Nella grotta sono stati rinvenuti anche i resti di alcune iene. Gli esperti sono al lavoro
ROMA - Ominidi che cercano riparo in una grotta per scaldarsi, dormire, difendersi dall'agguato delle fiere, affilare le armi con le quali torneranno a cacciare. Ma anche ferocissime iene che di quello stesso antro naturale, in tempi diversi, hanno fatto una tana dove portare i loro sanguinolenti trofei. È un viaggio nel tempo lungo oltre 100mila anni quello che stanno facendo archeologi, paleontologi, antropologi, archeobotanici che da ottobre 2020 sono impegnati nella Grotta Guattari al Circeo (Lazio) in una nuova campagna di scavo condotta dalla Soprintendenza archeologica delle province di Latina e Frosinone in collaborazione con l'Università di Tor Vergata.
Un tuffo in un passato lontanissimo in cui questo lembo di territorio era abitato dagli uomini di Neanderthal, i 'cugini' più anziani e poi misteriosamente estinti dell'homo sapiens. Ma anche da animali feroci, iene, rinoceronti, orsi delle caverne. Esemplari grandissimi come lo spropositato megalocervo oppure antichi come l'uro, una razza di bovino poi estinta.
Un'indagine delicata portata avanti in quello che da 80 anni è considerato tra i siti più importanti del paleolitico medio. E che oggi si arricchisce di un nuovo eccezionale ritrovamento con i resti ricomposti di 9 individui di Neanderthal e di un incredibile numero di preziosi fossili, animali e vegetali.
Di fatto, spiegano gli esperti che da mesi sono al lavoro tra le rocce e le ossa sparse in questo mondo sotterraneo a due passi dal mare che fu della maga Circe, una sorta di smisurata banca dati che sarà utilissima per ricostruire la storia, ma anche l'ecosistema di queste terre in un arco di tempo lontanissimo, per i non addetti ai lavori persino difficile da immaginare, che va da 125mila a 50mila anni fa.
Scoperta casualmente nel 1939, la Grotta Guattari, studiata a suo tempo dal paleontologo Alberto Carlo Blanc, deve la sua eccezionalità ad un crollo che circa 60mila anni fa l'ha sepolta sigillandone l'apertura e facendo sì che tutto si mantenesse così com'era, in pratica una sorta di capsula del tempo. Proprio per questo e per il ritrovamento allora di una calotta cranica straordinariamente ben conservata è stata subito annoverata tra i siti più importanti al mondo per lo studio dell'uomo di Neanderthal.
Il nuovo intervento, fatto con l'aiuto di tecnologie e competenze che 80 anni fa non erano neppure immaginabili e allargato ad una zona della grotta che non era mai stata indagata neppure da Blanc, apre ora scenari di enorme interesse per la ricerca, spiega Francesco Di Mario, il funzionario archeologo della soprintendenza che dirige lo scavo.
Gli scheletri umani ricomposti, racconta, «appartengono tutti ad individui adulti, fatta eccezione forse solo per uno che potrebbe essere di un giovane». Tra loro una sola femmina. Ma non si tratta di persone vissute tutte nella stessa epoca: i più vicini a noi sarebbero vissuti tra i 50mila ed i 68mila anni fa, il più antico addirittura tra i 100mila ed i 90mila anni fa.
Adesso tutto questo materiale dovrà essere studiato, fa notare il direttore del servizio di antropologia del Sabab Lazio Mario Rubini, ma già dalle prime indagini sono arrivate tantissime informazioni, «un'analisi sul tartaro dei denti - anticipa - ha mostrato per esempio che la loro dieta era molto variata, mangiavano molti prodotti cerealicolo vegetariani, frutto della raccolta, ed è noto quanto una buona alimentazione sia fondamentale per lo sviluppo dell'encefalo».
Tant'è, con i nuovi ritrovamenti, ribadisce Rubini, il sito del Circeo diventa «assimilabile per importanza a quello di El Sidron in Spagna o a quello di Krapina in Croazia. La cosa incredibile al momento è che ci ha restituito molti individui, tanti da accendere una luce importante sulla storia del popolamento dell'Italia». E la speranza adesso è che studiando quest'immensa mole di materiale si possa arrivare a risolvere i tanti misteri che avvolgono questa specie. Uno in particolare, legato proprio alla Grotta laziale, dove tutti i crani ritrovati presentano una larga apertura alla base, come se qualcuno li avesse aperti apposta per mangiarne il cervello.
In passato, ricorda l'antropologo, «era stata avanzata l'ipotesi di un rituale di cerebrofagia», ma l'interrogativo è ancora aperto, dice, «potrebbe essere stato l'uomo ad aprire il foro occipitale e la iena a finire di sgranocchiarlo, potrebbe essere stata la iena stessa ad aprirlo o potrebbe semplicemente trattarsi di una rottura dovuta al caso». È uno degli enigmi che il lavoro dei prossimi mesi potrebbe riuscire a svelare.