Arno Rossini: «Il presidente è spesso stato lasciato solo»
I nuovi acquirenti? «Per passione, speculazione, possibili guadagni…».
LUGANO - Il dado non è (ancora) tratto ma già ci si trova a parlare della presidenza di Angelo Renzetti come qualcosa relativo al passato. Ovvio, comprensibile, visto che è stato proprio l’attuale presidente ad ammettere come la sua avventura bianconera sia ai titoli di coda.
Certo sarà strano, per un po’, parlare di Lugano e non tirare in ballo il dirigente che per un decennio lo ha accompagnato. Nella buona e nella cattiva sorte.
«Nella buona, non scherziamo - è intervenuto Arno Rossini - Lugano e il Lugano devono essere grati a Renzetti per tutto quello cha ha fatto».
Di sicuro non ha fatto annoiare.
«Ma ha anche garantito risultati sportivi di primissimo piano. Ha preso una media squadra di Challenge League e l’ha portata a ridosso delle big del calcio nazionale. Ha centrato una promozione con Bordoli, trovato l’immediata salvezza e una finale di Coppa con Zeman, che guidava un gruppo nel quale la qualità non abbondava. Poi c’è stata l’ulteriore crescita che ha portato a due qualificazioni all’Europa League e al quarto posto di quest’anno. I numeri non mentono».
Quali sono i meriti più grandi del Renzetti dirigente?
«Ha tenuto in piedi la baracca. Già questo… E poi è stato in grado di dotarla, nel tempo, di una struttura di primo piano. Ha trovato in Michele Campana un Direttore bravissimo e in generale ha “promosso” collaboratori molto in gamba. Abbiamo parlato di risultati sportivi, ma per me un successo importantissimo riguarda soprattutto la solidità data al club. Non ottieni sempre la licenza in prima istanza se la società non è sana».
Sana non significa ricca.
«Questo è stato, forse, l’unico vero errore fatto negli anni. Anche se non so se si possa realmente incolpare Renzetti o se, invece, si debba puntare il dito verso gli imprenditori del cantone. Il presidente ha più volte lanciato un grido d’aiuto verso la città, verso il territorio. Ha chiesto sostegno finanziario ma è spesso stato lasciato solo. Probabilmente, ma è ovvio che non si sta parlando di qualcosa di semplice, se fosse stato in grado di promuovere in società qualcuno in grado di portare investitori, la sua permanenza in bianconero sarebbe stata più facile. In altri club questa figura è presente. E posso assicurarvi che riesce a garantire capitali enormi. Milioni».
Renzetti lascia perché il peso economico del club è diventato per lui insostenibile. Se si parla solo di spese, perché qualcun altro allora subentra?
«Passione, speculazione, possibili guadagni… i motivi possono essere molti».
Passione no. Se l’acquirente è un gruppo straniero e non del territorio, allora la passione c’entra poco.
«Vero. Ma in questo caso, è chiaro, chi “entra” lo fa perché spera di avere un ritorno. Economico o di immagine. Scopriremo nel tempo la reale motivazione».
Questo è comprensibile e non per forza negativo. Diventa però un problema se il “ritorno” non favorirà la squadra.
«Se si lavora bene, guadagnare con il calcio, o comunque rendere il pallone un investimento, è ancora possibile. E poi non dimenticate che, comunque, all’orizzonte c’è il nuovo stadio. E una struttura del genere, se ben sfruttata, può portare enormi vantaggi al “padrone di casa”».