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SVIZZERALo sfruttamento degli stagionali nell'agricoltura svizzera di cui nessuno vuole parlare

19.06.22 - 21:18
Sono in centinaia, pagati pochissimo e senza nessuna tutela. La lente su di un fenomeno diffuso anche da noi.
Archivio AFP
Lo sfruttamento degli stagionali nell'agricoltura svizzera di cui nessuno vuole parlare
Sono in centinaia, pagati pochissimo e senza nessuna tutela. La lente su di un fenomeno diffuso anche da noi.
A favorirlo molte aree grigie nelle leggi, ma anche pochi controlli e una forte pressione sull'intero settore affinché tenga i prezzi bassi.

LOSANNA - Arrivano a migliaia a inizio stagione, lavorano nei campi e nelle serre svizzere sotto al sole sfiancate. Pagati poco, vivono molto spesso stipati in abitazioni di fortuna. No, non stiamo parlando della piaga del caporalato che affligge alcune aree della vicina Penisola, e di cui molto si è parlato in questi anni, ma di uno sfruttamento per certi versi analogo e che avviene alla luce del giorno, anche nella ricca Confederazione.

A racocontare una realtà diffusa, purtroppo accettata e niente affatto tutelata, un recente reportage de Le Matin Dimanche che ha voluto raccogliere le storie di chi, per pochi franchi all'ora e per una manciata di mesi all'anno, raccoglie la nostra frutta, verdura e l'uva fra i campi e i filari della Romandia.

Operai che arrivano anche dall'Africa ma soprattutto Portogallo, Macedonia e pure la stessa Italia. Non giovani, ma persone di tutte le età (anche parecchio in là con gli anni) ma con un grande bisogno di soldi. Tante storie con alcune cose in comune: paghe misere, nessuna tutela e condizioni abitative spesso terrificanti.

«Un mio amico lavora tutti i giorni dalle 7 alle 23», racconta una delle fonti anonime di Le Matin, «chi si rifiuta viene licenziato in tronco, è vera e propria schiavitù moderna. Si è solo sostituita la frusta con la minaccia di restare senza lavoro, tutto qui». Una storia, questa, corroborata anche da altre che parlano di turni di 12-14 ore al giorno per un totale che può arrivare a picchi di 275 mensili. E non c'è solo il caldo: «Dopo aver raccolto frutta e verdura dobbiamo stiparla, per ore, nei silos refrigeranti a 4 gradi centigradi», racconta un secondo operaio. 

A facilitare questo sfruttamento, l'attuale legge riguardo le ore settimanali nell'agricoltura che permette fino a 220 ore al mese (55 a settimana). Una quota che si può sforare, pagando i giusti straordinari oppure fornendo giorni di vacanza supplementari. Non sempre questi vengono però concessi. In genere, secondo uno studio statistico del 2018 citato dal domenicale, il totale massimo reale di ore lavorate è in media superiore del 10%.

Per quanto riguarda la drammatica situazione degli alloggi, il Dimanche racconta di cascine con materassi buttati a terra, a volte con più persone di quanto siano stabilite dal contratto e affitti comunque capestri: si va da 250 franchi al mese per posto letto fino a 450. Spesso a trovarli per loro sono gli stessi "padroni" che, così, riescono - per vie traverse - anche a guadagnarci.

Ma come può essere legale? Stando al presidente di Asloca (l'associazione romanda per i diritti degli inquilini) Carlo Sommaruga il tutto è reso possibile, o quantomeno anche qui a norma, da una legge - quella legata al subaffitto - piena di zone grigie.

Se da una parte le aziende agricole sarebbero tenute a rispettare tassativamente le regole in caso di alloggi ufficiali per la manodopera (che quasi mai vengono edificati) è vero anche che - attorno al fenomeno del lavoro stagionale - ha finito per generarsi autonomamente un microcosmo di agenzie di collocazione e di appartamenti subaffittati, anche fra gli stessi operai, davvero fuori controllo. Per non parlare del sistema degli intermediari, che ti "trovano" un lavoro in cambio di una quota, spesso anticipata, sul tuo stipendio.

Da parte dei Cantoni, non ci sono controlli sistematici e nella gran parte dei casi non ci sono nemmeno le cifre esatti per quanto riguarda l'ammontare dei singoli salari, eventuali lavori pagati in nero né totali di ore settimanali. Dove invece questi controlli sono stati effettuati, non sono state riscontrate irregolarità.

«Il motivo è che le amministrazioni cantonali perlopiù si assicurano che le cifre tornino e raramente si muovono sul territorio», spiega al settimanale il sindacalista in pensione ed esperto del lavoro nel settore agricolo Philippe Sauvin, «la verità è che questi lavoratori spesso non vengono considerate come persone, malgrado gli orari estremi, le paghe misere e in nero, e tutto il resto si pensa comunque di fare loro un favore perché "guadagnano comunque di più di quanto prenderebbero da loro"».

Un'altra grande verità riguarda la necessità anche economica di mantenere questo sistema saldo sui suoi binari: ovvero l'imperativo di tenere bassi i costi, e i prezzi della verdura. Al momento, confermano le associazioni-ombrello di settore svizzere francesi, visto il margine di guadagno delle aziende agricole è impensabile che queste possano rivedere le rimunerazioni al rialzo, a meno che le cose non cambino.

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