Mentre la Cina vuole tagliare la produzione di carbone, l'India mette il freno sull'acceleratore. Verso il «punto di non ritorno».
NEW YORK - Ridurre il consumo di carne, evitare di volare, spostarsi con la bicicletta. I cittadini si stanno sempre più impegnando per diminuire il proprio impatto ambientale e sperare così di invertire la tendenza del cambiamento climatico. Sforzi che tuttavia sembrano vani, quando nel frattempo diversi Paesi stanno pianificando un'espansione massiccia dell'estrazione di combustibili fossili.
Carbone, gas, petrolio
Mentre la crisi climatica avanza e procede verso il cosiddetto «punto di non ritorno», sono tanti e forse troppi i grandi produttori di combustibili fossili che stanno lavorando per ampliare l'estrazione di questi elementi nei prossimi anni. È la conclusione a cui è giunto lo studio "Production Gap" delle Nazioni Unite che esamina la discrepanza tra le promesse dei governi di ridurre la produzione di combustibili fossili e l'effettivo livello di produzione globale e il suo impatto sul clima. Lo fa dal 2019 e per questo 2023 descrive un quadro particolarmente desolante.
Lo studio ha preso in esame 20 Paesi che insieme sono responsabili dell'84% delle emissioni di CO2 nel 2021 - 17 dei quali si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra in misura tale da non far aumentare ulteriormente la temperatura.
Promesse non mantenute
Tuttavia, i piani delle cosiddette «petrocrazie», le cui economie dipendono principalmente da gas, carbone o petrolio, non sono affatto in linea con la politica climatica e con le promesse che i capi di Stato amano fare davanti a un pubblico riunito. In base alla quantità di combustibili fossili che possono essere bruciati senza superare l'obiettivo di 1,5°C concordato a livello internazionale, le petrocrazie stanno pianificando di produrne molti di più. «I combustibili fossili faranno andare in fumo gli obiettivi climatici», avverte il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres nel rapporto.
I volumi di produzione previsti per il carbone, ad esempio, superano di ben il 460% le quantità possibili nell'ambito dell'obiettivo di 1,5°C. Per il gas si prevede di produrre l'83% in più di gas naturale e per il petrolio greggio il 29% in più rispetto a quanto è consentito bruciare secondo l'obiettivo concordato. Anche molte aziende svizzere potrebbero essere in parte responsabili di questo fenomeno attraverso i loro investimenti.
Le nazioni con più responsabilità
L'India (carbone), l'Arabia Saudita (petrolio) e la Russia (carbone, petrolio e gas) sono responsabili di gran parte delle emissioni di carbonio derivanti dalla produzione prevista. Tuttavia, anche il Canada e gli Stati Uniti vogliono produrre molto più petrolio in futuro, così come gli Emirati Arabi Uniti, che ospiteranno la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2023 alla fine di novembre.
Lo studio evidenzia il divario tra le promesse politiche e le realtà economiche nella crisi climatica: sebbene le petrocrazie giurino di fare la loro parte per combattere il riscaldamento globale, concedono in larga misura allo Stato e ai giganti privati dei combustibili fossili libertà d'azione quando si tratta di generare miliardi di franchi da fonti energetiche. Gli esperti delle Nazioni Unite chiedono dunque un piano coordinato a livello internazionale per eliminare gradualmente i combustibili fossili.
L'India accelera sul carbone
In alcune aree, le petrocrazie stanno riducendo la loro produzione, ma questo è immediatamente compensato da aumenti: la Cina e gli Stati Uniti vogliono ridurre la loro produzione di carbone per un totale di 10,4 exajoule - ma l'India vuole estrarre 10,7 exajoule in più di carbone in futuro. Con il Regno Unito, la Cina, la Norvegia e la Germania, solo quattro dei Paesi analizzati prevedono di ridurre complessivamente la produzione di combustibili fossili.
Anche nel contesto dell'obiettivo dei 2°C, è probabile che i Paesi interessati estraggano in futuro molti più combustibili fossili di quanto sarebbe consentito per raggiungere l'obiettivo. L'obiettivo prevede di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei due gradi Celsius entro il 2100 rispetto ai livelli preindustriali. Anche questo limite è stato criticato come inadeguato da diversi esperti in passato.