Nicole* attualmente risiede all’Istituto Torriani per minori in difficoltà. «Ma è in giro a tutte le ore», racconta la madre.
E punta il dito contro le ARP: «Mia figlia ha bisogno di una struttura chiusa. Ma loro se ne fregano». «In un centro educativo aperto un ragazzo ha la possibilità di uscire e non rientrare. Non possiamo impedirlo», spiega Luca Forni, direttore dell'Istituto Torriani per minorenni.
MENDRISIO - «Dal momento che mi tolgono la custodia di mia figlia, mi aspetto che facciano meglio di me. Invece le ARP se ne fregano». Sono parole intrise di rabbia e preoccupazione, quelle di Sara*, mamma di una ragazza di 14 anni collocata dall’Autorità regionale di protezione (ARP) di Minusio all’Istituto Torriani di Mendrisio, struttura per minori in situazioni di difficoltà e disagio. «Mia figlia è lì da febbraio, ma è molto ribelle, è in giro a tutte le ore, non va a scuola e passa le notti per strada. Ogni giorno il Torriani mi segnala il suo non rientro». Questo avviene perché l’istituto è una struttura aperta, dalla quale i ragazzi possono entrare e uscire liberamente. Il che, secondo la mamma, nel caso della 14enne Nicole* non è un bene.
«Prima o poi succederà qualcosa» - «Sono preoccupata per la sua salute, sia fisica, sia psicologica. Ho paura che prima o poi le succeda qualcosa». Ed è proprio per questo motivo che Sara avrebbe sollecitato le ARP, esortandole a valutare un trasferimento della giovane in una struttura contenitiva chiusa: «Ma, nonostante lettere e telefonate, non ho ottenuto nessun riscontro».
«Meglio non partire in quinta» - «È vero che mia figlia fa un po’ quello che vuole e che ricevo spesso segnalazioni dei suoi non rientri dal Torriani», conferma il padre della ragazza. Ma la sua, rispetto a quella della madre, è una prospettiva diversa: «Il tutto sta ora passando in mano all’ARP di Lugano, e penso che piuttosto che partire in quinta e inserire mia figlia in un istituto chiuso, occorre prima assicurarsi che non aderirà alle regole della struttura attuale». E, difendendo l’operato dell’ARP di Minusio: «Se decidono di spedire un giovane in una struttura chiusa al primo colpo sono troppo cattivi, se invece tentennano un po’ vengono criticati».
Interpellate da Tio/20Minuti, né l’ARP di Minusio né quella di Lugano entrano in materia: «Per motivi di privacy».
«Non possiamo impedire loro di uscire» - In Ticino, nel frattempo, sono però sempre di più i minori in situazioni di disagio e con problemi comportamentali. E spesso la presa a carico risulta difficile in un centro educativo aperto, come lo sono tutti quelli presenti sul nostro territorio. Lo conferma Luca Forni, direttore della Fondazione Paolo Torriani per minorenni. «In una struttura aperta un ragazzo ha la possibilità di uscire, anche senza il consenso dell'educatore, scappare e non rientrare. Non possiamo impedirlo, e se un educatore provasse a fermare fisicamente un giovane rischierebbe una denuncia. Perciò sì, può succedere anche da noi che ci siano ragazzi con una tendenza al vagabondaggio, che a volte non frequentano nemmeno più la scuola». I non rientri, sottolinea però Forni, vengono comunque sempre segnalati ai genitori dei minori, alle ARP e alla polizia.
«In bilico tra negligenza e abuso» - Situazioni difficili, queste. E che al momento rientrano in un'enorme zona grigia. «Noi siamo strutture di protezione, ma il problema è che non sempre riusciamo a essere protettivi», ammette Forni. «Il grosso tema, quando si prendono decisioni relative a questi ragazzi, è quello etico, perché occorre valutare approfonditamente caso per caso». Non trasferendo un adolescente bisognoso in una struttura chiusa o terapeutica, chiarisce, l’autorità potrebbe commettere una negligenza, lasciando che il minore si esponga a rischi come l'abuso di sostanze, la promiscuità sessuale e il vagabondaggio. Dall’altra parte «collocando in una struttura chiusa un ragazzo che poi non si rivela essere così problematico e bisognoso di protezione, si può cadere nell’abuso di potere». Rimane comunque un margine di rischio, evidenzia Forni, che non è giusto che ricada solo sui centri educativi che hanno in custodia il minore, ma che riguarda anche le ARP e chi detiene l'autorità parentale.
Liste d'attesa e barriere linguistiche - Nel Ticino del futuro ci sarà però anche una struttura chiusa. Il progetto per la sua realizzazione, prevista ad Arbedo-Castione, è infatti stato approvato dal Gran Consiglio lo scorso febbraio. Ma, nel frattempo, le difficoltà non mancano. «Oggi la presa a carico è molto cambiata, si dà un peso sempre maggiore ai diritti dei minori, al loro ascolto e alla loro partecipazione», spiega Forni. «Rispetto al passato, c’è una certa difficoltà nell'imporre un collocamento contro il volere dei ragazzi, ed è difficile che un giovane dica “sì, voglio andare in una struttura chiusa”». Inoltre, sottolinea, «le forti critiche ricevute per gli errori commessi nei ricoveri a scopo di assistenza prima degli anni '80 fanno sì che si tenda ad agire con una maggiore cautela». L’altro aspetto da considerare, aggiunge Forni, «è che le strutture chiuse presenti in Svizzera si trovano tutte oltre Gottardo, e spesso i nostri ragazzi non parlano sufficientemente bene né tedesco né francese. Questo rappresenta un grandissimo ostacolo, perché è difficile aiutare qualcuno quando non si parla la stessa lingua. Ci sono poi delle liste d’attesa significative per accedere a questi istituti».
Tempesta all'orizzonte - E se il lavoro, per la Fondazione Paolo Torriani per minorenni, di certo non manca, a destare qualche timore supplementare è la recente approvazione, da parte del Gran Consiglio, del pareggio dei conti statali entro il 2025: «Probabilmente i soldi per far fronte a questi bisogni saranno meno, il che, visto l'andamento attuale, è preoccupante».
*Nomi reali conosciuti alla redazione