Dignitas: «Nessuno si rivolge a noi per morire, ma per porre fine alla sofferenza».
ZURIGO - Fa discutere la notizia della prima di Sarco, la cosiddetta "capsula della morte" sviluppata dal medico australiano e attivista per l'eutanasia Philip Nitschke (76), che promette una morte indolore senza l'ausilio di farmaci. A livello etico e legale. Tra le tante accuse, molti sostengono che comprometta l'immagine della Svizzera al di fuori dei suoi confini, conosciuta non tanto per i bei paesaggi o per le sue tradizioni, quanto per il suicidio assisto.
The Last Resort - Reputazione che potrebbe essere ulteriormente "compromessa" per via della "capsula del suicidio". Venerdì mattina a Zurigo, è stata presentata l'organizzazione no profit "The Last Resort Association", istituita da Exit Switzerland per consentire l'eutanasia in Sarco. Durante l'incontro l'organizzazione ha confermato che la capsula sarà utilizzata in Svizzera. Quando e dove, tuttavia, ancora non si sa, presumibilmente entro la fine dell'anno. E nonostante i divieti imposti dai Cantoni di Sciaffusa e Vallese, sono stati smentiti i problemi legali correlati all'organizzazione.
È stato poi spiegato che per utilizzare Sarco non è necessario diventare membri dell'organizzazione. L'età minima di chi vuole ricorrervi per porre fine alle proprie sofferenze, è stata fissata a 50 anni (salvo eccezioni per malati terminali più giovani), ed è praticamente gratuito. Rimane fuori il costo per la bombola di azoto, pari a 18 franchi, a cui vanno aggiunti i costi per la gestione del cadavere. L'organizzazione, viene aggiunto, è sostenuta da donazioni.
Durante l'incontro è stato ribadito che la capsula è già stata testata a Rotterdam nei Paesi Bassi negli ultimi 12 mesi. Non si sa come o su cosa, dato che per i test non sono stati usati umani o animali. Alle persone che fanno richiesta di suicidio, viene inoltre richiesto se sono consapevoli di quanto accada premendo il pulsante: Nitschke - intervenuto a sorpresa alle ultime battute della conferenza stampa - ha dichiarato ai media che la morte avviene in circa cinque minuti; la perdita di coscienza in pochi respiri. Per questo, hanno concluso, saranno prese in considerazione solo persone con piena capacità decisionale.
«Grata alla Svizzera» - Sarco incentiverà dunque il cosiddetto turismo della morte? Sono infatti tanti gli stranieri che ogni anno scelgono come ultima meta la Svizzera. 20 Minuten riporta il caso di Carolina Arruda, 27 anni, affetta da febbre dengue da quando aveva 16 anni e che soffre di nevralgia cronica del trigemino. La malattia colpisce quattro persone su 100mila in tutto il mondo e provoca un dolore estremo: lei lo paragona a una folgorazione su entrambi i lati del viso con 220 volt. Una condizione che le impedisce di svolgere i più normali compiti quotidiani, come pulire casa. Per venire a morire nella Confederazione, ha indetto una raccolta fondi di 25mila franchi, di cui ne ha già raccolti 20mila.
Ma perché si sceglie la Svizzera? La risposta è chiara: «Esistono quadri giuridici consolidati e organizzazioni come Dignitas, specializzate nel sostegno alle persone in queste situazioni», ha spiegato. Hanno fatto poi la differenza, le procedure ben regolamentate per l'eutanasia e la reputazione del Paese circa la tutela dei diritti e della dignità dei pazienti.
Promuovere le cure palliative - Per Roberto Andorno, professore associato di bioetica all'Università di Zurigo «non è positivo che la Svizzera sia nota come Paese del suicidio assistito». Secondo lui la procedura contraddice «i principi etici della medicina». Al contrario dovrebbero essere promosse alternative eticamente più accettabili, come le diverse forme di cure palliative. Aggiunge poi che «contrariamente alla credenza popolare, la legge svizzera non ha mai formalmente legalizzato il suicidio assistito, né stabilito le condizioni per questa pratica».
Turismo della morte? Stigmatizzante - Dal canto suo, l’organizzazione svizzera per l’eutanasia Dignitas respinge il termine “turismo della morte” in quanto stigmatizzante: «Nessuno si rivolge a noi per morire. Queste persone vogliono smettere di soffrire», spiega un portavoce. Dignitas sottolinea che il proprio lavoro si basa su un diritto umano fondamentale ovvero quello all'autodeterminazione, «confermato dal Tribunale federale svizzero nel 2006 e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2011. Non è giustificabile lasciare le persone sole nella loro sofferenza esistenziale semplicemente a causa del colore del loro passaporto».