha fatto sorgere una domanda in particolare: il cosiddetto effetto Trump è in grado di bloccare la macchina del multilateralismo? Lo abbiamo chiesto a Monica Spatti, docente di Diritto internazionale all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Gli Stati Uniti sono spesso stati ostili nei confronti degli organi sovranazionali. Ma con l’elezione di Donald Trump, la sfiducia e il progressivo abbandono degli impegni internazionali sembra aver assunto una nuova dimensione. L'atteggiamento del tycoon può essere inteso come un ritorno alla realpolitik?
«L’attuale assetto istituzionale della Comunità internazionale è il risultato delle scelte compiute alla fine della Seconda guerra mondiale. E gli Stati Uniti erano tra i principali artefici di questo assetto. Da una parte si sono impegnati negli organi concepiti per il dialogo e la cooperazione, ma dall'altra, si sono mostrati ostili nei confronti delle istituzioni sovranazionali. Le amministrazioni statunitensi hanno sempre sostenuto il multilateralismo, sia per promuovere i valori condivisi dalla comunità internazionale che per perseguire interessi nazionali. L’amministrazione Trump, tuttavia, ha interrotto questa tradizione. Ma la politica estera del tycoon non può essere interpretata come un ritorno alla realpolitik. Questa si è sempre sposata con le scelte di quasi tutti i presidenti americani. Piuttosto, la sua amministrazione segna l'allontanamento dal multilateralismo in favore di un approccio più unilateralista».
In che modo il presidente statunitense e la sua cerchia ristretta possono realmente influire sulla composizione e l’operato degli organi sovranazionali?
«Le scelte dell’amministrazione Trump non possono non avere conseguenze importanti sull’operato delle istituzioni internazionali. Posso fare due esempi. Il ritiro degli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ad esempio, che entrerà in vigore entro l'anno prossimo, priverà l'Oms di una parte significativa delle sue risorse. Ciò rischia di comprometterne l’attività, che comprende anche la prevenzione di epidemie e campagne di vaccinazione nei Paesi in via di sviluppo. Un altro esempio riguarda il ritiro degli Stati Uniti dal Consiglio per i diritti umani, annunciato all'inizio di questo mese. La mossa rischia di indebolire l’azione collettiva in materia di diritti umani e può spingere altri paesi a rivedere il loro impegno».
È possibile che l'ostruzionismo americano sfoci in un boicottaggio generale delle organizzazioni come le Nazioni Unite? O si tratta di fantapolitica?
«Può portare alla paralisi delle sue istituzioni. Come è stato con il divieto di eleggere nuovi “giudici” in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (Omc). La decisione aveva bloccato l’azione dell'Omc, con gravi ripercussioni per il rispetto dei trattati sul commercio internazionale. Oppure le recenti sanzioni che il presidente ha imposto alla Corte penale internazionale. Se applicate, porteranno alla paralisi della Corte e alla conseguente impossibilità di punire i responsabili di crimini di guerra e genocidi».
Eppure l'approccio di Trump sembra finora funzionare… Ne testimonia la recente approvazione della risoluzione a stelle e strisce sul conflitto in Ucraina da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che chiede la rapida fine della guerra.
«La risoluzione statunitense non aggiunge niente di nuovo. Ciò che invece dovrebbe essere sottolineato è quello che manca al suo interno, ovvero l'obbligo per la Russia di rispettare il diritto internazionale e dunque ritirarsi dall'Ucraina».