A tu per tu con i volontari che aiutano i migranti a pochi chilometri da Chiasso
COMO - Quattrocento profughi (destinati ad aumentare giorno dopo giorno) provenienti da Etiopia, Eritrea e altre nazioni africane vorrebbero raggiungere la Svizzera o altri paesi del nord Europa ma vengono “rispediti” in Italia e sono bloccati al parco adiacente la stazione San Giovanni di Como. L’Associazione Firdaus di Genestrerio sostiene e aiuta queste persone che necessitano di un aiuto umanitario. I volontari preparano pasti caldi che poi distribuiscono per il pranzo e forniscono loro beni di prima necessità e un punto di riferimento a cui chiedere informazioni.
L'atmosfera che si respira a Como è pacifica, uomini, donne (alcune di loro incinta) e bambini; sono pazienti, ascoltano, sono attenti a ciò che si dice loro. Nei loro occhi la speranza di potersi ricongiungere ai loro famigliari che prima di loro ce l'hanno fatta e che ora vivono a nord dell'Europa o nella Svizzera stessa o semplicemente di ricominciare da capo.
Molti i volontari dell'Associazione Fridaus, ne abbiamo incontrati alcuni ai quali abbiamo posto alcune domande.
Nicole (23 anni) di Caneggio
Di cosa ti occupi?
«Tutti i giorni vado a Chiasso: alle undici del mattino carichiamo le auto di cibo per portare il pranzo alle persone che sono accampate qui a Como».
Perché hai deciso di aiutare queste persone?
«Non posso rimanere indifferente a quello che sta succedendo e so che quello che facciamo non è molto, però penso che sia un dovere».
Che tipo di energia senti da parte degli immigrati che state aiutando?
«Alcuni di loro quando mi vedono mi accolgono con un abbraccio e mi dicono "welcome", è un'emozione forte. Significativo il fatto che loro dicano a me "welcome", mi hanno spiazzata, non sapevo cosa rispondere, volevo quasi dir loro "scusate, mi vergogno per quello che state vivendo"».
Che tipo di arricchimento ti dà questa esperienza?
«Vedo le cose da un'altra prospettiva ora, per esempio solo nei gesti quotidiani. C'è sempre una traccia di questa esperienza che sto vivendo, porto questi sguardi, queste persone, questi momenti sempre con me».
Cosa vedi nel futuro di queste persone?
«Spero di non dover più tornare qui e auguro a tutti di potersi ricongiungere con i propri cari e che possano trovare la loro dignità».
Adriano (41 anni) di Massagno
Oggi è il tuo primo giorno in veste di volontario, come ti senti?
«Sicuramente un'emozione forte perché sono venuto anche per conoscere la realtà visto che si sentono tante voci. Non avevo idea di cosa potesse significare incontrare queste persone bisognose di cibo e di altro».
Cosa diresti a chi volesse fare il volontario?
«Vale la pena capire chi sono queste persone, che ti ringraziano per quello che fai, che non sono dei criminali, sono degli esseri umani che cercano una fortuna che noi già abbiamo e che a loro manca».
Tania (39 anni) di Pregassona
Perché fai la volontaria?
«Lo faccio spontaneamente e appena ho del tempo vengo qui e cerco di aiutare come posso. Le emozioni che provo sono contrastanti, a volte vorrei poterli aiutare di più ma non ho la possibilità».
Quest'esperienza ti toglie o ti dà?
«Sicuramente mi regala i loro sorrisi, la loro gratitudine, le loro strette di mano. Mi riempie il cuore poterli aiutare. È uno scambio prezioso».
Raffaella (50 anni) del Mendrisiotto
Perché fai la volontaria?
«Il primo motivo è il rispetto per la dignità della vita. Vedere quello che succede in questo mondo ci fa star male. Basterebbe così poco per avere più equilibrio. Oltre a essere qui oggi e aiutare regolarmente l'Associazione Firdaus sono stata dieci giorni nei campi profughi di Khalachori e Vasilika in Grecia. Sono contenta di aver vissuto questa esperienza. Spesso si pensa che non sono mai abbastanza i nostri aiuti e che quello che facciamo è una goccia nel mare, però penso che il mare è fatto di gocce e questo mi dà la forza e la speranza di andare avanti. Stando a contatto con gli immigrati ho avuto un bagno di umanità incredibile, di sguardi profondi, non si parla la stessa lingua ma si parla attraverso il cuore e sono persone splendide, come noi. Solo che una mattina si sono svegliati e metà della loro casa non c'era più e magari in quella metà di casa ci dormivano i loro figli. Ecco perché hanno deciso di andarsene dalla loro terra. Quello che serve adesso è aprire il nostro cuore e non aver paura».
Questo non è un film ma la realtà: cosa senti?
«Se penso al loro futuro, automaticamente penso al nostro. Finché mettiamo questo steccato tra "loro" e "noi", non ci sarà futuro. Non possiamo più pensare che c'è un "noi" con una casetta e un recinto e un "loro" che sta fuori. Se loro sono qui, è perché ci siamo noi, siamo collegati, non è che quello che succede a loro a noi non riguarda o che sia totalmente fuori da quello che noi abbiamo fatto in passato. Siamo tutti un "uno". Sono convinta che l'essere umano abbia il potenziale per trovare le soluzioni se rispetta la dignità e la vita di tutti».