Trovata senza vita per «cause non chiare» le indagini finiscono per arenarsi e il fascicolo viene chiuso. Il vedovo però non ci sta.
AARAU - L'ha trovata riversa al suolo e priva di vita, nel bel mezzo del suo appartamento, ha chiamato subito i soccorsi.
Quando questi arrivano, provano a rianimarla ma capiscono subito che non c'è più nulla da fare. Alle 15:54 di quel giovedì di luglio del 2023 decretano la morte della donna, una cittadina ucraina che di professione faceva la sex worker, formalmente deceduta.
La causa della morte, conferma il medico presente sul posto, è «non chiara». E lo resterà, anche a indagini concluse dieci mesi dopo. A raccontare di questo caso, che in Svizzera non è affatto un caso unico, è l'Aargauer Zeitung.
Tornando in quella casa, che la donna affittava in via temporanea, visti i dubbi sulle origini della morte interviene la Cantonale di Argovia. Si apre un fascicolo d'inchiesta, si raccolgono prove e la salma viene presa in consegna dal medico legale. Sul corpo niente che lasci a presagire una morte violenta, solo qualche ferita lieve che non viene ritenuta una possibile causa di morte.
Vengono poi interrogate tre persone: l'ultimo cliente della donna, il marito della stessa e il proprietario dell'appartamento che è la persona che ha rinvenuto il cadavere. Non vengono però trovate piste o evidenze conclusive tanto che le autorità chiuderanno il caso 10 mesi dopo. Il motivo? Stando ai documenti, ora pubblici, «l'impossibilità di stabilire le cause della morte» della donna ucraina.
Se da una parte non sono state rinvenute prove in grado di lasciare ipotizzare il dolo perpetrato da terzi, dall'altro la prostituta «conduceva uno stile di vita poco sano». Oltre a essere sovrappeso, consumava regolarmente alcol, droghe e fumava molto.
A contestare l'esito - o non esito - delle indagini è il vedovo che ha fatto ricorso al Tribunale cantonale sostenendo che «era troppo comodo» da parte della polizia escludere l'omicidio, per lui il responsabile può essere solo uno: il proprietario dell'immobile, che aveva minacciato la donna (e lui) diverse volte a causa degli affitti mensili che non erano stati versati.
La corte ha respinto le sue richieste. Se è vero che l'uomo ha cambiato la sua versione dei fatti - durante la chiamata ai soccorsi aveva sostenuto di aver sentito «rumori di lotta al piano di sopra», nella deposizione ha poi sostenuto di «non ricordare» e che era salito «per ritirare l'affitto del mese» - il giudice ha ritenuto «implausibile» un omicidio per questioni di soldi «per un affitto non versato da 1700 franchi». A sostegno della presunta innocenza dell'uomo le chat WhatsApp fra locatore e locataria, senza nessuna traccia di minacce.
La tesi del malore è però anche difficile da percorrere: l'esame tossicologico ha rilevato solo una lieve presenza di sostanze nel sangue e nelle urine (cannabis e cocaina).
Insomma, un vero grattacapo: «Capita raramente, ma può succedere, che la causa di una morte non possa essere chiarita», commenta il portavoce della procura di Argovia Adrian Schuler, «nella stragrande maggioranza dei casi si trovano indizi o evidenze medico-scientifiche che possono fare chiarezza. In altri, invece no».
Quanti sono? Stando ai dati delle autorità argoviesi, ci sono stati 3 casi negli ultimi 2 anni: «Ci rendiamo conto che per i parenti di queste persone può essere difficile, l'incertezza rende più arduo elaborare il lutto», aggiunge Schuler, «non è raro che questa mancanza di “chiusura” possa portare a mettere in piedi delle teorie sulle cause della morte, è normale e comprensibile».