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ARABIA SAUDITAIl dissenso corre su Twitter, la repressione è più dura che mai

30.09.22 - 06:30
Le Ong attive per la difesa dei diritti umani sono allarmate per la nuova tendenza del regime a punire gli attivisti.
keystone-sda.ch / STF (CHRISTOPHE PETIT TESSON)
Il dissenso corre su Twitter, la repressione è più dura che mai
Le Ong attive per la difesa dei diritti umani sono allarmate per la nuova tendenza del regime a punire gli attivisti.

RIAD - Sentenze esemplari che superano i 30 anni di detenzione hanno scioccato l’Occidente e hanno rigettato al centro dell’attenzione mediatica i metodi di repressione di Riad. Salma al-Shehab, studentessa dottoranda dell’università britannica di Leeds, è stata condannata lo scorso agosto a 34 anni di carcere per aver retwittato contenuti pacifisti di una pagina dissidente al regime. Una pena che è stata giustificata con l’accusa di «utilizzare internet per strappare il tessuto sociale del Paese e violare l’ordine pubblico attraverso i social media». Salma era stata arrestata il 15 gennaio del 2021 mentre era in visita ai parenti in Arabia Saudita.

Poche settimane dopo, Nourah bint Saeed al Qahtani è stata invece condannata a 45 anni per «aver violato l’ordine pubblico su Twitter». Anche nel suo caso i suoi post pacifici sulla piattaforma social sono bastati a violare la legge anti-terrorismo del Paese. «Queste due sentenze segnano un cambiamento importante della politica di repressione del dissenso intrapresa dalle autorità di Riad dal 2017», sostiene preoccupato Ramzi Kaiss, ricercatore dell’organizzazione non governativa MENA Rights Group. Una Ong di difesa legale, con sede a Ginevra, che difende e promuove i diritti e le libertà fondamentali nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa. «Stiamo assistendo a una nuova tendenza che non abbiamo ancora riscontrato in Arabia Saudita. L’impressione è che il regime cerchi di terrorizzare i cittadini con sentenze esemplari per scoraggiare qualsiasi tipo di attività in favore dei diritti umani». Ramzi Kaiss ha studiato e documentato il caso specifico di Salma al-Shehab. Il lavoro della sua Ong consiste principalmente nel fornire il materiale necessario all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani per permettere l'apertura di una procedura ufficiale. 

Come si spiega questa assurda sproporzione tra i reati commessi e la pensa inflitte? 
«L’anno 2017 in particolare rappresenta un momento di svolta per i servizi di repressione del regime di Riad. I diversi uffici che si occupavano di anti-terrorismo e i corpi dell’intelligence interni, come la le forze speciali di sicurezza oppure la Mabahith (la polizia segreta saudita) sono stati rimossi dall’autorità del ministro dell’Interni e collocati all’interno della “Presidency State of Security”. Un nuovo ufficio che si occupa di tutte le questioni relative alla sicurezza dello Stato, posto che risponde direttamente alla Corte reale, quindi al principe ereditario Mohammed Bin Salman (MBS). Dopo questa modifica, il numero di violazioni dei diritti umani è cresciuto esponenzialmente». 

Nella pratica quali sono le competenze di questo organo?
«Il compito principale di questo ufficio è la lotta contro il terrorismo. La legge saudita include nella categoria terrorismo qualsiasi “minaccia alla sicurezza del regno”. Il problema è proprio questa designazione troppo ampia che può includere diversi tipi di sanzioni e può essere interpretato in vari modi. Chiunque critichi l’economia del Paese oppure sottolinea la mancanza di lavoro, per esempio, diventa un bersaglio dei servizi segreti. Il caso di Salma è particolarmente significativo. La ragazza ha semplicemente seguito un account Twitter creato per richiedere il rilascio di alcuni attivisti dei diritti umani. Per questo motivo è stata accusata di terrorismo. L’unica sua colpa è stata quella di sostenere sulla piattaforma online i diritti dei prigionieri. Non rappresentava una minaccia per la sicurezza nazionale». 

Twitter sembra essere preso sempre più di mira dal regime, perché?
«Capita sempre più spesso che le persone vengano arrestate senza motivo a causa delle loro attività su Twitter. Diversi casi confermano questo tendenza. Il motivo è perché diversi attivisti e dissidenti al regime hanno iniziato a utilizzare account Twitter anonimi per promuovere dei discorsi critici alle autorità del Paese. Dal 2017 l’ufficio contro il terrorismo ha progressivamente preso di mira questi attivisti».

Mbs cerca di promuovere un’immagine progressista del Paese. Eppure queste sentenze mostrano una realtà diversa caratterizzata da una violenta repressione del dissenso interno. 
«Il contrasto è chiaro, le azioni parlano più delle parole. Arresti, condanne e repressione dei diritti umani sono all’ordine del giorno in Arabia Saudita. Chiunque sperava in una realtà diversa si è illuso. Chiunque all’interno del Paese aveva capito fin da subito le vere intenzioni di Mbs. Spero che queste sentenze così sproporzionate possano smascherare la violenza del regime». 

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