L'assessore lombardo Sertori fa il punto sul tanto discusso contributo al sistema sanitario a carico dei vecchi frontalieri.
BELLINZONA / MILANO - «È bene sottolineare un aspetto. Qui si chiede una “testimonianza”. Per tassa s’intende quella che pagano i cittadini che lavorano in Italia. Ed è molto più elevata».
Intervistato da Tio/20min, Massimo Sertori, responsabile per i Rapporti con la Confederazione per la Lombardia e assessore agli Enti locali, fa il punto sulla tanto discussa “tassa sulla salute”, il contributo al sistema sanitario a carico dei "vecchi" frontalieri introdotto nell'ultima legge di bilancio italiana per rimpolpare le retribuzioni di medici e infermieri delle aree di confine.
Come nasce la misura?
«Fino al 2000, il frontaliere versava, attraverso un bollettino semestrale, circa 600mila lire per l’utilizzo del sistema sanitario».
Poi cos’è cambiato?
«In Italia, la sanità è diventata di competenza regionale. La Svizzera, aderendo a un accordo con l’Unione Europea, ha introdotto il diritto di opzione: il frontaliere può scegliere quale servizio sanitario utilizzare. A seguito di questi avvenimenti si è creato una sorta di buco legislativo. La ragioneria dello Stato si è resa conto del vuoto normativo, che vale peraltro anche per gli italiani all'estero non iscritti all'AIRE. Quando c'è stata segnalata la situazione, come Regione ne abbiamo preso atto».
Come sarà strutturata?
«Per coloro che hanno optato per il SSN, la richiesta varia dal 3% al 6% del salario netto. La percentuale viene stabilità dalle regioni confinanti. È bene chiarire che non c'entra nulla con le tasse già versate dai lavoratori lombardi in Svizzera. I ristorni sono un’altra cosa».
Quanto chiederà la Lombardia?
«Teniamo conto di un aspetto: siamo consapevoli che il lavoratore frontaliere fa sacrifici importanti. Siamo orientati verso la tariffa più bassa: nel concreto, da simulazioni che abbiamo fatto, mediamente rispetto alle rendite, pagheranno 100-120 euro al mese. E la copertura sanitaria varrà anche per i familiari a carico».
La misura ha sollevato non poche polemiche, da entrambe le parti del confine…
«Ne ho sentite e viste di tutti i colori. Addirittura si è parlato di rapina ai danni dei frontalieri. Non è così. Peraltro, per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, seguendo il concetto a noi caro del federalismo fiscale, il gettito non finirà nelle casse romane».
A chi andranno i soldi?
«Rimarranno sui territori per aumentare gli stipendi di medici e infermieri che prestano la loro professione presso gli ospedali di confine. È bene sottolineare che è sempre più difficile trovare personale sanitario, anche perché una gran parte è attratto proprio dalla vicina Svizzera. C’è un effetto calamita: più ci si avvicina alla frontiera più è forte. Più ci si allontana, più l'effetto si alleggerisce».
Quali dati domanderete al Cantone?
«Si è diffusa una bufala. Noi non abbiamo mai chiesto e non abbiamo intenzione di chiedere ai Cantoni i redditi dei frontalieri. L'unica cosa che abbiamo domandato agli amici svizzeri è l’elenco degli italiani che hanno optato per il servizio italiano. Ma solo per motivi gestionali. La risposta è stata che, per motivi di privacy, non è possibile. Quindi, capiremo se sarà necessario mettere a punto un protocollo. A me sembra una richiesta legittima».
Operativamente, come funzionerà il contributo?
«Ne stiamo discutendo col ministero delle Finanze. Nel giro di qualche tempo stabiliremo e capiremo l’esecutività di questa norma ed entro quando sarà applicata».
Quale sistema sarà adottato?
«Per quanto riguarda la definizione della cifra, stiamo considerando l'autocertificazione. Non chiediamo i redditi di nessuno. Ognuno sarà responsabile delle proprie azioni».