«Il crollo di quest'uomo che dava lezioni è davanti a tutti, è senza appello» ha dichiarato Mélenchon
PARIGI - Per Emmanuel Macron, due mesi dopo la conferma all'Eliseo, è arrivata la più bruciante delle sconfitte. Un crollo al di là di ogni previsione per il presidente che in settimana - tornando dalla sua prima visita nell'Ucraina in guerra - aveva chiesto ai francesi una maggioranza «forte e chiara» per una «Francia davvero europea». Ha vinto Jean-Luc Mélenchon, il tribuno di sinistra che tallona la maggioranza presidenziale. Ha stravinto l'estrema destra di Marine Le Pen, che senza neppure fare campagna elettorale ha decuplicato il numero dei deputati all'Assemblée nationale.
A parlare nella serata più difficile dell'era Macron, è stata la premier Elisabeth Borne, che ha pronunciato parole pesanti: «È una situazione inedita che rappresenta un rischio per il nostro paese viste le sfide che dobbiamo affrontare, sia sul piano nazionale che internazionale». La Borne ha lanciato un appello all'unità per «costruire una maggioranza d'azione» per il paese, ipotizzando «compromessi» per tenere la rotta.
Sono crollati uno dopo l'altro i ministri del governo appena nominato da Macron, a cominciare dalla responsabile della sanità, Brigitte Bourguignon. Spazzati via due uomini vicinissimi al presidente fin dall'inizio della sua avventura in politica: il presidente del parlamento, Richard Ferrand, e il capogruppo dei deputati di En Marche!, Christophe Castaner.
La forbice dei seggi assegnati si è smussata con il passare delle ore, rendendo meno amara la sconfitta di Macron: Ensemble!, la coalizione di governo, ha 247 seggi (i risultati non sono ancora definitivi), comunque ben lontano dall'obiettivo dei 289 che Macron inseguiva per assicurarsi la maggioranza assoluta. Le truppe di Mélenchon riunite nella Nupes (la sua France Insoumise più Verdi, socialisti e comunisti) inseguono distanziate ma minacciose la maggioranza, con 147 seggi.
«La sconfitta del partito di Macron è totale, non c'è nessuna maggioranza», ha esultato ieri in serata Mélenchon, con i suoi collaboratori che hanno parlato di «un presidente minoritario» annunciando già il naufragio della riforma delle pensioni: «È andata a picco questa sera (ieri sera, ndr)».
Con chi governerà Macron? Come ristrutturerà il suo governo decapitato da questo ballottaggio? È la premier giusta per una situazione così infuocata la tecnica e fredda Elisabeth Borne? Le domande si intrecciano mentre davanti ai palchi di Mélenchon e di Le Pen i sostenitori delle estreme fanno festa.
È stata proprio la leader dell'ultradestra a raccogliere il successo più clamoroso della sua carriera politica: partendo da otto deputati, aveva l'obiettivo di raddoppiare per raggiungere il numero minimo per costituire per la prima volta un gruppo politico del Rassemblement National, ex Front National fondato dal padre Jean-Marie, a lungo senza alcuna rappresentanza in parlamento. Il suo nuovo gruppo avrà 90 deputati, un numero impensabile alla vigilia, più che decuplicato. «Siamo riusciti ad eleggere un gruppo molto forte di deputati all'Assemblea, che d'ora in poi sarà ancora più nazionale. Sarà di gran lunga il più numeroso della storia della nostra famiglia politica», ha cantato vittoria Le Pen.
Macron avrà vita durissima a dialogare sulle riforme con avversari così determinati. Entrambi - Mélenchon e Le Pen - hanno fatto in questi anni dell'anti-macronismo la loro cifra principale. «Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo - ha proclamato non a caso Mélenchon -, far crollare l'uomo dell'arroganza. Il crollo di quest'uomo che dava lezioni è davanti a tutti, è senza appello».
Gli analisti sono concordi sul fatto che Macron possa rivolgersi unicamente alla destra tradizionale, gli ex neogollisti che fino a dieci anni fa sono stati sempre uno dei due poli che si alternavano al potere della Quinta Repubblica e sono ridotti oggi a quarta forza in parlamento (una settantina di seggi), per la prima volta dietro all'estrema destra. Ma soltanto qualcuno dei dirigenti del partito, come Jean-François Copé, ha evocato ieri sera un "patto di governo" con i macronisti in difficoltà. Il presidente, Christian Jacob, afferma che i Républicains «sono opposizione e lo resteranno».
Lo spostamento a destra voluto da Macron - che sta strutturando proprio in questi giorni il suo nuovo partito con il nome di Renaissance - appare denso di interrogativi: una formazione politica azzoppata, inseguita dai suoi nemici più giurati, la sinistra radicale e l'ultradestra.
Come previsto, si profilano cifre molto negative anche per l'affluenza, con un'astensione fra il 53,5% e il 54%, con metà del Paese sotto una cappa di afa vicina ai 40 gradi.