Dopo la breve parentesi politica, l’ex direttore di Ticino Turismo Elia Frapolli riannoda i fili con il settore, creando una società di consulenza. E qui fornisce qualche consiglio
BELLINZONA - Più che un tornare, in fondo, si tratta di un rimanere. Lasciato il timone di Ticino Turismo per l’avventura elettorale, da alcune settimane l’ex direttore è tornato a occuparsi di… turismo. E ha fondato una società, la Elia Frapolli Consulenza e Turismo.
Tentare la corsa al Governo per poi dedicarsi oggi agli stessi temi ma… con meno potere. Ne è valsa la pena?
«Mi occupo di consulenza turistica. Aiuto progetti di diverso tipo che hanno bisogno di idee, competenza, network. Si può dire che metto a frutto l’esperienza maturata nei nove anni con Ticino Turismo. Se ne è valsa la pena? Assolutamente sì, perché ciò che facevo prima e ciò che faccio adesso sono due lavori completamente diversi. Prima avevo 35 collaboratori, 9 milioni di budget, responsabilità e una visibilità mediatica importanti».
E oggi invece?
«Adesso, che lavoro da solo come consulente, vedo dei vantaggi nella velocità con cui posso rispondere ai problemi e in una nuova qualità di vita. Lavoro infatti mobile sul territorio, in spazi di coworking, ad esempio ero in Valle Verzasca qualche giorno fa. La parola chiave è la libertà che ho oggi di affrontare i progetti che preferisco, in Ticino e in Svizzera, nel modo e nel tempo in cui voglio. Lavorando magari nel weekend e approfittando di un lunedì di sole».
In mezzo però c’è stata la parentesi politica…
«Che non rinnego. Mi piace prendere la vita come arriva e non cambierei neppure quello. Mi sono messo a disposizione perché ci credevo fino in fondo».
Oggi invece sembrano in molti a non credere più molto alle potenzialità turistiche del cantone. Cosa ci manca?
«In Ticino c’è un potenziale turistico enorme. Non ci rendiamo conto di quanto questo territorio, così particolare dal punto di vista paesaggistico-naturalistico, sia eccezionale. A volte però ci manca la vera cultura turistica, che è divisa tra l’accoglienza - talvolta lacunosa - e la parte imprenditoriale. C’è spazio per lanciarsi in progetti, ma si esita per paura. Pensando magari che è meglio - e sono provocatorio - lavorare in banca».
Il Ticino è però anche la Val Verzasca che d’estate ha numeri da Riviera romagnola. Ma è un turismo mordi e fuggi che poco lascia al territorio. Non è un problema?
«È proprio questo l’elemento su cui il Ticino sbaglia. Pensare al turista come ad un intruso, che arriva, crea traffico e lascia briciole è una prospettiva che non porta a nulla. Il punto, invece, è che questi turisti, quasi tutti, sono ben disposti a spendere. Ma il territorio deve dare loro la possibilità di farlo. È spesso un problema delle nostre Valli, che sono splendide, ma in molti casi si trova poco».
Quale dovrebbe essere invece il giusto approccio?
«Il territorio dovrebbe offrire delle attività interessanti. Innovative. Non semplicemente il ristorante che da vent’anni vende lo stesso menù. In quei posti il turista odierno, a meno che costretto, non ci va. Proprio in Verzasca vediamo strutture che hanno un successo eccezionale perché hanno un prodotto innovativo e di qualità e altre che - malgrado il cartello “Zimmer frei” - non approfittano dell’imponente flusso. È la sfida del turismo ticinese: vedere l’ospite come un’opportunità da cogliere e accogliere. E non un fastidio».
Tutti vorrebbero essere innovativi, ma nel concreto cosa significa. Può farci qualche esempio?
«Sono ancora in troppi gli operatori che sono rimasti ancorati ad un modo di lavorare che andava bene trent’anni fa. In tutto questo si apre spazio, e ce n’è tantissimo, per i giovani che vogliono lanciarsi in nuove attività. A loro dico che è il momento. Non servono capitali enormi, ma idee. Anche, ad esempio, accompagnare il turista nelle escursioni in mountain-bike o in parapendio. Vedo che sono esperienze, magari riprese da altre realtà, che anche qui hanno successo».