L'esponente dell'UDC che fa parte del comitato "200 franchi bastano" risponde agli allarmismi dei sindacati: «Strumentalizzano la questione»
Per Colin Porlezza, professore di giornalismo digitale, tagliando il canone si rischia di abbassare ulteriormente «la pluralità e la diversità mediatica».
LUGANO - «Qui siamo nel campo delle speculazioni: che i sindacati sappiano con la riduzione del canone di 35 franchi quali trasmissioni verranno cancellate spiega piuttosto bene quanto stiano strumentalizzando la questione». Marchesi risponde a distanza al Sindacato svizzero dei mass media che in una conferenza stampa ha elencato quali programmi e servizi potrebbero sparire con un canone di 300 franchi. E rilancia ancora sul canone a 200 franchi: «Bisogna leggere il testo della nostra iniziativa - dice - comunque con la riduzione del canone bisogna garantire la presenza territoriale, regionale, quindi le varie regioni linguistiche, e che non vada a toccare i contributi dati alle emittenti private. La Rsi/SSR avrà un budget ridotto ma dovrà garantire tutti questi aspetti che sono quelli che ovviamente anche noi che lanciamo l'iniziativa vogliamo che vengano garantiti. E dunque - continua - il fatto che ci sia un'informazione in lingua italiana, presente sul territorio, che sia capace di riportare le notizie piuttosto che quello che succede nelle varie regioni è vincolato dal testo dell'iniziativa». E poi l'affondo: «Quello che dicono i sindacati è falso ed evidentemente una strumentalizzazione per cercare di spaventare la gente».
Per i sindacati una televisione pubblica di qualità non può esistere senza risorse e persone. «Ma cosa vuol dire? Stiamo parlando di 700 milioni l'anno. Se questo vuol dire lavorare senza risorse abbiamo dei metodi di valutazione piuttosto differenti. È ovvio che ci sarà una riduzione, ma il canone a 200 franchi sarà certamente sufficiente per avere un budget in grado di garantire quello che è il servizio pubblico e cioè l'informazione, la cultura ma non necessariamente tutto il resto che la SSR potrebbe fare con degli abbonamenti differenziati».
E qui Marchesi parte con il secondo affondo: «Se il prodotto della SSR/RSI è così buono e così apprezzato - afferma - allora i cittadini saranno certamente disposti a spendere 50 franchi di canone per guardare lo sport piuttosto che l'intrattenimento. Noi con la nostra iniziativa diciamo quale è il minimo per cui i cittadini sono obbligati a pagare, cioè i 200 franchi per il servizio pubblico. Il resto la SSR sarà certamente autorizzata a entrare sul mercato con degli abbonamenti facoltativi».
Chi invece analizza la questione dal punto di vista dell'offerta di informazione esistente oggi in Svizzera e restituisce un'analisi che in alcuni punti diverge con quello che afferma Marchesi è il professor Colin Porlezza, professore assistente senior di giornalismo digitale presso l'Istituto di Media e Giornalismo (IMeG) dell'Università della Svizzera Italiana: «Quello che possiamo osservare e ci dicono anche i dati è che la pluralità e la diversità mediatica è in continua diminuzione - spiega - Questo è un dato di fatto che è causato anche dalla crescente concentrazione dei media. L'iniziativa dell'ulteriore taglio al canone diciamo che evidentemente mette un pò a rischio la possibilità di offrire questi programmi che la SSR/RSI ha offerto fino ad adesso, con una ulteriore riduzione della diversità dei programmi». Per Porlezza "indebolire" la capacità di SSR di fare servizio pubblico non sarebbe una buona cosa: «Dal mio punto di vista non ha molto senso perché bisognerebbe tenere conto della funzione del servizio pubblico, che si deve per forza occupare di tematiche, di programmi, di offerte che magari i media privati e commerciali non possono e non vogliono offrire per ragioni di introiti pubblicitari».
Per Porlezza anche l'eventualità che i tagli non giovino alle possibilità formative dei tanti giovani che vedono nella Rsi un punto di riferimento per il loro futuro professionale, può rappresentare un rischio: «La Rsi è una delle aziende più grosse nella Svizzera italiana - spiega - e quindi offre comunque delle opportunità per dei giovani ragazzi che magari vorrebbero entrare nel mondo dei media, sia dalla parte dell'informazione piuttosto che dalla parte dell'intrattenimento».