Il cantautore incanta il Palexpo con uno show di grande impatto musicale
LOCARNO - «Hai visto che entusiasmo? È uno spettacolo molto curato, ci abbiamo lavorato tanto».
In camerino, dopo due ore e mezzo di concerto, Cristiano De André notifica quello a cui - in un Palexpo strapieno - il suo pubblico ha appena finito di assistere.
Chi non conosceva le canzoni "eterne" del padre Fabrizio ha avuto la dimostrazione - con degli arrangiamenti d'alta scuola che le hanno rese sonoramente "contemporanee" - di che pasta erano fatte e l'abisso che le separa dalle canzonette usa e getta di oggi.
«Come figlio, per me è un dovere portare in giro le canzoni di mio padre» - Quando arriva sul palco e siede allo sgabello, la "posa" paterna non passa inosservata mentre canta i primi due pezzi in scaletta, "Mégu" e "Â çìmma".
«Era un po' di tempo che non tornavo qui, è sempre bello ritrovarsi» dice al pubblico di Locarno.
«Per me è un dovere portare in giro le canzoni di mio padre e dare la possibilità a chi non ha vissuto il suo tempo di ascoltare il racconto di un'epoca attraverso dei pezzi che hanno descritto la storia di un Paese. Il filo rosso per lui è sempre stata la coerenza, il mettere l'amore prima di tutto e credere nella possibilità di un mondo senza dolore» dice prima di attaccare "Ho visto Nina volare" il terzo brano in scaletta.
Poi il primo sobbalzo ritmico che arriva con la famosa "Don Raffaé" e la platea non si tira certo indietro accompagnando il pezzo con il battito di mani e cantando il celebre refrain che mitizza il buon caffè napoletano persino dietro le sbarre del carcere di Poggioreale.
«Mi voleva veterinario, poi mi ha voluto al suo fianco per il tour "Anime salve" - Ma lo spettacolo vira nuovamente verso l'impegno e l'attenzione di Faber per gli "ultimi", che Cristiano perpetua imbracciando il violino in "Smisurata preghiera", pezzo ispirato dai versi del grande poeta colombiano Alvaro Mutis. "Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria, col suo marchio speciale, di speciale disperazione...Signore non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare/è appena giusto che la fortuna li aiuti» canta Cristiano, raccontando poi alla fine del pezzo anche il rapporto spesso conflittuale avuto con il padre.
«Mi voleva veterinario ma a me piaceva la musica. E su cosa dovessi fare nella vita ci siamo scontrati spesso. Poi vista la mia insistenza mi iscrisse al Conservatorio, cominciai a studiare chitarra. Mai avrei pensato che un giorno mi chiamasse al suo fianco per fare il live di Anime Salve» confessa mentre partono le note di "La canzone del padre", pezzo scritto nel 1973 che Cristiano revisiona magistralmente.
«Le guerre continuano: il silenzio-assenso del mondo di fronte a quanto avviene a Gaza» - Il Palexpo si infiamma nuovamente sul trittico "Bocca di rosa", "Marinella" e "Amico Fragile" ma è sul tasto del tema guerra (percorso e ripercorso da Fabrizio De André in molte canzoni) che il figlio Cristiano torna a "battere".
«Di guerra mio padre ne parlò nelle sue canzoni a proposito della Strage degli innocenti di Erode, di quella di Sidone a opera dell'esercito israeliano (ndr. 1982) e del massacro di pellerossa di Sand Creek voluto dal Generale Custer dove vennero uccisi donne e bambini. Oggi mi sembra non sia cambiato molto con il silenzio-assenso del mondo riguardo a quanto avviene a Gaza»: e le parole di "Canzone del maggio", "per quanto vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti", esemplificano la posizione di condanna dell'immobilismo della politica rispetto a una linea di terrore che attraversa e attanaglia i tempi. E il non dovere chiudere gli occhi di fronte alla violenza, il cantautore genovese lo va ribadendo anche intonando "Desamistade".
Il Palexpo in delirio per i pezzi "storici" - Sulla "prima linea" del palco arriva però anche il tempo di "Andrea", con la band (gli straordinari Osvaldo di Dio alle chitarre, Davide Pezzin al basso, Luciano Luisi alle tastiere e Ivano Zanotti alla batteria) tutta allineata a mandare in delirio il pubblico locarnese con pezzi della tradizione di casa De André: dall'Angiolina di "Volta la carta" a "Il testamento di Tito", per non parlare della rivisitazione ad alto tasso rock di "Quello che non ho" (con il pubblico tutto in piedi) e della sempre struggente "Fiume Sand Creek".
Ormai l'emozione esonda e il pubblico lascia le poltrone e si accalca sotto il palco per i bis: è l'ora di "Crêuza de mä" e "Il pescatore".
Il finale al pianoforte con il capolavoro "Canzone dell'amore perduto" - Sono due ore e mezza che De André scalda i cuori del pubblico locarnese, il concerto sembra sia finito, qualcuno guadagna anche le porte d'uscita: ma Cristiano si siede ancora una volta al pianoforte, impossibile andare via senza fare il capolavoro di "Canzone dell'amore perduto". Lo spettacolo è compiuto.