Movimento per il Socialismo
1.Il Tribunale federale (TF)ha respinto, si legge in un comunicato uscito pochi giorni fa, i ricorsi di 11 aziende ticinesi che mettevano in discussione diversi aspetti della legge approvata dal Gran Consiglio nel 2019 e che, a questo punto, entrerà in vigore il prossimo 1° dicembre.
Buone notizie? Non proprio. Per carità, non vi sono dubbi che per un certo numero di salariati e salariate che oggi ricevono un salario ben al di sotto dei 3'200 / 3'300 (x 13 mensilità) fissati dalla nuova legge, l’entrata in vigore potrebbe rappresentare un passo in avanti. A condizione, come è già avvenuto e come ci si prepara a fare, che non si trovino le scappatoie per impedire anche questi minimi aumenti.
Anche per questo crediamo che sia la sentenza del Tribunale federale (al di là delle motivazioni che verranno conosciute prossimamente) che l’entrata in vigore della legge pongano diversi problemi.
2. Il primo, dibattuto nelle ultime settimane, è la conferma che il famigerato art. 3 lett. i) della legge regge dal punto di vista giuridico. Il TF, così sembra, non ha avuto nulla da eccepire su questo articolo dato che la legge è stata confermata nella sua interezza. Perciò tutte le aziende che lo vorranno (a partire dalle 11 che hanno interposto ricorso, certo non animate da buoni sentimenti nei confronti del salario minimo), per tutte le ragioni possibili e immaginabili, potranno derogare la già misero salario fissato da questa legge. E non saranno necessarie operazioni fantozziane alla Tisin: basterà che ogni azienda “incoraggi” al proprio interno la costituzione di un’associazione del personale che potrà facilmente e legalmente sottoscrivere un CCL aziendale che deroghi ai salari minimi previsti dalla legge.
3. Il secondo è che l’entrata in vigore dei salari minimi legali, e non certo per il principio della loro introduzione, ma per il livello così basso della loro introduzione, rappresenta l’inizio di una tendenza verso il basso di tutto il sistema salariale, quello che si chiama dumping salariale. Un sistema salariale, val la pena ricordarlo, che per anni è stato protetto da clausola di salvaguardia, in particolare attraverso l’utilizzazione della nozione di “salari d’uso” o il rispetto dei CCL vigenti: questo aveva evitato, almeno in parte, che la manodopera estera (non solo frontaliera, ma anche quella stagionale – pensiamo al settore della ristorazione o a quello dell’edilizia) venisse messa in concorrenza con i lavoratori domiciliati in Ticino, avviando un processo di spinta verso il basso di tutto il sistema. Non a caso, proprio ieri sera, il direttore dell’associazione padronale (AITI) dichiarava ai microfoni della RSI che molte imprese, evidentemente in difficoltà per via dell’aumento delle materie prime (energia in primis) e a causa dell’introduzione del salario minimo, dovranno ridurre la massa salariale, abbassando cioè gli “alti salari”… Come volevasi dimostrare!
Ci hanno pensato gli accordi bilaterali, che altro non sono stati che una liberalizzazione del mercato del lavoro, a togliere quei pochi freni a questo processo che, da allora, si è sviluppato in maniera tumultuosa, in particolare nei settori dove la preventiva ricerca di “manodopera indigena” era un presupposto per ottenere un permesso di lavoro per lavoratori stranieri: pensiamo al settore del terziario nel suo complesso.
Le cosiddette “misure di accompagnamento” a partire dalle quali tutti gli attuali difensori, a sinistra, del salario minimo si erano entusiasticamente battuti, a più riprese, per gli accordi bilaterali, si sono rivelate un disastro. E aver capito questo con anni di anticipo aveva spinto l’MPS, solo a sinistra, a battersi con tenacia per un No di sinistra agli accordi bilaterali.
Ora, è evidente, la liberalizzazione del mercato del lavoro sta facendo vittime tra i salariati e le salariate che lavorano e vivono nel Cantone. È per questa ragione, al di là delle questioni di principio, anche una parte del padronato (oltre alla maggioranza dei partiti) vede di buon occhio che la liberalizzazione del mercato del lavoro sia regolata da qualche paletto, non foss’altro che per mettere un po’ d’ordine in una concorrenza sempre più sfrenata. L’attuale legge, da questo punto di vista, è perfetta. Fissa salari molto bassi, che possono stimolare una discesa verso il basso di tutto il sistema salariale
formatosi in anni di alta congiuntura e che il padronato ritiene troppo alti rispetto ai paesi concorrenti; fissa comunque la possibilità di derogare grazie all’art. 3 lett. i); permette, proprio grazie al meccanismo che fissa i salari minimi in modo differenziato per settore, di adeguarli all’evoluzione dei settori (che verosimilmente significa tenerli bloccati per decenni).
In altre parole la legge permette di ristabilire qualche minima regolazione che gli accordi bilaterali e la liberalizzazione del mercato del lavoro avevano fatto saltare.
4. La legalizzazione di salari minimi così bassi, invita i datori di lavoro e le associazioni di categoria a mettere un freno alle pretese salariali, sia dei settori in cui vige un CCL sia nei settori che ne sono privi. In questi ultimi, evidentemente, la stipulazione di CCL aziendali verrà incoraggiata, da parte del padronato, solo nella misura in cui essi potranno permettere di derogare ai pur miseri salari minimi legali.
Nei settori retti da CCL assistiamo già ad un freno verso dei miglioramenti. Abbiamo visto negoziare, in queste ultime settimane, accordi tra i cosiddetti “partner sociali” che derogano ai salari minimi fissati dalla nuova legge persino per tutto un settore: pensiamo a quello dell’abbigliamento (che si adatterà ai salari minimi legali nello spazio di qualche anno) o, ancora a quello del settore orologiero il cui CCL in Ticino verrà pure adattato a tappe. Infine qua e là vediamo segnali che vanno nella direzione di utilizzare, come detto, i livelli salariali fissati nella legge per giustificare qualsiasi rifiuto di adeguamento salariale (rincaro o salari minimi di base). Un esempio significativo quanto successo al FoxTown (e parliamo di un CCL valido per un migliaio di lavoratrici e lavoratori). Qui vigono, e da tempo, salari attorno ai 4'000 franchi mensili (per 13 mensilità). Di fronte alle recenti richieste di adeguamento salariale da parte sindacale, la direzione aziendale ha avuto buon gioco a rispondere che non le sembrava il caso di fronte a salari minimi legali, di imminente validità, che veleggiano sui 3’200/3'000 franchi mensili!
5. Merita di essere messa in evidenza una considerazione ulteriore sul dibattito sulla fissazione del salario minimo e sulla sua compatibilità costituzionale e con il diritto superiore. Governo e padronato hanno ripetuto, fino alla noia, che non è possibile fissare un salario minimo “economico”, ma solo un salario minimo “sociale”; posizione ripresa acriticamente anche dal fronte sindacale e dal PS nella sua iniziativa.
Ebbene, non sarà sfuggito a nessuno il commento del ministro Christian Vitta, felice della sentenza del Tribunale Federale. Vitta sottolinea che il Tribunale federale ha riconosciuto la bontà della legge e dei salari minimi fissati poiché la legge non fissa un solo minimo, ma salari minimi differenziati per settore.
Ora, a noi questa sembra una evidente dichiarazione che i salari minimi fissati siano in realtà dei salari di tipo “economico” e per nulla “sociale”. Se questa ultima fattispecie fosse vera, non si capisce come il “minimo sociale” che un salario minimo legale dovrebbe garantire possa variare da un settore economico ad un altro.
Una dimostrazione di quanto poco serio sia stato (e continui a essere) il dibattito sul salario minimo e sulle sue implicazioni.
6. Infine, e torniamo alle considerazioni iniziali relative alla sentenza del Tribunale federale, la conferma della validità della legge rende necessario, anche per le ragioni che abbiamo detto, la correzione del meccanismo di deroga (art. 3 lett. i). Richiamiamo a questo proposito gli atti legislativi (iniziativa costituzionale e iniziativa legislativa) che i deputati e le deputate dell’MPS hanno già presentato diverse settimane fa e che non facevano altro che riprendere proposte già presentate sotto forma di emendamenti al momento della discussione della Legge nel 2019 (ignorati naturalmente da tutti i partiti).
Se veramente si vuole affrontare questo problema bastano poche settimane (pochi mesi nel caso si volesse procedere per via costituzionale). Altre vie (sia quella dell’iniziativa popolare che quella di ulteriori proposte) servono solo a farsi un po’ di propaganda, ma inevitabilmente a procrastinare la soluzione del problema. Ognuno si assuma le proprie responsabilità.