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CANTONELong Covid e assicurazione invalidità: «Le richieste, al 99%, saranno respinte»

23.07.21 - 06:00
L'esperto di sanità e socialità Bruno Cereghetti prevede «guai seri» e critica l'approccio «scaricabarile» dell'UFAS.
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L'ambulatorio Long Covid della Clinica luganese Moncucco
L'ambulatorio Long Covid della Clinica luganese Moncucco
Long Covid e assicurazione invalidità: «Le richieste, al 99%, saranno respinte»
L'esperto di sanità e socialità Bruno Cereghetti prevede «guai seri» e critica l'approccio «scaricabarile» dell'UFAS.
Le decisioni prese rispetto all’AI si fonderebbero inoltre «su un concetto strano e puramente teorico del mercato del lavoro».

BELLINZONA - Seicentocinquantasei. È questo, solamente tra gennaio e maggio, il numero di pazienti affetti da Long Covid che hanno inoltrato domanda di prestazioni all’assicurazione invalidità in Svizzera. Sì, perché per alcuni, affaticamento, problemi olfattivi, mancanza di respiro e difficoltà neurocognitive possono diventare grossi ostacoli a livello professionale. Tanto da portare alla perdita di lavoro. Nel frattempo, resta poco chiaro se queste richieste saranno accolte, e l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) temporeggia. Ma per Bruno Cereghetti, consulente privato e già capo dell'Ufficio assicurazione malattia del DSS, il destino di queste persone è già segnato: «Le domande saranno, al 99,9%, respinte. E saranno guai seri».

Lo «scaricabarile» - Rispetto a questa pioggia di richieste, Stefan Ritler, direttore aggiunto dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali, ha dichiarato alla RTS: «Non sappiamo ancora in quale direzione si andrà, ma faccio affidamento sulla medicina affinché si trovi un trattamento adeguato alla maggior parte dei sintomi». Una presa di posizione, definita da Cereghetti come «uno scaricabarile», dato che «presuppone che la medicina possa far sparire queste problematiche dall’oggi al domani. Quando invece si tratta di disturbi che purtroppo in molti casi perdurano nel tempo». Tutti ci auguriamo che queste persone possano guarire in fretta, aggiunge Cereghetti, «ma non ci si può neanche basare su un ideale irrealistico per non assumersi il problema». 

Concezione irrealistica - Non sarebbe la prima volta, secondo Cereghetti, che un infortunio o una malattia invalidante non bastano per ottenere gli aiuti dell’invalidità, portando le persone a una situazione di povertà. Questo perché la concessione dell’AI si baserebbe su «un concetto molto strano e puramente teorico di mercato del lavoro, dove si suppone ci sia posto per tutti». Legalmente la persona che non può più lavorare in un determinato campo è tenuta infatti ad accettare una professione più leggera a livello fisico, nel terziario, specifica Cereghetti, «ma non è semplice trovare un’occupazione in questo campo». Sintomi come la perdita di memoria e l'affaticamento cronico renderebbero inoltre queste persone poco performanti anche nel settore dei servizi, cosa che complicherebbe ulteriormente la ricerca di una nuova posizione. Ergo, «l’assicurazione invalidità chiude il caso e la persona si trova sguarnita di un'entrata, finendo poi molto spesso in assistenza, con tutte le conseguenze psicologiche del caso. Ho visto persone piangere nel mio ufficio».

Socialità addio - Lapidario il giudizio finale di Cereghetti: «L’assicurazione invalidità ha chiuso i rubinetti, e limita al massimo le uscite. Ormai non è più un’assicurazione sociale».

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